Miriam D’Amico, la vigilessa che ha salvato una donna dal suicidio nel Volturno: dovevo dirigere il traffico, sono scesa in canoa

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difficile da pignorare

 


di
Gennaro Scala

La 35enne capuana che ha soccorso la persona disperata: «Ho sempre avuto una paura ancestrale del fiume ma non potevo immaginare che morisse». Il racconto del suo passato: il mio ex era un violento

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«Quando ho visto quella donna nel fiume ho pensato solo a cosa fare per salvarla. Così ho preso una canoa e l’ho raggiunta. E io non so usarla la canoa. Sono sicura che è stata la mano divina ad accompagnarmi». È il racconto di Miriam D’Amico, agente della polizia municipale di Capua, in provincia di Caserta. Trentacinque anni, tre figli e una carriera iniziata da poco, quando mercoledì mattina ha saputo che una donna, una 45enne di Vitulazio, aveva cercato di suicidarsi lanciandosi dal ponte romano nel fiume Volturno, non ha esitato un attimo. 

Un gesto coraggioso, il suo…
«Semplicemente, non riuscivo a veder morire una persona». 




















































Ci racconta come è andata?
«Mi trovavo di pattuglia in piazza quando mi è arrivata la chiamata dal comando che mi avvisava che una donna si era gettata dal ponte. Il mio compito sarebbe stato quello di regolare il traffico in attesa dei soccorsi». 

E invece ha fatto ben altro.
«Appena arrivata al ponte ho guardato giù per capire se fosse viva, se cercasse aiuto. Il corpo era inerte nell’acqua, aveva quasi la posa di chi cerca di proteggersi. Appena è arrivato un collega sono scesa giù, perché sapevo che c’erano delle canoe e ne ho presa una». 

È pratica di canoe?
«Non ne ho mai guidata una! E ho paura del fiume, una paura ancestrale. Ma mi sono detta che non potevo pensare a me e mi sono avvicinata». 

La donna era cosciente?
«Poco. Con il remo le ho toccato le mani, lei ha mosso le dita, ha alzato la testa e mi ha guardato. In quel momento ho tirato su un braccio per far capire a chi si trovava ancora sul ponte che era viva». 

E nessuno l’ha aiutata?
«La donna ha afferrato il remo, il fiume tirava tanto e io ho le ho detto “non ti preoccupare, ci sono io qui io con te, non ti lascio”. Cercavo di parlarle per non farla abbandonare alla corrente. Mi sono avvicinata di più e sono riuscita ad afferrarla e la tenevo con la testa alzata dall’acqua perché avevo paura che lei avesse un malore o annegasse. È in quel momento che sono arrivati i vigili del fuoco che mi hanno tirato una cima. Gliel’ho legata a un braccio e, lentamente, abbiamo guadagnato la riva». 

Ha salvato una vita. Come si è sentita in quel momento?
«Ho pianto quando l’ho vista con i soccorritori. Un pianto liberatorio».

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Come sta la donna?
«Ho chiesto notizie, so che sta meglio. Ho il desiderio di vederla, di andarla a trovare appena possibile». 

Nella Municipale è entrata da poco tempo, prima di cosa si occupava?
«Questa è un po’ come una seconda vita. Vengo da una storia difficile, in passato sono stata vittima di violenza domestica. L’arte, la musica in particolare, è sempre stata il mio modo per esorcizzare il dolore. Cantando e ballando cercavo qualcosa di bello. Ho composto anche dei brani musicali, fra cui “Libre”, un pezzo che parla proprio della violenza sulle donne. La mia storia è raccontata lì». 

Come le è venuta l’idea di entrare nella Municipale?
«Ho sempre adorato le forze dell’ordine. A 18 anni provato a entrare nell’Esercito, perché volevo aiutare le persone in difficoltà. Non ce la feci. Mi arrabbiai un po’ con me stessa perché forse non mi ero impegnata abbastanza. Lasciai andare per un po’, anni in cui ho pensato a crescere mio figlio con tanti sacrifici. E ho pensato ai miei genitori che si erano ammalati gravemente». 

E poi?
«Poi sono tornata sui libri perché la mia passione non si era mai sopita. Dopo quattro concorsi, sono riuscita a entrare in una graduatoria ed eccomi qui. Il primo incarico fu a Villa Literno, e già lì soccorsi un uomo che era stato minacciato da un altro con una pistola. Era grosso, alto quasi due metri. Ce la feci da sola».

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