In Siria il regime del presidente Bashar al Assad è caduto quasi quattordici anni dopo l’inizio di una rivolta contro di lui e oltre mezzo secolo dopo che suo padre inaugurò la brutale dittatura della sua famiglia. I ribelli guidati dal gruppo islamista Hayat tahrir al Sham (Hts) hanno preso il controllo di Damasco nelle prime ore di domenica dopo aver dilagato in tutto il paese nei dodici giorni precedenti.
La rapida fine di questa lunga tirannia ha scatenato l’esultanza di molti siriani, ma suscita anche profonde incertezze su ciò che succederà in seguito in un paese che si trova nel cuore strategico del Medio Oriente. Come siamo arrivati a questo punto?
Le scene straordinarie di ribelli e oppositori civili del regime che festeggiano in tutto il paese sono la conclusione del lungo periodo delle primavere arabe, cominciate alla fine del 2010. All’inizio del 2011 Assad escludeva la possibilità che rivoluzioni come quelle viste in Tunisia e in Egitto avrebbero travolto la Siria. Si sbagliava. Nel marzo di quell’anno, nella città meridionale di Deraa, nacque una protesta contro le torture commesse su alcuni bambini accusati di aver dipinto dei graffiti contro il regime. Le forze governative risposero aprendo il fuoco sui manifestanti, provocando una rivolta più vasta, che presto si diffuse a livello nazionale e si trasformò in una guerra civile.
Il potere di Assad subì enormi pressioni nei primi anni del conflitto. Ma il sostegno da parte dell’Iran, del gruppo armato libanese filoiraniano Hezbollah e – a partire dal 2015 – della Russia ha contribuito a far volgere le sorti del conflitto a favore del regime. La scarcerazione calcolata di alcuni miliziani detenuti ha alimentato l’ascesa dei movimenti jihadisti, soprattutto del gruppo Stato islamico (Is). Dopo la diffusione dei video delle decapitazioni di ostaggi occidentali e i letali attacchi terroristici in Europa, i paesi occidentali hanno lanciato alcune azioni militari e attacchi aerei contro l’Is.
Questa combinazione di eventi ha aiutato Assad a riprendere il controllo sulla maggior parte del territorio siriano, mentre i gruppi ribelli sunniti venivano respinti nella provincia nordoccidentale di Idlib, sotto la protezione della Turchia. Ankara ha anche schierato le sue truppe nelle aree settentrionali per controllare le enclavi in cui erano insediate altre fazioni ribelli, nel tentativo di respingere i combattenti curdi lontano dal proprio confine.
Perché la Siria è così importante nella regione?
La Siria è un crocevia, con la Turchia a nord, l’Iraq e l’Iran a est, la Giordania e gli stati del Golfo a sud, e il Libano, Israele e il mar Mediterraneo a ovest. La capitale Damasco e nel nord Aleppo, seconda città del paese, sono entrambe abitate da millenni, e questo fa di loro due tra i centri urbani più antichi al mondo. La Siria è stata a lungo oggetto delle mire di molte potenze straniere e spesso occupata in parte o completamente, ad esempio dai romani, dai crociati e dagli ottomani.
Dopo la seconda guerra mondiale il paese ottenne l’indipendenza dalla Francia, ma quello che seguì fu un periodo d’instabilità, con molti tentativi di colpi di stato causati da conflitti tra gruppi rivali. Nel 1963 un golpe determinò la creazione di un governo con un partito unico, il Baath. Nel 1970 il padre di Bashar al Assad, Hafez, ministro della difesa ed ex comandante dell’aeronautica, conquistò il potere. Si presentava come un socialista arabo, nazionalista e laico, ma gestì la Siria come uno stato di polizia.
Hafez al Assad represse spietatamente il dissenso. L’episodio più tristemente famoso è il massacro nel 1982 di decine di migliaia di persone nella città di Hama, nel centro del paese. La Siria aveva stretti legami con l’Unione Sovietica prima del suo crollo, e molti funzionari e ufficiali militari andavano a formarsi nel paese.
Quando nel 2000 Hafez al Assad morì, salì al potere suo figlio Bashar, all’epoca 34enne. Bashar, un oftalmologo che aveva studiato nel Regno Unito, sposato con una banchiera britannico-siriana, dava di sé un’immagine di modernità e riformismo. Il presidente siriano fu accolto con favore dai leader occidentali, come il primo ministro britannico Tony Blair, che nel 2002 ospitò lui e sua moglie Asma a Downing Street.
Ma le reazioni internazionali non rispecchiavano quello che succedeva in Siria. Il regime soffocò il momentaneo attivismo politico seguito alla morte di Hafez al Assad, noto come la primavera di Damasco, e continuò a mantenere il paese in una morsa strettissima fino a quando, nel 2011, l’opposizione repressa è insorta di nuovo.
Qual era la base di potere di Assad e cosa succederà ora?
La famiglia Assad appartiene alla confessione alawita, concentrata soprattutto nella regione occidentale del paese, compresa la costa mediterranea. Il credo alawita è simile a quello dell’islam sciita, la religione ufficiale dell’Iran. Il dominio degli alawiti all’interno del regime e i loro remunerativi affari clientelari hanno causato un profondo risentimento tra molti siriani.
La maggioranza della popolazione è costituita da arabi musulmani sunniti, ma il paese comprende molte minoranze etniche e religiose. Si stima che il 10 per cento degli abitanti siano curdi, che abitano soprattutto nel nordest del paese. Prima della guerra, anche i cristiani rappresentavano, secondo le stime, circa il 10 per cento della popolazione.
Molti alawiti, e tra loro anche degli oppositori del regime, temono la possibilità di rappresaglie ora che Assad è uscito di scena. Altri siriani di varie appartenenze aspettano con ansia di vedere come governeranno i vincitori islamisti.
Quali sono gli effetti della vittoria dei ribelli?
Il conflitto in Siria ha avuto una portata tanto globale quanto regionale, coinvolgendo le potenze straniere e scatenando una crisi dei rifugiati internazionale. Il sostegno militare russo ad Assad ha permesso a Mosca di consolidare ed espandere la sua presenza in Siria, snodo vitale in Medio Oriente per il presidente Vladimir Putin. La Russia ha una base navale nel Mediterraneo, a Tartus, e una aerea a Khmeimim. Il destino di queste infrastrutture e di altre attività russe nel paese non è chiaro.
Secondo le Nazioni Unite, il conflitto siriano ha causato più di quattordici milioni di sfollati. Quasi cinque milioni di rifugiati siriani sono in Turchia, Libano, Giordania, Iraq ed Egitto. Più della metà si trovano in Turchia.
Questo esodo ha causato tensioni politiche in Europa, soprattutto nel periodo di picco del flusso di richiedenti asilo, a metà degli anni dieci del duemila. Nel 2021 la Germania ospitava più di mezzo milione di rifugiati siriani, secondo le Nazioni Unite. In molti paesi europei i partiti di estrema destra hanno guadagnato consensi facendo campagne contro l’arrivo dei siriani e di altri richiedenti asilo.
Durante la guerra la Siria è stata la fonte di una droga molto diffusa in Medio Oriente, il captagon. Si stima che questa droga abbia generato miliardi di dollari di introiti per il regime e i suoi alleati durante il conflitto, e che sia una delle tante risorse in palio per chi riuscirà a metterci le mani, ora che l’epoca degli Assad è finita.
Perché ci sono truppe statunitensi in Siria?
Il principale intervento militare statunitense in Siria è avvenuto nel corso della campagna del 2014, per respingere il califfato proclamato dall’Is su vaste aree di territorio iracheno e siriano. Le truppe statunitensi hanno collaborato con i ribelli delle Forze democratiche siriane, guidate dai curdi nel nord e nell’est del paese. Dopo la cacciata dell’Is, un contingente militare americano è rimasto in Siria.
Altri soldati statunitensi sono dislocati nella base di Tanf, vicino al confine con l’Iraq e la Giordania. Secondo il Pentagono, oggi in Siria ci sono in totale circa novecento militari statunitensi.
La presenza militare statunitense dipenderà non solo dagli sviluppi politici a Damasco, ma anche dal ritorno di Donald Trump alla presidenza il prossimo mese. Nel 2018, durante il suo primo mandato, Trump aveva chiesto il ritiro delle truppe dalla Siria, ma una partenza completa dei militari non c’è mai stata, in parte per timore che la Russia e l’Iran avrebbero potuto trarne un vantaggio.
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