Il dibattito sul carcere divide la politica ma unisce le sofferenze

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L’Italia è stata più volte condannata per violazione della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, che vieta i trattamenti inumani e degradanti. E 61 suicidi in otto mesi rappresentano un’oggettiva emergenza. Per cambiare passo occorre superare la tradizionale frammentazione ideologica. Guardando alla Costituzione

Il rapporto tra giustizia e ideologia politica costituisce un nodo centrale nel dibattito contemporaneo sulla società italiana. La tradizionale dicotomia destra-sinistra, un tempo fondata su visioni contrapposte ma coerenti – conservatorismo e patriottismo da un lato, progressismo e laicità dall’altro – si è trasformata in una contrapposizione sterile e polarizzata, che troppo spesso trascura le implicazioni costituzionali e umane del sistema giustizia. Vedi, per esempio, alla voce carcere.

Sotto il profilo tecnico-giuridico, una delle derive più evidenti è la perdita di connotazione ideologica del “giustizialismo”, oggi adottato trasversalmente dai vari governi che si sono succeduti. I numerosi “pacchetti-sicurezza”, indipendentemente dal colore politico di chi li ha promulgati, riflettono una comune tendenza a privilegiare risposte emergenziali, spesso a scapito dei principi fondamentali sanciti dalla Costituzione.

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Una detenuta in cella – Creative Commons

La Costituzione ignorata

Uno degli elementi centrali del dibattito è il principio costituzionale della certezza della pena, che deve essere letto in combinazione con altri principi cardine, quali il giusto processo (art. 111 Cost.) e la presunzione di non colpevolezza (art. 27, co. 2, Cost.). La certezza della pena non implica una logica punitiva o “esemplare”, concetto del tutto estraneo al nostro ordinamento, ma richiede che la pena sia proporzionata, irrogata al termine di un processo equo e orientata alla rieducazione del condannato, come previsto dall’art. 27, co. 3, della Carta costituzionale.

La polarizzazione ideologica che permea il dibattito politico sembra ignorare questa impostazione costituzionale. Da un lato, una visione repressiva e securitaria spinge verso un diritto penale simbolico, fatto di interventi legislativi spesso privi di reale efficacia. Dall’altro, il rischio di un eccesso di buonismo, non accompagnato da adeguati strumenti di reinserimento sociale, può condurre a una sostanziale inefficacia del sistema punitivo.

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La cella d’isolamento presso il penitenziario di Jacques-Cartier a Rennes (Francia) – Creative Commons

Carceri: un’emergenza palese

Un esempio paradigmatico dell’incapacità di superare questa dicotomia è rappresentato dalla questione carceraria. I dati sono allarmanti: 61 suicidi in otto mesi costituiscono una palese emergenza costituzionale e sociale. Le condizioni delle carceri italiane violano in modo sistematico non solo l’art. 27 Cost., che impone il rispetto della dignità umana e la finalità rieducativa della pena, ma anche l’art. 3 Cost., che richiede l’uguaglianza e il trattamento equo di tutti i cittadini.

L’Italia è stata più volte condannata dalla Corte europea dei diritti dell’uomo per violazione dell’art. 3 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo (CEDU), che vieta i trattamenti inumani e degradanti. Le condizioni di sovraffollamento, l’inadeguatezza delle strutture e la carenza di programmi di reinserimento configurano una situazione che offende sia la Costituzione italiana sia gli obblighi internazionali assunti dal nostro Paese.

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Tuttavia, la crisi del sistema penitenziario non riguarda solo i detenuti. Gli agenti di polizia penitenziaria, costretti a lavorare in condizioni insostenibili, subiscono a loro volta una sistematica violazione dei loro diritti fondamentali, con implicazioni sul piano della salute fisica e mentale. Questa correlazione evidenzia come il degrado delle condizioni carcerarie rappresenti un problema trasversale che non può essere affrontato in modo settoriale o ideologico.

Il carcere di Sollicciano (Firenze) - Wikimedia Commons

Il carcere di Sollicciano (Firenze) – Wikimedia Commons

La necessità di una riforma

Per risolvere queste problematiche, occorre superare la tradizionale frammentazione ideologica del dibattito politico, adottando una prospettiva olistica e ancorata ai principi fondamentali della Costituzione. È necessario un sistema penale che bilanci in modo efficace i diritti della collettività con quelli dell’individuo, nel rispetto del principio di proporzionalità e della dignità umana.
L’art. 3 Cost., che impone l’eliminazione delle disuguaglianze sostanziali, deve guidare ogni intervento legislativo e amministrativo nel settore giustizia. Analogamente, l’art. 32 Cost., che tutela la salute come diritto fondamentale dell’individuo e interesse della collettività, dovrebbe essere il cardine per una riforma delle condizioni lavorative degli agenti e delle strutture sanitarie interne al sistema carcerario.

L’attuale governo, forte della competenza tecnica di alcune figure istituzionali, ha un’opportunità storica: inaugurare una stagione di riforme strutturali che, attraverso il rispetto rigoroso dei principi costituzionali e degli standard internazionali, contribuisca alla costruzione di un sistema giustizia più giusto, efficace e umano. Solo così sarà possibile trasformare il sistema penitenziario italiano da una realtà di emergenza cronica a un esempio di civiltà giuridica.

 

Vincenzo Candido RennaAvvocato cassazionista

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