Atti persecutori contro i vicini, processo l’11 febbraio per una famiglia di Brissogne – La Prima Linea

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“Con condotte minacciose e moleste” da anni perseguitano – per motivi che le vittime ritengono “assolutamente incomprensibili e ingiustificabili” – i vicini di casa, madre e figlio proprietari di un’abitazione confinante con la loro costringendoli, sostengono gli inquirenti, a vivere in costante ansia e paura e persino a modificare le normali attività di vita quotidiana, limitando così la loro libertà personale.

Su richiesta del pm Manlio D’Ambrosi, il tribunale di Aosta ha fissato per l’11 febbraio 2025 il processo con l’accusa di atti persecutori in concorso (612 cp) per Fabrizio Pedà, 50 anni, impiegato in una società partecipata; sua sorella Sabrina (49) e la loro madre, Anna Marcoz (76), tutti residenti a Brissogne in località Neyran.

Secondo le indagini, accorpate e condotte in tempi diversi da polizia, carabinieri e dall’aliquota di polizia giudiziaria del Corpo Forestale valdostano, gli indagati ogniqualvolta incontravano i loro vicini li offendevano proferendo pesanti insulti e minacce; danneggiavano la loro auto forando gli pneumatici; giungevano persino a impedire a madre e figlio, si legge nel 415 bis, “di poter accedere all’abitazione dal portone principale sbarrando l’accesso e costringendo loro a utilizzare altri accessi”; installavano telecamere “che riprendevano le pertinenze dell’abitazione delle persone offese”; denunciando i vicini “pretestuosamente per abuso edilizio”.

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Risale al 17 febbraio 2024, secondo gli atti di indagine, l’episodio più eclatante: la demolizione di una scala (peraltro considerata bene storico comunale) “di accesso al primo piano che serve l’abitazione delle persone offese” prese di mira praticamente quotidianamente dagli indagati. Una situazione che, scrive il pm D’Ambrosi, ha causato a madre e figlio “un grave e perdurante stato di ansia, un timore per la loro incolumità personale e costringendoli ad alterare le proprie abitudini di vita, in particolare a limitare la possibilità di fruire della propria abitazione e conseguentemente ingerendosi nella vita privata tanto da modificarla”. Assistiti da tre diversi legali del foro di Aosta, gli indagati dovranno affrontare a breve l’udienza preliminare.

“Quello della scala – affermano madre e figlio – è stato l’ultimo di una lunga serie di soprusi, danneggiamenti e atti di violenza privata, alcuni dei quali secondo noi in aperta violazione urbanistica eppur commessi sotto gli occhi di un’Amministrazione comunale che sembra non avere occhi per vedere – affermano -. Soprusi ai quali non possiamo più sottostare, sono anni che sopportiamo torti e stalking, così non riusciamo a vivere”.

Tutto è iniziato alcuni anni fa, quando la giovane donna e il figlio, all’epoca poco più che ventenne, acquistarono quella casetta a Neyran. I problemi con i loro dirimpettai, la famiglia Pedà-Marcoz, iniziarono pochi mesi dopo, quando quest’ultimi decisero di installare un reticolato da cantiere per delimitare la loro proprietà dove presto sarebbero iniziati lavori edili; uno sbarramento che finì per restringere e ridurre drasticamente lo spazio di accesso alla porta d’ingresso dei loro nuovi confinanti: il passaggio tra il reticolato e il muro della casa di madre e figlio è poco più largo di 60 centimetri: non ci passano una carrozzella per disabili, una persona adulta con due borse della spesa né una persona di corporatura particolarmente robusta. Incredula, la donna andò a chiedere conto alla sua vicina di quell’iniziativa ma in risposta ebbe, sostiene, “l’inizio di una serie di vessazioni, minacce e intimidazioni, oltre a palesi violazioni della nostra vita privata. Sembra incredibile, assurdo, perché non siamo nel Far-West ottocentesco ma nell’Italia democratica e costituzionale negli anni Duemila, eppure è andata così”.

Dopo quell’episodio, stando alle indagini tra i figli delle due donne si verificarono violenti scontri verbali: “dovete smontare quella rete e consentirci di passare liberamente, se non volete essere denunciati…”; “Fate quello che volete, denunciate pure, noi il reticolato non lo togliamo, siamo autorizzati dal Comune…”. Di lì in avanti è stato un crescendo di insulti reciproci “e minacce da noi passivamente subìte senza praticamente reagire, nella speranza che la Legge ci desse quanto prima ragione” sostengono madre e figlio, oltreché di iniziative finite nelle carte degli inquirenti (e ora sul 415 bis) perché valutate reati come l’installazione, da parte dell’anziana e dei suoi figli, di videocamere di sorveglianza puntate direttamente nella proprietà privata dei confinanti, mentre intanto quel reticolato è stato tolto per piazzare una vera e propria solida staccionata in legno che rende ancora più difficoltoso il passaggio.

“Chiunque riesca a passare a fianco della staccionata viene anche ripreso dalle videocamere dei vicini, così come chi staziona nello spazio antistante il cancello e la porta di casa: una situazione che ha superato i limiti del tollerabile” ribadiscono le presunte vittime delle persecuzioni.

Poi, sabato 17 febbraio 2024, la distruzione con uno scavatore di quel suggestivo manufatto in pietra, in pieno centro storico, risalente a oltre cent’anni fa. “Siamo stati autorizzati dal Comune di Brissogne, lunedì 19 scade la Scia e per evitare di rifarla abbiamo deciso di eliminare oggi quella scala; presto chiederemo l’autorizzazione per costruirne una nuova”, si era giustificata Anna Marcoz con i carabinieri chiamati dai vicini perché fermassero i lavori. I militari del Radiomobile quel giorno hanno acquisito documenti e atti amministrativi, stessa cosa avevano fatto gli investigatori della Forestale.

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