Nel 2015 è stato attivato un Protocollo d’intesa tra il Dap, Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria e l’Unione delle Comunità ed Organizzazioni Islamiche in Italia (Ucoii) «con l’obiettivo di migliorare il modo di interpretare la fede islamica in carcere fornendo un valido sostegno religioso e morale ai detenuti attraverso l’accesso negli Istituti di pena di persone adeguatamente preparate». L’ultimo rinnovo «è scaduto lo scorso ottobre, stiamo aspettando la conferma», dice Hamdan Al-Zeqri, consigliere e delegato nazionale Ucoii per i rapporti con il Dap e gli istituti penitenziari.
«Le carceri nelle quali noi guide religiose (uomini e donne) offriamo servizio ai detenuti di fede musulmana sono, al momento, 25: Brescia, Milano Bollate, Varese, Torino (adulti e minori), Vercelli, Genova, La Spezia, Parma, Modena e Castelfranco, Reggio Emilia, Piacenza, Terni, Verona, Sassari, Pesaro, Arezzo, Firenze (adulti e minori), Pisa, San Gimignano, Siena, Teramo, Viterbo, Caltanissetta». Tra i detenuti più giovani la percentuale di stranieri, soprattutto provenienti da Paesi di religione islamica sta crescendo, don Luigi Burgio, cappellano del carcere minorile Beccaria di Milano, si è fatto portavoce della richiesta di essere affiancato da un imam nella cura spirituale di questi ragazzi. «Ne siamo contenti, non è stato ancora individuato il ministro di culto che prenderà questo incarico. Siamo tutti volontari e non è facile», dice Al-Zeqri, guida spirituale islamica per i detenuti nel carcere di Sollicciano, a Firenze.
Si stimano circa 10mila detenuti di religione musulmana
«Nell’istituto penale Sollicciano, dove vado il venerdì, sono 150-200, la stima è di circa 10mila persone di religione musulmana detenute in carcere in Italia. Ma questo numero è più basso di quanti sono nella realtà, molte persone non dichiarano la loro appartenenza religiosa. Oltre allo stigma di essere stranieri, di essere detenuti, a volte hanno paura di essere etichettati ancora di più, per il loro essere musulmani», continua Al-Zegri. «Noi imam interveniamo quando c’è un caso da seguire per prevenire certi fenomeni, come per esempio i conflitti etnici, l’autolesionismo e, a volte, per individuare problemi di radicalizzazione e di estremismi. Cerchiamo di coprire, per quanto possiamo, tutte le carceri, e di garantire una presenza costante».
L’imam di Sollicciano racconta che, in un programma radiofonico, che si chiama Liberi dentro, nato per creare un ponte «tra le carceri dell’Emilia-Romagna e il fuori, ogni venerdì c’è una trasmissione nella quale io ed un prete rispondiamo alle domande delle persone detenute musulmane su temi religiosi, sociali, sulla ricerca di riconciliazione, di perdono. È un progetto che è nato dalla pandemia, da aprile 2020, per cercare di essere accanto alle persone in carcere», spiega.
Noi imam cerchiamo di dare un’assistenza sociale, orientativa, di prevenzione del suicidio e del fanatismo
Hamdan Al-Zeqri, consigliere e delegato nazionale Ucoii per i rapporti con il Dap e gli istituti penitenziari
Prevenire la religione “fai da te”
«La nostra non è soltanto un’assistenza religiosa e spirituale, la nostra presenza ha un aspetto educativo molto forte. Tante persone riscoprono la fede dentro il carcere, quindi bisogna orientarli, prevenire non lasciarli alla religione “fai da te”. Noi imam cerchiamo di dare un’assistenza sociale, orientativa, di prevenzione del suicidio e del fanatismo. Molte persone in carcere sono disperate, c’è in qualche modo una radicalizzazione nella disperazione. In questi casi si perde la speranza, non si ha più niente da perdere, si diventa pericolosi sia per se stessi sia per gli altri», continua Al-Zeqri. I ministri di culto di religione musulmana offrono consulenza anche negli istituti penali minorili. «Purtroppo nei minori musulmani c’è un’alta tendenza al suicidio e all’autolesionismo». E spiega che «nell’Islam è assolutamente vietato l’autolesionismo, è uno dei peccati peggiori, e anche il suicidio è proibito».
“Collaboriamo con tutte le altre confessioni religiose”
In carcere «la solitudine è molto amplificata, c’è un rischio maggiore che ci si chiuda in se stessi, questo va affrontato con tutti gli strumenti a disposizione. Oltre alla preghiera in quello che definiamo il “venerdì della speranza”, noi dialoghiamo, ascoltiamo le domande e richieste, dal tappetino per pregare al rosario, dalla creazione di legami fino alla riconciliazione. Da quando ho iniziato, nel 2014, a frequentare le carceri, spesso mi è capitato di raccogliere richieste di riconciliazione con la persona ferita e la ricerca di ricostruire il legame con la propria famiglia. A volte», dice l’imam, «i genitori non vogliono più saperne di un figlio che è stato arrestato perché se ne vergognano. Cerchiamo di accogliere una persona detenuta nel suo complesso, collaboriamo con tutte le altre confessioni e con tutte le figure all’interno del carcere: la collaborazione è molto importante per salvare una persona».
I ragazzi detenuti apprezzano la bellezza del dialogo interreligioso
Hamdan Al-Zeqri, consigliere e delegato nazionale Ucoii per i rapporti con il Dap e gli istituti penitenziari
L’autostima «viene distrutta all’interno del carcere. C’è un alto analfabetismo sia culturale sia religioso. C’è una tendenza a non vedere più nella vita una luce. Inoltre, molti sono giovanissimi, senza documenti, non hanno mai avuto e non hanno una residenza. Certamente la collaborazione con la Chiesa Cattolica è importante, ad esempio, quando cerco un posto letto per ottenere la misura alternativa per una persona. Io sono a Sollacciano e don Gerardo, l’attuale vescovo, quando era il cappellano del carcere a volte mi sostituiva nei colloqui con i ragazzi quando non ci potevo andare. I ragazzi detenuti apprezzano la bellezza del dialogo interreligioso, hanno fiducia in noi, il fatto di vederci spesso entrare ed uscire insieme fa capire loro che lavoriamo per gli stessi obiettivi».
La riconciliazione tra il detenuto e la sua famiglia
Il pericolo della radicalizzazione «c’è sia per se stessi sia per gli altri. Quando una persona si trova in carcere, il suo progetto migratorio viene dichiarato fallito e spesso perde il legame con la propria famiglia, i suoi cari non vogliono accoglierlo per la misura alternativa per la vergogna, preferiscono proteggere il resto della famiglia e abbandonare lui che ha scelto questa strada: non vogliono più saperne. Una delle nostre più grandi sfide è la riconciliazione fra la persona detenuta e la sua famiglia. Continuiamo a lavorare su una teologia islamica delle carceri, dove usiamo solo un certo linguaggio molto semplice, raggiungibile a tutti. Normalmente noi usiamo l’arabo e l’italiano, la lingua che accomuna tutti. Abbiamo a che fare con persone provenienti dal Marocco, dall’Egitto, dalla Tunisia, dal Senegal, dalla Somalia, dal Pakistan».
Carenza di luoghi per il culto
Spesso non ci sono luoghi dignitosi per il culto all’interno degli istituti. «Solo alcuni hanno allestito un luogo solo per la preghiera per i musulmani, come quelli di Ferrara e di Prato», conclude Al-Zeqri. «A Sollicciano si usa la palestra per pregare, sono anche più di 80 le persone che partecipano alla preghiera del venerdì. I nostri ministri di culto quel giorno lasciano il loro lavoro per andare in carcere da volontari. Forse andrebbe un po’ strutturato questo servizio, da parte dello Stato, per permettere loro di andare non solo il venerdì, ma anche altri giorni. Abbiamo riscontrato dei risultati molto positivi dove sono presenti gli imam». A parlare è Izzedin Elzir, imam di Firenze.
“Le nostre carceri sono cimiteri aperti”
«In carcere siamo un punto di ascolto e i detenuti hanno bisogno di essere ascoltati più di ogni altra cosa. Durante il ramadan cerchiamo di condividere un pomeriggio con loro portando cibo da fuori, per farli sentire parte integrante della comunità. Uso una parola forte: le nostri carceri sono cimiteri aperti, cimiteri per i vivi purtroppo. Dobbiamo mirare al recupero di queste persone: è un bene per loro e per la società», continua Elzir.
Chi non ha una casa non può scontare la pena ai domiciliari
«A volte si sente dire da qualche politico che gli immigrati sono più criminali degli italiani. Dentro il carcere c’è una percentuale altissima di immigrati perché molti di loro, non avendo una casa, non possono scontare la pena ai domiciliari: devono scontarla tutta nell’istituto penitenziario». Per quanto riguarda la radicalizzazione, «nei momenti più difficili, nel 2015-2016, abbiamo visto che la maggior parte delle persone che hanno fatto gli attentati in Europa erano passate dal carcere e non dalle moschee, perciò abbiamo fatto dei programmi speciali anche per questo, che proseguiamo tuttora ma in misura minore: la situazione, fortunatamente, è migliorata rispetto a 10 anni fa. Avere un punto di riferimento per le persone detenute di religione islamica è importante per vari motivi: le fa sentire meno sole, possono parlare di temi legati alla religione ed, infine, è importante per la sicurezza».
Foto di apertura di Zaenal Abidin su Unsplash. Altre foto degli intervistati
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