Si allargano i «patti digitali» in venti comuni di tutta la regione: «Il numero delle adesioni è in crescita, il fattore fondamentale è creare una consapevolezza»
In Australia a fine novembre il parlamento ha deliberato il divieto all’uso dei social per i ragazzi under 16 con una delle indicazioni più restrittive esistenti al momento verso piattaforme come Tik Tok, Instagram e Facebook. Due anni fa con presupposti simili era partito in Veneto un progetto pilota per vietare ai ragazzini l’accesso ai social fino alla terza media.
L’obiettivo comune
Ora ai precursori di Ponte nelle Alpi si sono aggiunti venti altri gruppi in tutta la regione che coinvolgono ormai più di duemila famiglie. Per tutti l’obiettivo è simile: una stretta a tutto tondo, che passa dagli smartphone ai social (anche su computer e tablet) fino alla necessità per i ragazzini di «studiare» i device e i social network prima di cominciare ad usarli con tanto di patentino digitale. Ai gruppi si aderisce su base volontaria (dei genitori ovviamente). L’adesione prevede anche la condivisione delle difficoltà (di fronte all’opposizione dei figli alle nuove regole ad esempio) ma soprattutto la nascita di relazioni tra famiglie, con le scuole, con i gruppi sportivi. Un modo come un altro per non far sentire i ragazzi soli. «Il digitale fa parte della nostra realtà, non vogliamo negare questo ma ci sono molti modi di usarlo» aveva raccontato avviando la sperimentazione di Ponte nelle Alpi nel 2022 Alex Fagro uno dei fondatori che ora aggiunge: «L’esperimento ha funzionato, la chiave principale sta nelle reti di amici che li sostengono. Se i nostri figli si sentono meno soli diventa meno difficile per tutti portare fino in fondo il progetto. Uno dei punti di partenza dei patti è parlarne coi ragazzi».
Le adesioni spontanee
La sfida, in realtà vale un po’ per tutti. Chi non ha mai avuto la tentazione, con un figlio di due anni al ristorante di dargli in mano il cellulare, fargli vedere un cartone animato e continuare beatamente a chiacchierare? Tutti. E chi lo nega mente. Non farlo è complesso, comporta un impegno doppio. Ma può cambiare veramente le cose. Sia detto che in Italia secondo un decreto legislativo del 2018 l’età minima per utilizzare i social è 14 anni. Quindi la proposta dei «Patti digitali» di fatto non farebbe che applicare la legge, ormai però uniformemente disattesa. Ma loro? I «piccoli» che cosa dicono dei patti? Accanto ai bambini in età da elementari che aderiscono in modo spontaneo (come a dire se una cosa non l’hai provata non può certo mancarti) ci sono gli adolescenti che accettano invece spesso «loro malgrado». «Pietro, mio figlio ogni tanto sbotta “Proprio a me dovevano capitare due genitori così fissati?” — spiega Antonella Galantin dei Patti digitali di Belluno — Al di là di questo sente che quello che facciamo ha un senso progettuale ed è per lui». «Il numero delle adesioni è in crescita — spiega anche Marco Bianchet, dei patti digitali di Belluno — il fattore fondamentale è creare una consapevolezza. Una mamma del gruppo ci ha raccontato che ha fatto la prova con la sua bimba: le ha tolto il parental control e le ha mostrato al termine della settimana quanto era rimasta collegata ai social. Si è stupita perfino lei. Il tema sta tutto lì, nel conoscere il mezzo, comprenderlo, nel non farsi fagocitare».
La circolare ministeriale
Anche per questo sono sempre di più le scuole medie e non solo che decidono di ritirare i cellulari all’ingresso degli studenti in classe o che, di fronte ad uno squillo o ad un sms imprevisto, chiudono il device a doppia mandata nell’armadio blindato dell’istituto attendendo l’arrivo dei genitori per restituirlo agli studenti. Ben prima che diventasse operativa la circolare del Ministro Valditara che vieta dal prossimo anno scolastico l’utilizzo del cellulare a qualsiasi scopo, anche didattico, «perché io non credo che si faccia buona didattica con un cellulare fino alle scuole medie».
Il bisogno di disconnessione c’è e sta aumentando come testimonia l’aumento delle adesioni ai camp estivi e invernali «come una volta», ovvero immersi nella natura e in total disconnection ma per realizzare fino in fondo la nascita di una nuova consapevolezza si deve partire dalla quotidianità.
«Tutti abbiamo davanti agli occhi la realtà dei ragazzini che, di fronte a uno di loro che tira fuori lo smartphone smettono di giocare e si assiepano intorno al device — dice Sara Armellin, dei Patti digitali di Silea — il Covid ha inevitabilmente avvicinato i ragazzi ai social network ma così li stava disconnettendo dalla vita vera. Abbiamo provato a cambiare la rotta e sta funzionando». A dirlo sono in numeri, le duemila famiglie aderenti ma anche il fatto che dopo i gruppi «esplosi» nel Bellunese (Borgo Valbelluna, Feltre, Sospirolo, San Gregorio nelle Alpi, Santa Giustina, Cesiomaggiore) quella che poteva sembrare una caratteristica tutta Dolomitica è scesa a valle, coinvolgendo il Trevigiano (Silea, Mareno di Piave, Vazzola e Treviso città) ma anche il Padovano (Curtarolo, Campo San Martino, Piazzola sul Brenta, Torreglia) il Veneziano (Miano e Martellago) e Vicenza.
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