Boom del lavoro, storia di un’illusione venduta ad Atreju

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Due anni di governo Meloni hanno bisogno del Circo Massimo per contenere l’entusiasmo oceanico dei «Fratelli d’Italia» per il record registrato nei dati sull’occupazione. Nel catino gigantesco che si apre nel cuore di Roma un tempo c’erano le bighe e da qualche tempo si tengono i concerti e le celebrazioni dei governi in carica. Qui, oggi, si apre la nuova edizione di Atreju, la storica festa del partito di Giorgia Meloni.

IL TONO CHE ACCOMPAGNERÀ la kermesse nel corso della prossima settimana è stato anticipato ieri dalla della Presidente del Consiglio. Meloni ha rilanciato il comunicato del sabato della Cgia di Mestre sull’aumento dell’occupazione avvenuto negli ultimi due anni: 847 mila nuovi occupati, in maggioranza lavoratori dipendenti e in parte autonomi. E poi c’è l’aumento dei contratti a tempo indeterminato (937 mila unità) con un relativo calo dei lavoratori precari con un contratto a termine (266 mila).

I DATI, GIÀ NOTI, sono stati accolti con soddisfazione da Meloni prima di prendere l’aereo per Parigi e andare a Notre-Dame: «Ci spingono a continuare a lavorare con determinazione per creare ulteriori opportunità e garantire stabilità e crescita economica a tutta la nostra Nazione» ha detto. La frase, sintesi della cultura nazionalistica e imprenditoriale del postfascismo italiano, è stata ripresa da decine di esponenti di Fratelli d’Italia. Arianna Meloni, sorella della premier e responsabile della segreteria politica del partito, ha commentato che «il massimo storico di occupati e il tasso di disoccupazione giovanile più basso di sempre» sono la smentita della «martellante propaganda di sinistra» che preannunciava «disastri» con le destre al potere.

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LE SORELLE MELONI non si sono soffermate sulla seconda parte dello studio della Cgia, lì dove è stata segnalata l’anomalia di una crescita dell’occupazione che non corrisponde alla crescita economica. Il Pil, negli ultimi due anni, «è stato molto contenuto e all’aumento dell’occupazione non è corrisposto un incremento altrettanto importante della produttività del lavoro. Pertanto gli stipendi che sono al di sotto della media europea, non crescono adeguatamente». «Bisogna rinnovare i contratti nazionali alla scadenza». Ciò avverrà, ma molto parzialmente. Nella prossima legge di bilancio il governo ha stanziato risorse di gran lunga inferiori rispetto alla maxi-inflazione cumulata in due anni. I salari sono destinati a restare bassi. E l’aumento dell’occupazione, per di più a tempo indeterminato, altro non è che un aumento del lavoro povero.

PER COMPLETEZZA di informazione va ricordato che, questa settimana, la crescita economica del 2024 è stata dimezzata dall’Istat dall’1% allo 0,5% E andrà poco meglio nei prossimi. Sempre che la situazione non peggiori. Inoltre la produzione industriale crolla da venti mesi. A questo si può aggiungere che, con questo governo, la povertà ha eguagliato il record di 5,7 milioni di persone, anche a causa della malconcepita rimodulazione del già problematico «reddito di cittadinanza».

LA CONTRADDITTORIETÀ della situazione è stata ignorata in vista della festa di oggi. Per una semplice ragione: il boom dell’occupazione può rivelarsi un’illusione. La narrazione del potere è chiara. I dati sul lavoro sono usati per dimostrare che il «melonismo» ha reso l’Italia il paese più «stabile» d’Europa mentre la Francia e la Germania si stanno avvitando in una crisi di sistema. È il racconto di un riscatto immaginario: il bruco che diventa farfalla, la cicala che diventa virtuosa. Questa idea rassicura l’establishment. I meloniani lo sanno e la rilanciano di continuo.

I GOVERNI IN CARICA, compreso quello Meloni, vedono solo i dati «assoluti» sull’occupazione. Evitano di considerarli in termini contestuali, cioè storici e sociali. Non lo fanno perché non capiscono i dati, ma perché il lavoro è utile solo quando garantisce il consenso. Oggi c’è una curva positiva. La curva può invertirsi. Può accadere in un’economia che funziona per flussi e non solo per blocchi.

BISOGNA LEGGERE le «Prospettive per l’economia italiana nel 2024-2025» pubblicate dall’Istat l’altro ieri. A pagina 7 scopriamo che il boom dell’occupazione è finito. «Nella seconda parte del 2024 – sostiene l’Istat – le prospettive sull’occupazione sono progressivamente peggiorate in tutti i comportati». La tendenza è stata «confermata anche nei dati di novembre che indicano un peggioramento delle attese sull’occupazione per manifattura, costruzioni e commercio al dettaglio, a fronte di un lieve miglioramento per i servizi di mercato». C’è poi una frase che dovrebbe fare discutere gli entusiasti del Circo Massimo: «Nel corso del 2025 si prevede un rallentamento del tasso di crescita dell’occupazione». Significa che il disallineamento tra lavoro e crescita convergerà verso la stagnazione.

IL PROBLEMA di un Pil che cala e dell’occupazione che cresce è interessante. Sul sito di Sbilanciamoci Alessandro Bellocchi e Giuseppe Travaglini dell’università di Urbino hanno sostenuto che l’anomalo aumento dell’occupazione, al netto della ripresa post-Covid e della spinta data dal Bonus 110% all’edilizia, è il segnale dell’avvenuta transizione da un’economia deindustrializzata a un’economia basata sui servizi poveri come il food delivery o l’over-tourism che devasta le città. Questo è il risultato del mancato investimento sul «terziario avanzato»: informatica, intelligenza artificiale, tecnologie «green» (tagliate da Meloni), servizi finanziari. La decisione è stata presa una quarantina di anni fa. È stata accompagnata dalla decisione di contenere i salari, usare il debito pubblico come compensazione da fare pagare ai più deboli e dal collocamento dell’Italia nei posti più bassi del mercato capitalistico globale.

L’OSSERVATORIO INPS sul mercato del lavoro ha confermato: l’occupazione è cresciuta nei settori a bassa produttività e a basso salario dove è più intenso lo sfruttamento del lavoro povero. Meloni & Co. hanno raccolto un’eredità comune alla politica italiana, a cominciare dagli accordi sulla moderazione salariale del luglio del 92 e del 93 e poi dal «centro-sinistra» degli anni Novanta, passando da Berlusconi e dai governi «tecnici». È questa la storia, e il presente, che si celebra ad Atreju.



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