Una delegazione di associati a Bruxelles per spiegare le difficoltà del settore primario e come le nuove regole imposte dall’Europa rischino di avere conseguenze pesanti sulla tenuta di diverse aziende agricole
Ha senso chiudere decine di allevamenti nella Bassa per importare più carne dal Sud America o dall’Est Europa? Il concetto di sostenibilità vale solo per la provincia di Brescia o per l’intero pianeta? Sono due degli enunciati utilizzati dai venti delegati di Confagricoltura Brescia nei loro tre giorni a Bruxelles (da martedì a giovedì) dove hanno incontrato una dozzina di europarlamentari italiani di vari gruppi politici, per chiedere loro di «aggiustare» il Green Deal.
Il piano strategico pensato dall’Europa cinque anni fa per contrastare i cambiamenti climatici e raggiungere la neutralità climatica al 2050, non è mai stato digerito da buona parte del mondo imprenditoriale bresciano. Due i provvedimenti più indigesti: la messa al bando dei motori endotermici al 2035 e un modello più sostenibile per il comparto agricolo. Tradotto: meno fitofarmaci, più spazio alle aree rinaturalizzate in mezzo alle colture intensive, regole più dure per gli allevamenti.
Misure diventate insostenibili con lo scoppio della guerra in Ucraina nel 2022, il conseguente l’aumento dei costi energetici, non sufficientemente compensati dai prezzi al produttore di latte e carni (troppo bassi). È lì che tra gli agricoltori del vecchio continente è nata una rabbia sorda, in parte sfociata nelle proteste dei trattori del febbraio 2024 ed nel letame sparso per la capitale d’Europa. Bruxelles ha in parte aggiustato il tiro, ammorbidendo le nuove regole sui fitofarmaci, togliendo l’obbligo di mantenere parte dei campi a riposo ed non introducendo l’obbligo di autorizzazione integrata ambientale per le stalle di bovine oltre i 150 capi.
Per Confagricoltura (così come altri sindacati agricoli, a partire dalla Coldiretti) serve altro per garantire la sopravvivenza delle 10mila imprese agricole bresciane. La provincia detiene il record italiano di produzione di latte (1,7 miliardi di litri l’anno, pari al 13% del totale nazionale) e conta quasi 1,3 milioni di suini (più di quelli allevati in tutta l’Emilia Romagna), il 15% di quelli allevati in Italia, un numero raddoppiato in 40 anni. Gli allevatori ricordano che il latte è fondamentale per la produzione di Grana Padano (la dop italiana più venduta al mondo con un valore di 1,8 miliardi) ed i maiali per la filiera del Crudo di Parma. Negli anni tante aziende hanno fatto ingenti investimenti per ammodernarsi. Hanno installato impianti biogas per ridurre le conseguenze dei nitrati. Si sono indebitate per realizzare sale mungitura robotizzate raggiunte liberamente dalle vacche. E i controlli di qualità hanno acclarato che questa era la strada giusta (nel latte non c’è traccia d’antibiotici).
Ma le nuove regole europee preoccupano. A partire dalla direttiva nitrati, che inserisce quasi tutta la Bassa in aree sensibile (dove i carichi d’azoto dovrebbero essere dimezzati). E così, visto che il nuovo parlamento europeo ha una nuova maggioranza più composita e precaria (L’Epp dove c’è Forza Italia è insieme a S&D dove siede il Pd, ad Ecr che include Fdi, ai Verdi e Renew) Confagricoltura ha pensato di incontrare diversi esponenti, ricordando loro il momento di difficoltà per il comparto. Da (quasi) tutti hanno ricevuto rassicurazioni. «Con gli altri capigruppo italiani (Herbert Dorfmann per i popolari e Dario Nardella per i social-democratici) abbiamo un buon allineamento e ora che c’è Raffaele Fitto come vicepresidente, anziché Timmermans, rivedremo una serie di vincoli del Green deal che sono stati devastanti» assicura il conservatore Carlo Fidanza, eletto nel collegio nord ovest. In sintonia con lui anche il conservatore Pietro Fiocchi ed i popolari Letizia Moratti e Massimiliano Salini.
Il banco di prova sarà a febbraio, quando andrà in aula la nuova strategia agricola. Dovrebbe passare senza problemi l’incentivo sulle cover crops, che permettono la coltivazione tutto l’anno dei terreni, con benefici in termini ambientali. Anche Giorgio Gori, ex sindaco Pd di Bergamo, ammette che «rispetto agli anni scorsi c’è un vento un po’ diverso» e che il comparto agricolo va tutelato: «Anche se si stanno inseguendo obiettivi nobilissimi non si possono pagare con la perdita di posti di lavoro. Un punto di compromesso lo si può trovare» dice al presidente di Confagricoltura Brescia Giovanni Garbelli, che nei suoi cahiers de doléances inserisce il tema della concorrenza sleale e delle importazioni da paesi extra Ue di prodotti che non hanno le stesse garanzie di qualità. «In Europa i bovini sono diminuiti del 9% ma è da preferire latte europeo a quello proveniente da altrove» sottolinea l’altoatesino Dorfmann (Epp) che però mostra qualche dubbio sulla concentrazione di stalle in determinate aree geografiche («vanno redistribuite, abbiamo tantissimi prati stabili in Europa»).
Mano tesa anche da Elisabetta Tovaglieri e dall’ex generale Roberto Vannacci, nonostante siedano all’opposizione con i Patrioti per l’Europa. A mettere in guardia gli agricoltori bresciani, ricordando loro di non credere a facili promesse, la sua collega Silvia Sardone. Il giorno successivo al rientro in Italia della delegazione, Von der Leyen firma l’ok al Mercosur, trattato di libero scambio con l’America del Sud. Nessuno degli europarlamentari ne aveva fatto cenno.
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