Kant contro Kant: Michel Foucault ritorna sul quid dell’illuminismo

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Secondo Bronislaw Baczko, la Risposta alla domanda: che cos’è l’illuminismo? di Immanuel Kant (pubblicata nel dicembre del 1784 sulla «Berlinische Monatschrift») aveva fissato un canone «del quale occorre saggiare ogni volta daccapo la perspicuità».

A partire dalla fine degli anni Settanta, Michel Foucault si è fatto interprete, fra i principali e i più ostinati, di questa esigenza, cogliendo negli spostamenti d’accento che intervengono nei suoi ripetuti riferimenti alla Risposta di Kant un’occasione per precisare «ogni volta daccapo» quali fossero le implicazioni «a venire» – come scrive – della riflessione che andava maturando negli ultimi anni di vita. Ne parla anche in Che cos’è la critica?, un volume recentemente curato da Daniele Lorenzini e Arnold I. Davidson per DeriveApprodi, che contiene le trascrizioni di due conferenze: la prima tenuta da Foucault nel maggio del 1978 alla Société française de Philosophie, la seconda del 1983 all’Università della California (qui tradotta per la prima volta in italiano da Andrea Di Gesù e Matteo Polleri, pp. 160, € 18,00).

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Se il punto di contatto tra le due conferenze è il corpo a corpo con l’articolo di Kant, che si sviluppa in due ambiti concettuali ben distinti, quel che più interessa è il fatto che sia la nozione di «critica» (1978) sia quella di «cultura di sé» (1983) vengono intese da Foucault come forme di vita. A orientare la sua linea interpretativa è infatti lo sforzo di qualificare «un’attitudine» o un’analisi di «ciò che le persone pensano quando fanno ciò che fanno», alle quali la Risposta restituirebbe finalmente un primo piano che la stessa filosofia di Kant, nella dimensione rigorosamente gnoseologica del criticismo, avrebbe contribuito a rendere irriconoscibile.

È un Kant contro Kant, in altri termini, quello dal quale Foucault intende adesso derivare una precedenza ontologica del presente che l’universalismo della ragion pura e della legge morale impedivano di cogliere. Ne ricava una nuova definizione della critica, che non si risolve più in un’indagine relativa ai limiti formali della conoscenza, bensì in un «obbligo sempre screditato» a intervenire nella trama dei rapporti tra verità, soggetto e potere, così come si determinano ogni volta, nella  contingenza.  In chiave esegetica, vale dunque la pena segnalare come il continuo rinvio di Foucault all’impianto complessivo del criticismo sollevi un problema al quale lui stesso, durante la prima lezione del 1983 al Collège de France, vale a dire poche settimane prima della conferenza di Berkeley, darebbe l’impressione di alludere.

In quella circostanza, infatti, mentre torna a misurarsi con l’articolo della «Berlinische Monatschrift», sembra concedere tra le righe il fatto che allo schema generale della sua lettura  possa sottrarsi la Critica della facoltà di giudizio, alla quale un altro influente lettore di Kant come Gilles Deleuze, aveva assegnato il compito di fondare il criticismo basandosi su qualcosa di molto simile all’esposizione preliminare di qualunque cognizione all’urto della contingenza.

La strada, insomma, poteva rimanere quella indicata a suo tempo dagli entusiasmi che per l’opera di Kant aveva espresso Goethe. Ma il felice accostamento delle due conferenze consente di segnalare anche un’oscillazione interna al modo in cui Foucault imposta il problema relativo alla definizione dell’autonomia, ricondotta, nel 1978, al legame genealogico che la forma di vita riscattata da Kant nella sua Risposta – una vita intesa come «arte della non-servitù volontaria» o «rifiuto di essere governati così» – continuerebbe a mantenere con le lotte del tardo medioevo contro il potere pastorale della chiesa e il loro prolungamento nella Riforma. Nel 1983, al contrario, la dimensione costitutiva del conflitto abbandona vistosamente la scena al campo delle esperienze che gli individui possono o non possono fare innanzitutto di se stessi. Non si tratta, evidentemente, di due prospettive incompatibili, anche se è arduo resistere alla tentazione di scorgervi, in filigrana, l’attraversamento di una soglia storica, che conduce fino al mondo in cui viviamo.



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