Bhattacharya, il “maledetto” anti-lockdown al vertice della ricerca Usa

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Durante la pandemia di Covid-19, la Cina e poi l’Italia avevano fatto scuola. La politica anti-pandemica assunta da tutti i governi occidentali, nella primavera del 2020 e poi nell’autunno successivo, è stata quella del divieto di assembramenti, delle lezioni scolastiche da remoto, del lavoro da casa e del lockdown. Le nostre città erano chiuse. Negli Stati Uniti, la politica variava da Stato a Stato. Quelli più progressisti si comportavano come l’Italia, quelli più conservatori come la Svezia: protezione per gli anziani e fragili, ma libera uscita per tutti gli altri e nessun obbligo, neppure di mascherina. Questo secondo approccio, massacrato dai media, aveva alcuni difensori anche nel mondo della scienza. Jay Bhattacharya, professore indiano (nato a Calcutta ed emigrato negli Usa) dell’Università di Stanford è stato il capofila del dissenso scientifico al lockdown. Per questo è stato massacrato, professionalmente e mediaticamente. Ma con il cambio di amministrazione, Donald Trump intende nominarlo al vertice del National Institute of Health, il gigantesco dipartimento che guida la ricerca medica pubblica negli Usa.


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Oltre a Jay Bhattacharya, i due maggiori dissidenti della linea anti-pandemica erano Martin Kulldorf, docende dell’Università Harvard, di origine svedese e un’altra docente di origine indiana, la britannica Sunetra Gupta, di Oxford. Tre persone differenti con tre differenti specializzazioni: Bhattacharya economista, Kulldorf uno statistico e la Gupta un’epidemiologa erano giunte alla stessa conclusione. Il lockdown non avrebbe portato alla fine dell’epidemia, ma avrebbe creato un danno sociale irreparabile, potenzialmente peggiore rispetto a quello dell’epidemia. La loro strategia alternativa venne sintetizzata nella Dichiarazione di Great Barrington (dal nome della località americana, nel Massachusetts, in cui venne redatta).


Il documento, pubblicato nell’ottobre 2020, suggeriva una politica di protezione mirata per anziani e fragili (soprattutto persone con comorbidità), mentre si opponeva a restrizioni di ogni sorta per giovani e persone senza patologie pregresse. I tassi di mortalità dimostravano come la fascia interessata quasi esclusivamente ad un esito letale della malattia fosse quella degli anziani, delle persone sovrappeso e di quelle con patologie pregresse. L’ospedalizzazione e i casi di mortalità da Covid-19 diminuivano drasticamente nelle età più giovani e fra persone sane, senza patologie pregresse e senza particolari problemi di peso. Negare ogni genere di assembramento a queste fasce maggioritarie di popolazione, dunque negare la scuola ai bambini e agli adolescenti, negare ogni forma di vita sociale ai giovani adulti, costringere a casa tutta la forza lavoro (salvo categorie “indispensabili” o ritenute tali dal governo) avrebbe creato un danno non giustificato all’economia, alla tenuta sociale e alla psiche delle persone, soprattutto i più giovani e i mentalmente più fragili.


«Questa politica viola ogni singolo valore che ho a cuore – diceva allora Bhattacharya a proposito dei lockdown– Attribuisco grande importanza alla protezione dei vulnerabili e dei poveri dalla morte e dalla sofferenza evitabile. Questi lockdown hanno fallito nel loro obiettivo dato che hanno causato un enorme collasso economico e messo a rischio la vita di 130 milioni di poveri che rischiano di morire di fame». Inoltre «i rischi clinici e psicologici derivanti dal lockdown sono più gravi di quelli derivanti dal Covid».


Per la pubblicazione della Dichiarazione di Great Barrington, Bhattacharya venne sistematicamente emarginato nell’ambiente accademico. Oggi, dai documenti declassificati su richiesta della Commissione sul Covid della Camera del Congresso Usa, sappiamo che l’emarginazione fu intenzionale e pianificata dall’alto. L’allora direttore dell’Nih, Francis Collins, scrisse ad Anthony Fauci, allora consigliere del presidente e direttore del Niad (l’istituto nazionale di ricerca sulle malattie infettive) chiedendo una «rapida e devastante presa di posizione pubblica che la smonti (la dichiarazione di Great Barrington, ndr) dalle premesse». Collins, in quella email, definiva i tre autori della Dichiarazione “epidemiologi di nicchia”. La strategia di protezione mirata di Bhattacharya venne distrutta dalla direttrice del Cdc (centro per il controllo e la prevenzione delle malattie), Rochelle Walensky, entrata in carica nel gennaio 2021, all’inizio dell’amministrazione Biden: «Penso che sia (la dichiarazione di Great Barrington, ndr) sbagliata. Penso che sia pericolosa. Penso che inviti la gente ad agire in modi che potenzialmente possono generare danni enormi».


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Il lockdown, allora, in Italia come negli Usa, era un dogma. E i social network si muovevano di conseguenza, per chiunque lo violasse. Google, il motore di ricerca più grande del mondo, negli ultimi mesi del 2020 relegava la Dichiarazione di Great Barrington alla terza o quarta pagina di ricerca, dopo una lunga serie di articoli che ne parlavano negativamente. Con l’acquisto di Twitter da parte di Elon Musk e la pubblicazione dei documenti della precedente gestione (i “Twitter files”), emerge che Bhattacharya, come i suoi colleghi, fossero finiti in una lista nera, per cui i loro commenti e articoli pubblicati sul grande social network avevano una visibilità ridotta, all’insaputa dei loro autori. Anche gli altri social network, comunque, a partire da facebook, arrivavano a rimuovere i contenuti che citavano la Dichiarazione di Great Barrington.


Per questa sistematica persecuzione mediatica e politica, Bhattacharya ha ottenuto giustizia. A seguito di una class action contro chi ha soppresso la libertà di espressione e il dissenso scientifico settembre del 2023, la Corte d’Appello del Quinto Circuito ha sentenziato che Fbi, Cdc e le altre agenzie sanitarie «Si sono impegnati in una campagna di pressione durata anni [sui social media] volta a garantire che la censura si allineasse ai punti di vista sostenuti dal governo». Il governo, ha aggiunto la Corte, ha minacciato «cambiamenti normativi e un aumento delle azioni esecutive» se le piattaforme social e web non avessero censurato i discorsi che contraddicevano la linea del governo sulla pandemia.


Dopo la giustizia è arrivato (salvo contrordini) anche il riconoscimento per il lavoro svolto da parte del presidente eletto Donald Trump, che già aveva accolto di buon grado i suggerimenti di Bhattacharya e colleghi nei suoi ultimi mesi di amministrazione. Ma gli scienziati come al solito “hanno la testa dura” e prima che cambino idea passeranno probabilmente altri anni. I commenti che già si leggono sulla grande stampa, anche scientifica, sulla nomina di Bhattacharya, sono di questo tenore: «Il professore scettico su lockdown e vaccini ha promesso di riformare la più grande agenzia di ricerca al mondo. Affiancherà il no-vax Robert Kennedy Jr.» si legge su Euronews. O peggio: «La nomina di Trump per il National Institute of Health garantirà la distruzione della sanità in tutto il paese», come si legge sul quotidiano di sinistra The New Republic. Il lockdown è ancora un dogma.




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