Unicredit-Bpm, con l’unione le prime 5 banche italiane avrebbero il 60% del mercato: cosa cambia?

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Redazione Economia

Secondo un’analisi Bce nel 2023 il 48% del mercato era in mano ai primi cinque istituti. Con Unicredit-Bpm si arriverebbe al 60% (contro il 45% della Francia e il 33% della Germania)

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Un vecchio adagio di Enrico Cuccia, il banchiere per antonomasia, evidenzia da sempre che «i voti si pesano, non si contano». E quindi c’è chi vale di più, chi vale meno. In finanza poi i numeri sono il pane quotidiano, quando ci sono da studiare aggregazioni, integrazioni alla pari oppure fusioni per incorporazione come è avvenuto con le banche venete inglobate da Intesa Sanpaolo. Ci sono le operazioni ostili, le offerte pubbliche di sottoscrizione, le offerte carta contro carta destinate a cambiare «la foresta pietrificata delle banche», settore storicamente percepito come refrattario ai cambiamenti e invece uscito rivoluzionato in questi ultimi anni. Radicalmente mutato da una serie di riforme, in testa quelle delle banche popolari e del credito cooperativo, da una Vigilanza finita sotto il cappello europeo della Bce, da una serie di operazioni di consolidamento che hanno cambiato lo scenario di mercato, come l’operazione con cui Intesa Sanpaolo ha comprato Ubi.

Crollata la foresta pietrificata

Ora in pochi giorni siamo di fronte ad una portata di cambiamenti inimmaginabile fino a poco tempo fa. La privatizzazione da parte del ministero del Tesoro del 15% di Montepaschi che si appresta ad uscire dalla sfera di controllo pubblico per diventare un attore di mercato, l’investimento nel capitale di Banco Bpm interessata a muoversi come pivot per un eventuale terzo polo bancario, la cordata con le holding dei Del Vecchio e Caltagirone, i soci italiani già ingombranti nell’azionariato di Generali e Mediobanca. L’ipotesi, per ora fantomatica, persino di un ingresso di Cassa Depositi nel Leone di Trieste per difendere l’italianità vera o presunta. E infine la scelta di Unicredit di lanciare un’offerta pubblica di sottoscrizione proprio su Banco Bpm, una mossa percepita come ostile dal Consiglio di amministrazione del gruppo guidato da Giuseppe Castagna, che già mette sul tavolo in una lettera ai suoi dipendenti gli eventuali esuberi (fino a 6mila) di un’operazione del genere. 




















































Le ipotesi sulle soglie di concentrazione

E allora col supporto dei numeri siamo andati a vedere che cosa è accaduto in questi anni per la clientela al dettaglio, per le famiglie e le imprese, se questo consolidamento di mercato ha avuto ripercussioni per il cliente finale, in termini di accesso a mutui e prestiti, se le condizioni di finanziamento si sono ristrette al di là del contesto macroeconomico relativo ai tassi di interesse. 

La soglia ripartita per regioni

La premessa è che su questo vigila l’autorità Antitrust che vieta proprio le posizioni dominanti, le alterazioni di mercato tutelando, è il suo mandato, l’interesse del consumatore finale. E c’è da dire che in caso di operazione di aggregazione tra Unicredit e il Banco Bpm la soglia Antitrust verrebbe superata solo in Sicilia, si andrebbe vicino in Piemonte (23%) e Val d’Aosta (24%). Nascerebbe un colosso con il 15% della raccolta e il 14% degli impieghi totali contro il 20% di Intesa Sanpaolo. «L’Italia è però, negli ultimi anni, il secondo Paese europeo che ha visto crescere di più la concentrazione bancaria, dietro solo alla Spagna», dice Mario Comana, docente ordinario di Economia degli intermediari finanziari alla Luiss. 

I primi 5 istituti e il rapporto con Francia e Germania

Dal 2015 al 2019, stando ad uno suo studio, la quota di mercato delle prime cinque banche è salita di 6,9 punti percentuali, più di Francia (1,5) e Germania (0,6). I dati Bce (condensati nell’infografica in basso) mostrano che nel 2023 il 48% del mercato era in mano ai primi cinque istituti, il 56% considerando le capogruppo, di cui il 25% circa per Unicredit e il 30% per Intesa Sanpaolo. E con una fusione Unicredit-Bpm si arriverebbe ad oltre il 60% (contro il 45% della Francia e il 33% della Germania). La concentrazione è anche territoriale: delle 12 banche significative, 10 sono al Nord e due al centro (Mps e Iccrea); nessuna al Sud.

La desertificazione bancaria

Un corollario, anche se non l’unico perché i fattori di concentrazione sono il combinato di disposto della crescita del digitale che comporta a sua volta la necessità di minori filiali, ha fatto sì che negli ultimi 15 anni sono stati chiusi oltre 14 mila sportelli bancari. Oggi il 42% dei comuni italiani non ha sportelli, nel 2015 erano il 28,16%. «C’è un oggettivo rischio che le fusioni e gli accorpamenti riducano ulteriormente l’offerta di credito», dice Comana. Ciò rischia peraltro di provocare un’apartheid generazionale a scapito degli over 65 non così avvezzi al canale online. I costi di gestione per le banche sono troppo alti. Per il caricamento del cassetto dei bancomat, per gli investimenti sulla sicurezza, i costi assicurativi contro eventuali danni, le spese per il personale, gli investimenti tecnologici contro le frodi informatiche.

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6 dicembre 2024

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