Separazione delle carriere ma non solo: si è parlato anche di media e potere al secondo degli appuntamenti organizzati in riva allo Stretto. Lo spunto la presentazione del libro della giornalista Donatella Di Stasio
È stato un dibattito franco. Magistrati, giornalisti e cittadini protagonisti della seconda tappa del format “Dialoghi con la magistratura” voluto dall’Associazione nazionale magistrati proprio per creare un filo conduttore che possa aiutare i non addetti ai lavori ad orientarsi nel mondo della giustizia.
Grandi cambiamenti in atto. E tra riforme e polemiche si è mosso in un terreno di scontro ancora fresco il dibattito sul tema della “Separazione dei poteri: autogoverno e potere disciplinare nella magistratura”. Introdotti dalla presidente della Ges dell’Anm di Reggio Calabria Caterina Asciutto, si sono confrontati la giornalista e scrittrice Donatella Stasio, il già presidente della Corte di Assise di Appello di Reggio Calabria Roberto Lucisano e il giudice del lavoro del tribunale reggino Antonio Salvati.
Un braccio di ferro tra giornalismo e magistratura per arrivare in modo univoco a difendere la libertà, sotto diversi punti di vista.
L’importanza della comunicazione in democrazia
La Stasio si è soffermata sull’importanza di parlare delle sentenze, dare e lasciare la parola ai giudici al di fuori delle aule di tribunale. Quanto è importante che queste libertà non vengano intaccate? «È importante. È, in generale, un principio della libertà di manifestazione del pensiero, ma lo è altrettanto, forse persino di più, quando parliamo dei giudici costituzionali o ordinari, quelli che si chiamano gli organi di garanzia, le istituzioni di garanzia. Purtroppo siamo stati abituati a sentirci dire che i giudici parlano solo con le sentenze. Infatti, abbiamo assistito proprio in queste settimane a un tentativo di limitare la loro possibilità non solo di spiegare le sentenze, quando non sono gradite al potere politico di turno (vedi i casi dell’Albania, di Roma, Bologna, eccetera), ma anche di partecipare al discorso pubblico sui temi della giustizia, facendo valere la propria esperienza di giudici».
«Questo tentativo – ha proseguito – è stato fermato ed è significativo che, non dico ad affermarlo sia stato il Quirinale, ma sicuramente c’è stata una decisione del tribunale proprio perché non si può intervenire a gamba tesa su questo diritto. E io lo chiamo dovere, in questo libro che appunto ho scritto insieme all’ex presidente della Corte costituzionale Giuliano Amato: il dovere di comunicare degli organi di garanzia. Perché? Perché gli organi di garanzia incidono profondamente con le loro decisioni nella vita delle persone, cambiandola radicalmente. Quindi devono rendere conto ai cittadini comuni delle loro decisioni, e non basta la motivazione che è scritta e redatta in modo tecnico per gli addetti ai lavori. Bisogna anche spiegare e farsi capire con parole più semplici. E bisogna anche poter partecipare al discorso pubblico e dare il proprio contributo al dibattito sulla giustizia, soprattutto in tempi come quelli in cui viviamo, che sono tempi in cui le democrazie nel mondo arretrano. Tra i primi sintomi dell’erosione democratica ci sono proprio gli attacchi agli organi di garanzia».
Separazione delle carriere, ma non solo
Non solo magistrati reggini: questo dibattito sta facendo discutere l’Italia intera. Qual è il pericolo a cui si va incontro se questa riforma e queste limitazioni dovessero andare avanti? Per Lucisano «viviamo un periodo particolarmente difficile perché qua non c’è in gioco solamente l’autonomia, l’indipendenza della magistratura. C’è in gioco un assetto istituzionale che può assumere delle caratteristiche molto negative in generale per i cittadini e per il nostro paese. La circostanza che si voglia in qualche modo impedire che la magistratura possa liberamente emanare le proprie pronunce o che possa partecipare ai dibattiti culturali e valoriali del nostro paese la dice lunga su certe tendenze che, in qualche maniera, tendono a privilegiare il potere esecutivo a scapito degli altri poteri. Già il Parlamento, in qualche modo, è in una posizione gregaria rispetto al Governo; forse lo si vorrebbe anche per la magistratura. Ma questo sarebbe la fine della democrazia così come la intendiamo tutti noi».
Esiste un modo per continuare a ribadire l’importanza di questa forma costituzionale di democrazia? «Il modo di difendersi per noi è continuare a fare il proprio dovere fino in fondo e dimostrare, con i fatti, l’imparzialità, l’equilibrio che viene esplicitato con la motivazione dei provvedimenti. Toccherà poi anche ai cittadini impegnarsi, perché la democrazia non è un fatto puramente formale. La democrazia vuol dire partecipazione. E quindi, da parte dei cittadini, ci vuole consapevolezza del valore della partita in gioco, e un impegno diretto perché vengano garantiti certi valori».
Si è parlato di separazione delle carriere e di libertà di opinione, proprio a Reggio Calabria, dove il dibattito è acceso. L’attacco, il braccio di ferro tra politica e magistratura, sta scivolando in un altro terreno di scontro. Il confronto è stato chiuso. È arrivato qui anche il sottosegretario alla Giustizia, che ha detto che non è possibile avere un dialogo. Invece la magistratura continua sottolineare l’importanza di aprire alla cittadinanza e di parlare di tematiche che non riguardano solo gli addetti ai lavori. E lo ha confermato a più riprese il giudice Salvati: «Sono tematiche che riguardano tutti i cittadini. Al contrario, se abbiamo un problema, è proprio quello della mancanza di dialogo. Non è mai troppo tardi per dialogare. Dialogare vuol dire confrontarsi. Dialogare vuol dire partire dal presupposto che non si hanno le stesse idee, ma che si discute al di là degli stereotipi, dei luoghi comuni, delle convenienze. È necessario capire meglio quello di cui stiamo parlando. La logica della contrapposizione e dello scontro non interessa alla magistratura. Quello che interessa, oggi, qui, soprattutto con questi incontri, è dialogare con la società civile, con la città, recuperare le istanze, le domande, confrontarci con loro e confrontarci noi stessi con loro. Perché tutti quanti noi, tra l’altro, prima di essere giudici, siamo cittadini come gli altri».
Un secondo step che ha raccolto un feedback positivo, incoraggiante. I magistrati hanno la necessità di spogliarsi della toga ed entrare in contatto con una cittadinanza che, troppo spesso, li vede come entità quasi sconosciute con le quali è impossibile confrontarsi. Questi momenti arrivano a sdoganare tutto questo e il prossimo appuntamento è già fissato per il 14 dicembre.
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