Sono 52 gli Stati del mondo che vivono situazioni di conflitto armato (erano 55 nel 2022). Si tratta di guerre sempre più gravi e cruente. Aumenta infatti il numero di guerre ad altissima (da 3 a 4) e alta intensità (da 17 a 20) e il numero dei morti: 170.700, il più alto dal 2019. Tragico è il dato record sul numero di bambini uccisi e menomati: 11.649 nel 2023, con un aumento del 35% rispetto all’anno precedente. È record anche il numero di bambini rapiti: 4.356 nel 2023, in maggioranza maschi. È perciò al massimo storico anche la spesa militare mondiale: 2.443 miliardi di dollari, per la prima volta in crescita in tutti i continenti (+6,8%).
Sono i principali dati contenuti nell’ottavo Rapporto sui conflitti dimenticati di Caritas italiana, a cura di Paolo Beccegato e Walter Nanni, intitolato Il ritorno delle armi. Guerre del nostro tempo, realizzato in collaborazione con CSVnet, la rete nazionale dei centri per il volontariato. Il volume (la prima edizione è stata nel 2002) è stato presentato oggi a Roma. Il focus è sul peso mediatico delle guerre nell’agenda informativa, con particolare attenzione agli aspetti umanitari e al legame tra guerra, ambiente e transizione ecologica.
Guerre con più vittime e più cruente
Secondo i dati del Sipri nel mondo sono 4 le guerre ad altissima intensità, con più di 10 mila morti (erano 3 nel 2022): il conflitto tra Israele e Hamas e tra Russia e Ucraina, le guerre civili in Myanmar e in Sudan. Sono invece 20 le guerre ad alta intensità, ossia con un numero di morti che oscilla tra 1.000-9.999. Erano 17 nel 2022. Tutti i conflitti nel mondo hanno causato 170.700 morti (erano stati 153.100 nel 2022), il numero più alto dal 2019.
Meno operazioni e operatori di pace
Sono state 63 le operazioni multilaterali di pace (64 nel 2022), un terzo coordinate dall’Onu, con 100.568 operatori civili e militari impegnati in operazioni di pace (dicembre 2023). Erano 114.984 nel 2022. La spesa militare mondiale è salita al massimo storico di 2.443 miliardi di dollari. Per la prima volta dal 2009 si registra un aumento delle spese militari in tutti i continenti: +6,8%, ossia il 2,3% del Pil globale, 306 dollari a persona. Negli Stati Uniti è stata di 820 miliardi di dollari (+2,3%), in Cina di 296 miliardi di dollari (+6%), in Russia di 109 miliardi di dollari.
Bambini uccisi o mutilati
Secondo i dati diffusi nell’ultimo Rapporto dal Segretario generale Onu per i bambini e i conflitti armati nel mondo sono state registrate 32.990 gravi violazioni contro i bambini in 25 conflitti nazionali e nel conflitto regionale del bacino del Lago Ciad, cifra record dal 2005.
Si tratta di uccisioni e menomazioni (il numero più alto mai registrato, 11.649 nel 2023, con un aumento del 35%); reclutamento e utilizzo dei minori in gruppi e forze armate; violenza sessuale; rapimenti; attacchi a scuole e ospedali; diniego dell’accesso umanitario. È aumentato anche il numero di bambini rapiti nei conflitti armati, raggiungendo per il terzo anno consecutivo un massimo storico: 4.356 bambini rapiti nel 2023, la maggior parte maschi.
La situazione in Ucraina
Nel febbraio 2022 sono stati riportati 1.682 attacchi alla salute dei minorenni, a danno di operatori sanitari, forniture, strutture, magazzini e ambulanze e oltre 3.000 attacchi a strutture educative, che hanno lasciato circa 5,3 milioni di bambini ucraini senza un accesso sicuro all’educazione.
Quasi 300 milioni di persone nel mondo dipendono dagli aiuti umanitari, secondo i dati dell’agenzia Onu per gli affari umanitari Ocha. Tra questi 74,1 milioni si trovano in Africa orientale e meridionale. La guerra in Sudan ha generato nel 2023 bisogni umanitari per 15,8 milioni di persone, stimate a 30 milioni di persone per il 2024. Ben 3,5 milioni di loro sono bambini. Il Sudan è il Paese con il più alto numero di bambini sfollati in tutto il mondo.
Guerre “evitabili”
Il rapporto indaga, tramite un sondaggio di Demopolis, anche la percezione degli italiani rispetto alle guerre. L’80% le considera “avvenimenti evitabili” (75% nel 2021). Il 71% è in grado di citare almeno una guerra degli ultimi cinque anni (53%). Il 65% si interessa di cronaca locale, non di grandi eventi internazionali (82%). Il 72% vorrebbe potenziare il ruolo dell’Onu (74%). Il 74% non vuole interventi armati, ma il ricorso alla mediazione politica (62%).
Conflitti dimenticati dai Tg italiani
L’Osservatorio di Pavia monitora invece quanto e come si parla di conflitti sui Tg italiani. Nel 2022, le notizie sulle guerre sono state 4.695, pari all’11,7% di tutte le notizie (42.271). Il 96,5% delle notizie di guerra parlano dell’Ucraina, il 3,5% parla di Afghanistan e Siria. Nel 2023, le notizie sulle guerre sono state 3.808, pari all’8,9% di tutte le notizie (42.976). Il 50,1% è concentrato sul conflitto israelo-palestinese, il 46,5% sulla guerra in Ucraina, il restante 3,4% è distribuito su 15 Paesi in guerra. In un anno 6 Paesi in guerra (Bangladesh, Etiopia, Guatemala, Honduras, Iraq e Kenya) non hanno avuto nessuna copertura mediatica.
A fronte di questa situazione il Servizio Cei per gli interventi caritativi per lo sviluppo dei popoli ha finanziato 1.351 progetti in 28 Paesi interessati da conflitti a estrema o alta gravità dal novembre 2018 al 31 ottobre 2024. Sul totale dei 2.321 progetti complessivi finanziati dalla Cei tra il 2018 e il 2014, oltre la metà (58,2%) ha riguardato Paesi in guerra (57,6% dei fondi erogati).
Beccegato: «Situazione internazionale molto grave»
«Tutti i dati raccolti da altre ricerche e da agenzie ufficiali delineano un quadro gravissimo, sia per il crescere delle guerre ad alta e altissima intensità, sia per la crescita del numero dei morti e delle persone che dipendono dagli aiuti umanitari, sia del numero di rifugiati nel mondo, più che raddoppiati», commenta Paolo Beccegato, co-curatore del volume insieme a Walter Nanni.
Un altro aspetto preoccupante è che oggi i conflitti «in Ucraina, a Gaza e in parte del Medio Oriente sono tra Stati e tra blocchi e rispettivi alleati. Questi indicatori dimostrano che la situazione geopolitica internazionale è molto grave», sottolinea.
Da quiun triplice appello per «per una pace basata sulla tutela dei diritti e non sulla logica del più forte»: rilanciare «il dialogo», entrando «in logiche win-win in cui tutti possono vincere». Inoltre, prosegue, «in questi 25 anni di ricerche abbiamo individuato che la povertà, il degrado ambientale, la speculazione finanziaria e il mercato delle armi sono fattori interconnessi con l’insorgere della violenza armata organizzata. Lottare contro questi fattori è minare il terreno fertile dove attecchiscono le guerre». Infine bisogna «ragionare sulle strutture, sui valori, sull’educazione e la cultura su cui costruire un ordine internazionale in cui la pace non è solo assenza di guerra ma armonia tra società».
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