Il cinismo dell’Europa sui rifugiati: la sospensione dello status di asilo e il rischio di rimpatri in zone di guerra per i profughi siriani e ucraini (Aurelio Tarquini)

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La notizia che anche Svezia, Norvegia, Danimarca, Finlandia, Regno Unito e Svizzera, dopo Austria e Germania, abbiano deciso di sospendere lo status di asilo per i rifugiati siriani e procedere al loro rimpatrio in Siria ha sollevato preoccupazioni e indignazione. Questa decisione non solo contraddice i principi fondamentali del diritto internazionale, ma mette a rischio la vita di migliaia di persone che, fuggendo dalla guerra, dalla persecuzione e dalla distruzione, hanno cercato rifugio in Europa.

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La questione assume contorni ancora più inquietanti alla luce delle discussioni interne alla UE su un possibile rimpatrio dei rifugiati ucraini, in un apparente tentativo di rifornire Kiev di nuove leve per continuare il conflitto contro la Russia.

Il diritto internazionale, sancito dalla Convenzione di Ginevra del 1951, stabilisce l’obbligo per gli Stati di garantire protezione a chi fugge da guerre e persecuzioni. Rimpatriare i rifugiati siriani in un paese ancora devastato da conflitti e instabilità significa ignorare palesemente questi principi.

La Siria rimane una nazione in cui il controllo del territorio è frammentato tra il regime di Assad, gruppi armati e organizzazioni terroristiche islamiche. Per molte di queste persone, tornare in Siria equivale a una condanna a morte, sia per i rischi di persecuzione politica sia per l’impossibilità di condurre una vita sicura e dignitosa.

Questa scelta da parte di alcuni tra i paesi più sviluppati e democratici del mondo dimostra un atteggiamento cinico e calcolatore: i rifugiati siriani non sono più considerati esseri umani da proteggere, ma un “peso” da eliminare in nome della politica interna e delle strategie di consenso. In un’Europa che si professa baluardo dei diritti umani, queste politiche svelano un doppio standard ipocrita. L’accoglienza viene garantita solo quando politicamente utile, ma viene negata quando diventa scomoda.

Le dichiarazioni ufficiali secondo cui alcune regioni della Siria sarebbero ormai “sicure” rappresentano una distorsione della realtà. In molte aree del paese, la popolazione civile continua a vivere sotto la minaccia di gruppi terroristici, milizie armate. Per chi è fuggito, tornare significa non solo affrontare le devastazioni materiali della guerra, ma anche la possibilità concreta di persecuzioni personali, arresti o peggio.

Eppure, l’Unione Europea sembra determinata a ignorare questi fatti. La priorità sembra essere quella di ridurre il numero di rifugiati sul proprio territorio, indipendentemente dalle conseguenze umanitarie. Questa politica manda un messaggio inquietante: i principi umanitari valgono solo quando non interferiscono con interessi politici o economici.

A peggiorare il quadro, all’interno dell’Unione Europea si starebbe discutendo anche il possibile rimpatrio dei rifugiati ucraini. Questa ipotesi, se confermata, sarebbe un atto di cinismo senza precedenti. I rifugiati ucraini sono stati accolti in Europa all’inizio del conflitto con grandi manifestazioni di solidarietà. Ora, però, con il prolungarsi della guerra e l’esaurirsi delle risorse, il loro ritorno in patria sembra essere considerato una “soluzione” conveniente.

Ma il rimpatrio dei rifugiati ucraini non risponderebbe solo a considerazioni economiche. Dietro questa proposta si nasconderebbe un disegno ancora più inquietante: offrire a Zelensky nuove risorse umane per rafforzare le fila di un esercito ormai esausto, trasformando civili in “carne da cannone” per prolungare il conflitto. È una logica disumana, che sacrifica la vita di migliaia di persone in nome di interessi geopolitici.

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Queste politiche segnano un drammatico fallimento morale per l’Europa. La stessa Unione Europea che si erge a paladina dei diritti umani nel mondo sembra incapace di applicare tali principi sul proprio territorio. Il messaggio inviato al resto del mondo è chiaro: i diritti umani sono una questione di convenienza politica, non di etica universale.

Nel caso dei rifugiati siriani, la decisione di rimpatriarli in un paese ancora devastato dal conflitto mostra che l’Europa è disposta a sacrificare vite umane pur di rispondere alle pressioni interne per limitare l’immigrazione. Nel caso degli ucraini, la possibilità di rimpatriarli per rafforzare lo sforzo bellico di Kiev rivela un cinismo ancora più profondo, che vede gli esseri umani non come individui da proteggere, ma come risorse da sfruttare.

L’Europa si trova a un bivio. Le scelte che verranno prese nei prossimi mesi definiranno il suo ruolo nel mondo per gli anni a venire: un faro di umanità e giustizia, o una potenza ipocrita pronta a tradire i propri valori in nome della convenienza.

Rimpatriare i rifugiati siriani e discutere il ritorno forzato degli ucraini non è solo una violazione del diritto internazionale, ma un tradimento dei principi fondamentali che l’Europa afferma di rappresentare. È il momento di un cambiamento, prima che l’Europa perda definitivamente la sua anima.

Aurelio Tarquini



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