Il sindacato giornalisti «Sostenere gli sforzi delle imprese editoriali»

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Claudio Silvestri, segretario generale aggiunto della Federazione Nazionale della Stampa italiana. Continua il viaggio di Metropolis nel mondo dell’informazione e dell’editoria.

Cosa succede in questo mondo?

«Negli ultimi anni c’è stata una rivoluzione enorme nell’editoria. L’era digitale ha completamente trasformato il nostro settore mandandolo in crisi. Abbiamo perso tantissimi giornalisti dipendenti, c’è un’emorragia enorme. Questo significa che le imprese non riescono a stare più nel mercato come prima. A parlare sono i numeri, in edicola le copie vendute sono sempre meno, in questo momento si vendono circa un milione di copie ogni giorno che è lo stesso numero che un solo giornale come il Corriere della Sera vendeva negli anni ‘90. I giornalisti attivi dipendenti sono circa 13.000, solo 10 anni fa erano 20.000 e la curva di questa crisi è fortemente discendente infatti nell’ultimo anno abbiamo firmato più di 300 prepensionamenti, segno che le aziende non hanno alcuna intenzione di investire nel lavoro giornalistico anzi stanno cercando di tagliare il più possibile per ridurre i costi. Ci troviamo di fronte a questa crisi enorme per cui le soluzioni non si trovano, non vediamo la volontà di trovare formule nuove. Certamente ci troviamo di fronte a formule nuove che non appartengono alle aziende che conoscevamo, sono delle realtà che stanno emergendo soprattutto sul web e sono realtà che si approcciano al mercato in maniera innovativa, molte volte senza rispettare le regole. I siti internet che rispettano il contratto di lavoro giornalistico sono pochissimi quindi ci troviamo ad affrontare una situazione complessa».

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Siamo alla ricerca di un business sostenibile nell’ambito dell’editoria. In Campania siamo messi peggio o siamo messi meglio?

«Noi abbiamo una nazione che viaggia a due velocità: quello che succede da Roma in su e quello che succede da Roma in giù. La crisi c’è ovunque però al Nord i giornali in edicola si vendono ancora anche se con grande sforzo, c’è una cultura della lettura del giornale che ancora resiste in alcuni territori. Al sud ci troviamo a scontrarci con dei problemi atavici e uno è proprio quello che i cittadini del sud non hanno mai letto, anche in periodi di vacche grasse, il numero di copie che si vendeva nel meridione è stato sempre molto più basso di quello del settentrione. In questo momento di crisi la situazione è assolutamente drammatica nella nostra regione, sono pochissime le copie vendute in edicola ed è altissimo il rischio che con il tempo, ci sia una desertificazione sempre maggiore dell’informazione. Attualmente in tutta la regione ci sono solo 6 giornali locali, 4 di questi gestiti da cooperative giornalistiche con grandissima fatica, così come Metropolis, cooperative di giornalisti che sacrificano il proprio tempo, i propri stipendi per portare i giornali in edicola. Questi giornali inoltre rappresentano, per alcuni territori più complicati di quelli del nord, dei veri e propri presidi di democrazia e di libertà; se non ci fossero, in queste zone avremmo una totale desertificazione dell’informazione, sarebbe come spegnere una luce. Un esempio è il territorio dove il Metropolis viene venduto, c’è un’altissima densità criminale, ci sono comuni sciolti continuamente per infiltrazioni mafiose. Chi più accenderebbe la luce su questi fenomeni? Chi denuncerebbe più le commistioni tra politica e malaffare? Sarebbe un danno enorme non solo per il mercato delle editorie, ma per la tenuta democratica di questi territori».

Forse abbiamo commesso negli anni l’errore di fornire un’informazione gratuita e oggi chiaramente è difficile far capire che l’informazione di qualità va pagata, va sostenuta altrimenti non è possibile fare un’informazione di qualità con la parola gratis.

«È stata persa un’occasione: costruire un sistema nel quale l’informazione potesse essere una risorsa e anche “una merce”, parlando dal punto di vista delle imprese. Dopo tantissimi anni in cui i contenuti sono stati praticamente regalati, adesso è complicato costruire un mercato su questo anche perché ci troviamo di fronte ad una concorrenza infinita. Ci sono tantissimi siti che pescano le proprie informazioni proprio da chi questa professione la fa in maniera strutturata. Poi c’è ancora un altro problema: non solo i giornali inseriscono contenuti gratuitamente sul web, ma lavorano gratuitamente per grandissime piattaforme».

I grossi colossi dell’informazione che poi non sono nemmeno tali ma appunto fanno business, sfruttano spesso il lavoro anche di chi fa editoria soprattutto dei piccoli editori.

«È un tema fondamentale perché fino ad ora Facebook, Google e tutte le altre piattaforme digitali hanno ottenuto contenuti gratuitamente da grandissime e autorevolissime testate giornalistiche come il Corriere della Sera, Repubblica, lo stesso Metropolis. Tutti hanno fornito, senza compenso, contenuti che rendono queste piattaforme credibili, infatti i contenuti che danno autorevolezza ad esse sono quelli che noi come giornalisti creiamo gratuitamente. Poi è intervenuta una legge, la legge sul copyright, con equo compenso».

Guardando sempre al futuro, l’intelligenza artificiale e l’applicazione dell’intelligenza artificiale all’interno dell’editoria. Anche qui ci sono luci ed ombre.

«Noi abbiamo aperto dopo dieci anni il tavolo di trattativa con gli editori e uno dei primi argomenti che è stato trattato è proprio quello dell’intelligenza artificiale. Molti editori la vedono come uno strumento per ridurre la forza lavoro perché alcuni sistemi editoriali prevedono meccanismi di automazione formidabili, basta un click per inserire automaticamente un titolo e un articolo sul web quindi non c’è la necessità dell’intervento del giornalista. Noi diciamo invece che questa tecnologia può essere applicata ma con dei limiti fortissimi. Chiediamo che l’intelligenza artificiale, quella generativa, venga assolutamente limitata all’utilizzo della redazione degli articoli, deve essere sempre il giornalista a controllare, verificate e produrre i contenuti perché i rischi chiaramente sono quelli sul mondo del lavoro, che ci interessano più direttamente come sindacato, ma ci sono anche rischi sull’informazione perché è evidente che i sistemi che producono contenuti non sono ancora all’altezza del prodotto».

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