Fausto Giovanelli, presidente del Parco Nazionale dell’Appennino tosco-emiliano, l’Immacolata inaugura la stagione invernale. Con quale sentimento ci si è avvicinati a questa data?
«Quello prevalente è stato di attesa e di auspicio per un inverno pieno di neve, che è qualcosa che riguarda la sfera delle emozioni oltre che dell’economia. Se è vero che il sentimento non è più “o neve o morte”, l’Appennino bianco, pur dovendo fare i conti con il cambiamento climatico, rimane una delle stelle polari dell’attrattività del territorio. Per fortuna nei giorni scorsi una timida imbiancatura delle vette ha scaldato il cuore – e un po’ anche i muscoli – di quelli che ci leggono la possibilità di sciare.
Noi speriamo che ci sia qualche congiuntura favorevole per l’innevamento, ma dobbiamo essere preparati ad un inverno con poca neve puntando lo stesso sul turismo».
In Appennino le passate feste natalizie sono state contrassegnate dall’assenza totale di neve con temperature quasi primaverili. Quanto è “bianco”, ormai, l’Appennino in inverno?
«Diciamo che le cose sono molto cambiate, come racconta la storia delle stesse stazioni sciistiche. Negli anni Settanta, quando ci fu il famoso “piano neve” della Regione, nell’Appennino reggiano erano cinque – Civago, Febbio, Ospitaletto, Cerreto e Ventasso – mentre oggi ne sono rimaste tre, per non dire una più due dimezzate, con Civago e Ospitaletto che hanno visto cessare totalmente la funzionalità degli impianti. Tuttavia questi luoghi continuano ad essere frequentati da escursionisti, sciatori alpinisti, ciaspolatori. Dunque se da un lato il declino dello sci di discesa con gli impianti è incontestabile, dall’altro si registra una corrispondente crescita del fuori pista e di altri fronti del turismo invernale. I sentieri della neve, ad esempio, stanno diventando molto importanti: al di là della nostra iniziativa “Neve e natura” che riguarda le scuole, è in aumento l’utenza che si gode la neve a prescindere dagli impianti. Poi, naturalmente, l’augurio per l’impiantistica rimasta è che possa contare anche sull’innevamento artificiale, che in parte compensa gli effetti del cambiamento climatico».
Quanti sono, vent’anni che il Parco Nazionale lavora per destagionalizzare il turismo? Quanto è diffuso però questo tentativo?
«Sì circa 20 anni e, devo dire, con degli ottimi risultati che non dipendono però essenzialmente dal Parco. È una tendenza generale quella di destagionalizzare e, ormai, l’Appennino è frequentato dai turisti tutti i weekend dell’anno perché offre una grande varietà di possibilità: dalla raccolta di castagne e funghi in autunno alle escursioni a piedi o in bicicletta in primavera ed estate fino alle visite – tutto l’anno – di beni culturali e percorsi storici come la Pietra di Bismantova, i castelli, i Gessi Triassici, la via Matildica del Volto Salto. Questi luoghi sono frequentatissimi anche d’inverno».
Novità dello scorso anno, sull’Appennino reggiano, è stata la riapertura della stazione di Alpe di Cusna, chiusa ormai da un paio di stagioni. Come sta andando? Quali sono le aspettative?
«Alpe di Cusna ha presentato un progetto di rilancio al Ministero del Turismo ma ancora non sappiamo se questo importante finanziamento sarà dato dal governo. Io, devo dire, ci conto abbastanza. Quell’impianto, tra l’altro, ha già un orientamento alle quattro stagioni e funziona più d’estate che d’inverno. Questo è molto importante, anche considerando il problema neve sul Cusna. Poi c’è da dire che il successo turistico dipende da una capacità di accoglienza che va oltre il tema degli impianti e il Cusna, da questo punto di vista, ha una sua fortissima personalità: dal rifugio Monte Orsaro ai Prati di Sara. La seggiovia è certo un focus ma anche a Febbio non c’è più solo quella…e non mi riferisco solo alle biciclette d’estate. Ventasso, poi, è una realtà che se la cava con poco: c’è già una proporzione tra impianto, utenza e ambiente. Qui si è valorizzato molto il lago e i percorsi invernali attorno a quest’ultimo, che diventeranno sempre più attrattivi. Ma anche lo skilift potrà funzionare bene».
E Cerreto Laghi?
«A Cerreto il palaghiaccio – sul quale il Parco ha investito 700mila euro e che ha visto contributi della Regione – non è ancora aperto e questa è una nota negativa, anche in considerazione del fatto che questo impianto è stato individuato dal Politecnico di Milano come una specie di cattedrale turistica, sociale e civica di Cerreto Laghi. Inoltre è in costruzione una nuova seggiovia, anche se io ho molti dubbi sulla funzionalità di quell’intervento».
Cioè?
«Ho dubbi sul fatto che possa avere un grande futuro. I lavori sono in corso ma penso che ci si debba concentrare sulla parte alta dove manca l’innevamento artificiale, che prima poi bisognerà far ripartire. Inoltre c’è bisogno di infrastrutture di servizio come bar e ristoranti».
Quando le risulta che sarà inaugurata la nuova seggiovia Valle Fonda?
«Per Natale certamente non sarà pronta ma mi auguro possa avvenire nel corso della stagione, che comunque partirà. E aprirà anche il campo scuola accanto al lago del Cerreto».
Questo è uno degli interventi finanziati dalla Regione. Nei giorni scorsi l’assessore Corsini ha ricordato i 17 milioni di euro investiti negli ultimi anni per le stazioni del nostro Appennino. C’è soddisfazione nel Reggiano?
«La Regione c’è e dovrà continuare ad esserci perché questo è un settore in cui la transizione va sostenuta. Diciamo che le legge regionale 17 del 2002 – che finanzia al 100% gli impianti pubblici e al 70% quelli privati – nel reggiano è costata qualcosa, considerando che Cerreto ha un gestore privato e anche Febbio lo ha avuto fino a poco tempo fa (ora l’impianto è stato preso dal Comune). Questa differenza, insomma, ha complicato le cose per gli operatori che avevano virtuosamente assunto la responsabilità degli impianti.
Tuttavia sì, complessivamente c’è soddisfazione perché sono arrivati diversi finanziamenti e sostegni, anche per l’innevamento artificiale». l
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