I titoli di Stato italiani hanno sovraperformato quelli dell’eurozona nel 2024, ma cosa devono aspettarsi gli investitori nel 2025? Le agenzie di rating hanno espresso giudizi più positivi sul debito pubblico italiano, ma prevedono un aumento del rapporto debito/PIL. Il calo dei tassi di interesse sarà un fattore chiave l’anno prossimo tanto più che l’emissione di debito dovrebbe rimanere elevata. Si stima, infatti, che nel solo primo semestre dell’anno dovranno essere rifinanziati 140 miliardi di euro.
Con il debito pubblico italiano vicino alla soglia dei 3 mila miliardi e l’economia che ha rallentato la sua crescita, gli investitori in titoli di Stato si trovano di fronte a nuove sfide nel 2025, non solo interne, ma anche esterne, tra cui i rischi geopolitici e di dazi americani. Ma a differenza del passato, ci sono altri paesi dell’area euro in difficoltà: la Germania, che non è più la locomotiva d’Europa e andrà ad elezioni a febbraio, e la Francia alle prese con le incertezze politiche.
Per quanto riguarda l’Italia, il debito pubblico si è attestato a settembre i 2.962 miliardi e secondo le stime di Mazziero Research potrebbe collocarsi in un intervallo tra i 2.957 e i 2.980 mld a dicembre. Il Prodotto interno lordo, invece, ha avuto una crescita nulla nel terzo trimestre rispetto al secondo e di un +0,4% rispetto allo stesso periodo del 2023. In ogni caso, il giudizio complessivo delle agenzie di rating sul debito sovrano italiano è stato stabile o in miglioramento nella tornata di aggiornamenti autunnali.
Quale sarà l’andamento del debito pubblico italiano nel 2025?
Nell’ultima revisione del rating sul debito sovrano italiano, Morningstar DBRS ha modificato l’outlook da “stabile” a “positivo”, confermando il giudizio BBB (high), per riflettere “la migliore performance fiscale di quest’anno e la credibilità del piano fiscale a medio termine”.
Tuttavia, guardando al 2025, Javier Rouillet, senior vice president del team Global sovereign ratings di Morningstar DBRS, ricorda come il rapporto debito pubblico/PIL sia previsto in aumento e lo stesso probabilmente accadrà nel 2026, a causa soprattutto dei crediti d’imposta associati ai bonus edilizi.
“Dopo essere sceso al 134,8% del PIL nel 2023, leggermente al di sopra del livello pre-pandemia, il rapporto debito pubblico/PIL dovrebbe salire al 135,8% del PIL nel 2024 e al 136,9% del PIL nel 2025. Il piano fiscale prevede che il debito pubblico inizi a diminuire gradualmente nel 2027. Ciò dipenderà dalla capacità del governo di raggiungere avanzi primari in linea con i livelli pre-pandemia entro il 2028”, afferma Rouillet, che aggiunge: “A nostro avviso, si tratta di un obiettivo ambizioso, ma possibile”.
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Quanti titoli di Stato saranno emessi nel 2025?
L’emissione lorda di debito pubblico rimarrà elevata nel 2025. Secondo le previsioni contenute nell’outlook di Assiom Forex, l’associazione degli operatori finanziari, “senza shock significativi sui deficit di bilancio”, l’Italia sarà tra i paesi dell’area euro che avrà le emissioni più consistenti (320 miliardi di euro), seconda solo alla Francia (330 miliardi). In totale, si stimano collocamenti lordi di titoli di Stato per 1,3 mila miliardi, in linea con il 2024.
Il Belpaese, come gli altri stati dell’eurozona, dovrà fare i conti con il cosiddetto quantitative tightening, ossia la riduzione dei titoli di Stato detenuti dalla Banca centrale europea. Gli analisti prevedono che la BCE non reinvestirà in circa 410 miliardi di bond in scadenza, principalmente di quattro paesi: 110 mld della Germania, 85 mld della Francia, 70 mld dell’Italia e 54 mld della Spagna. Di conseguenza, Assiom Forex stima che le emissioni nette nell’Unione europea possano aumentare di 100 miliardi rispetto al 2024, arrivando al livello record di 840 mld (prima della pandemia del covid erano intorno ai 200 mld).
Nel 2025 l’Italia dovrà finanziare tra 100 e 110 mld di emissioni al netto dei bond in scadenza, che senza i reinvestimenti dei programmi di acquisto della BCE diventeranno circa 170 mld.
“Il proseguimento della politica monetaria espansiva della BCE è fondamentale sia per rendere più sostenibile il rifinanziamento del debito in scadenza, sia per supportare la crescita economica dei paesi UE”, si legge nell’outlook degli operatori finanziari italiani, per i quali l’utilizzo della leva fiscale, come auspicato dal piano Draghi, “resta lo strumento principale per sostenere un l’economia dell’area”.
Dove arriverà lo spread BTP-Bund nel 2025?
La discesa dei tassi di interesse, infatti, fa sì che lo Stato possa finanziarsi pagando interessi più bassi ai sottoscrittori dei BTP e degli altri titoli governativi. Chiaramente, l’altra faccia della medaglia è che gli investitori otterranno cedole più basse. Ma è anche importante che non aumenti il rischio-paese, misurato dallo spread rispetto alle emissioni di pari scadenza tedesche (Bund decennale). Mentre scriviamo, il rendimento (yield) del BTP decennale è del 3,18%, contro il 2,10% del Bund tedesco, titolo preso a riferimento per l’eurozona.
“A nostro avviso, dato il fabbisogno finanziario ancora considerevole, il successo dell’Italia nella riduzione del deficit fiscale e nell’attuazione degli investimenti e delle riforme previste dal Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR) resterà importante per preservare la fiducia degli investitori e ridurre il rischio di un ampliamento degli spread in futuro”, spiega Rouillet di Morningstar DBRS.
Nel corso del 2024, lo spread tra il BTP e il Bund è passato dai 166 punti di gennaio ai 121 di inizio dicembre. Per Mauro Valle, Head of fixed income di Generali Asset Management, “le prospettive sono positive anche per il 2025 e non si esclude che il trend di consolidamento possa continuare sino ai 100 punti”.
“I motivi di supporto sono molteplici: una crescita economica attesa per il 2025 in linea, se non meglio, di quella dell’eurozona e stimata al momento allo 0,8% circa; una legge fiscale che cerca di sostenere la crescita e la capacità di spesa delle famiglie con un livello di deficit accettabile per i mercati e l’Unione europea; i giudizi delle agenzie di rating che negli ultimi mesi sembrano orientate a migliorare le loro opinioni. A tutto questo si deve aggiungere la situazione politica sia in Francia che in Germania in un contesto debole per le attività manifatturiere, che rende i titoli governativi di questi paesi un po’ meno ‘sicuri’ per gli investitori o, in altre parole, più volatili rispetto ai livelli osservati nel passato”.
In effetti, l’andamento dei titoli di Stato italiani non può essere valutato in modo disgiunto da quello che sta accadendo negli altri paesi europei. Per Antonio Cesarano, Chief global strategist di Intermonte, sullo spread BTP-Bund potrebbero incidere almeno tre fattori il prossimo anno:
1) La percezione di rigore di bilancio da parte del governo italiano;
2) Gli afflussi verso l’Italia derivanti dalla percezione di difficoltà della Francia nei conti pubblici;
3) La possibilità che la Germania aumenti le emissioni dopo le elezioni del 23 febbraio per finanziare le politiche fiscali espansive e gli investimenti.
“Questi tre fattori depongono mediamente a favore di una buona tenuta dello spread, che complessivamente potrebbe oscillare nel range 100/150 punti base nel corso dell’anno”, afferma Cesarano.
Chi comprerà i titoli di Stato italiani?
Tassi di interesse in calo e spread contenuto sono elementi positivi per i titoli di Stato italiani, tuttavia rimane aperta la questione su chi comprerà circa 170 miliardi di emissioni? Anche perché è bene ricordare che dal punto di vista dell’investitore, yield più bassi fanno sì che le obbligazioni governative siano meno attraenti rispetto ad altri investimenti con rendimenti potenzialmente maggiori.
“Il contributo degli investitori retail è previsto in netta diminuzione perché i portafogli degli italiani sono già notevolmente sovraesposti sui BTP – il 65% del totale, livello record rispetto ai minimi, tra il 20% e il 30%, toccati tra il 2012 e il 2016. Si stima che l’anno prossimo il Tesoro potrà contare su circa 40 miliardi di investimenti retail rispetto ai 125 mld del 2023 e ai 54 mld del 2024”, si legge nell’outlook Assiom Forex.
“In assenza della BCE, il ruolo degli investitori esteri dovrà essere preponderante, pari a circa il 60% delle emissioni nette, una percentuale molto ambiziosa ma teoricamente raggiungibile in un contesto di volatilità stabile, dato che le recenti emissioni (BTP 7 e 30 anni) hanno avuto una domanda record (200 miliardi) collocata per l’80% all’estero”, scrivono ancora gli operatori finanziari associati ad Assiom Forex.
Anche per Michele Bovenzi, Head of discretionary portfolio management Italy di Deutsche Bank, “guardando al prossimo anno, la domanda estera sarà cruciale per i BTP, con una politica monetaria più accomodante della BCE e la necessità, soprattutto nella prima parte del 2025, di alimentare il fabbisogno con nuove emissioni nette. Alla luce di questo, ci aspettiamo che lo spread rimanga nel range attuale con la possibilità di un lieve allargamento, dovuto esclusivamente al fatto che oggi siamo nella parte più bassa del range di oscillazione”.
Quali sono i rischi per gli investitori in BTP?
Il rischio repricing è maggiore nella prima parte dell’anno quando dovranno essere rifinanziati 140 miliardi di titoli in scadenza ed è probabile che si faccia ricorso ai piccoli risparmiatori italiani, come è stato fatto in passato con il BTP Valore, anche se non è detto che verrà utilizzata la stessa formula.
Tuttavia, nel 2025, i rischi principali per gli investitori in titoli di Stato provengono dall’esterno e sono soprattutto di carattere geopolitico. Cesarano fa riferimento in particolare a eventuali escalation dei conflitti in corso e ai dazi minacciati da Trump.
“Sul fronte geopolitico l’arrivo di Trump potrebbe portare ad eventuali compromessi, in particolare nella guerra Ucraina-Russia. Per quanto riguarda i dazi, invece, occorrerà verificare quanto le minacce si riveleranno armi negoziali per cercare di arrivare ad un accordo più ampio su diverse tematiche, tra cui anche la spesa per la difesa”, dice lo strategist di Intermonte.
L’autore o gli autori non possiedono posizioni nei titoli menzionati in questo articolo. Leggi la policy editoriale di Morningstar.
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