Turismo, confronto globale sulla tassa di soggiorno

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In Italia introiti del +23%, New York resta frugale, la Francia progressiva

Pubblicato:06-12-2024 11:43

Ultimo aggiornamento:06-12-2024 11:43


FIRENZE – Il tema è stato lambito anche nei giorni del G7 di Firenze: la tassa di soggiorno, agli occhi della ministra del Turismo, Daniela Santanchè, deve diventare applicabile su base volontaria in ogni comune d’Italia e calcolata su base proporzionale rispetto alla spesa sostenuta in una struttura.

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Dalla fine dell’estate è in corso il tavolo tecnico per definire con Anci e categorie economiche come rimodulare un regime fiscale che già oggi è una gallina dalle uova d’oro per i comuni più accorsati. Basti pensare che nel 2023 la versione italiana della “tourist tax” ha generato 792 milioni di introiti per 1.259 amministrazioni comunali con un incremento del 26% delle entrate, secondo uno studio della fondazione Ifel-Anci.

Un sostegno vitale per finanze locali, che altrimenti rischierebbero di essere più gracili, di Roma, Firenze, Milano, Venezia e delle altre città che maturano più incassi dai visitatori. Attualmente la tassa di soggiorno varia da 1 a 5 euro per notte, in base alla tipologia di struttura, già in estate era stato ipotizzato uno schema con un innalzamento del carico con un minimo di 5 euro per notte fino a un massimo di 25 euro, in base alla tipologia della struttura e delle stelle.

“RENDERLA PROPORZIONATA”

“Cerchiamo di distribuire meglio questa imposta”, è il messaggio con cui Santanchè sprona da mesi il governo, gli enti locali e le associazioni di categoria alla riforma dell’imposizione. “La cosa più giusta è renderla proporzionata, nel senso che chi paga 100 euro per dormire non è giusto che paghi la stessa cifra di chi magari, e non voglio criminalizzare la ricchezza perché non fa parte del mio modo di pensare, affitta una suite in uno degli alberghi più belli”, ha spiegato ai giornalisti durante le giornate del vertice ricordando che l’Italia è tutta turistica e come tale la tassa di soggiorno dovrebbe essere applicata su richiesta da parte di ciascun sindaco.

La leva fiscale, d’altra parte, può essere molto appetibile per governare e distribuire al meglio i flussi turistici, perseguendo dunque uno degli obiettivi indicati nel comunicato finale della riunione dei ‘sette grandi’. Altre volte è strumento prezioso per conciliare la sostenibilità anche finanziaria di servizi usufruiti dai visitatori durante la loro permanenza in Italia con le magre disponibilità di bilancio degli enti locali. Un raffronto in ambito di G7 è significativo. Così malgrado sia il Paese che vanta una certa tradizione di “tourist tax”, basti pensare che già nell’Ottocento i turisti pagavano la “Kurbeitrag”, una tassa per chi frequentava la Spa, in Germania ad oggi sono soltanto 40 le località che applicano una tassazione specifica, spesso ricorrendo a denominazioni differenti. A riprova del fatto che un disegno organico non c’è e forse neppure serve. Fra le mete tassate ricordiamo Berlino, Colonia, Dortmund, Dresda, Francoforte sul Meno, Friburgo e Amburgo.

IL REGNO UNITO

Finanze pubbliche perennemente in equilibrio rendono meno pressante la ricerca di nuovi introiti, l’opposizione da parte dell’industria alberghiera tedesca fa il resto. L’altro grande Paese refrattario- per ragioni più di natura culturale che di solidità finanziaria, a dire il vero- è il Regno Unito: si vedrà che novità porteranno i laburisti nella legislatura ancora al suo abbrivio ma nella loro lunga stagione di governo, i conservatori hanno più volte declinato la proposta di istituire una forma di tassazione. In Inghilterra è stata esclusa, mentre il governo locale del Galles ha presentato un disegno di legge, una “visitor levy” è stata invece autorizzata in Scozia dal rispettivo Parlamento: tuttavia, alle municipalità viene richiesto un periodo di implementazione di 18 mesi.

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NEW YORK FRUGALE

Ad andare bene, se ne riparlerà non prima del 2026/2027. Ragioni contabili o perplessità di ordine ideologico a parte, il consistente aumento dei flussi e della pressione turistica sta rendendo nel club dei sette il quadro più tendente al sentiero intrapreso anche dall’Italia sulla tassazione di locazioni e soggiorni brevi, ovvero inferiori ai 30 giorni. Di conseguenza, ad esempio in Giappone dove per il 2024 è atteso a consuntivo un balzo su base annua dei visitatori del 30%, esiste da qualche anno una “departure tax” di 1.000 yen assieme a una “accomodation tax” in alcune località che oscilla per i turisti più facoltosi fra i 200-300 yen fino a un massimo di 1.000 yen a notte.

Più stabile il quadro fiscale in Canada, dove la “regional”, “district” e “municipal tax” ammonta in genere al 4% della spesa sostenuta. Più variegato è il contesto che troviamo negli Usa. Qui l’applicazione della “hotel tax” dipende dai singoli Stati, mentre le singole contee possono comunque aggiungere voci addizionali di prelievo. Quasi sempre l’”hotel tax” si abbatte sotto forma di aliquota proporzionale sulla spesa per notte trascorsa. A sorpresa fra le più frugali si rivela New York con ‘appena’ 1,5 dollari di tassa per notte a persona.

LA FRANCIA PROGRESSIVA

Completa il quadro la Francia con la sua “taxe de séjour” applicata in alcune delle sue municipalità. In un contesto organizzato in maniera unitaria e centralizzata, e forse anche in questo caso la tassa di soggiorno finisce un po’ per raccontare la biografia del Paese interessato, il governo mette a disposizione sul sito ufficiale della funzione pubblica la possibilità di consultare per ciascuna località se l’imposizione viene applicata e a quanto ammonta.

Come indicazione generale, ad ogni modo, in Francia la tassa varia in base al numero di notti trascorse, al tipo di struttura e alla sua classificazione. Un meccanismo ispirato a un principio di progressività, ma non eccessivamente oneroso: nelle strutture di lusso, gli hotel a 5 stelle, la tassa varia dai 70 centesimi a 3,3 euro per notte, per raggiungere i 4,6 euro soltanto in castelli e alloggi più lussuosi. Qualora sia assente una classificazione precisa, la tassazione oscilla fra l’1 e il 5% del prezzo pagato.

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