ROMA – “Il futuro della ristorazione passa per i fondi di investimento”. Ne è convinto Massimiliano Cordeschi, oggi imprenditore nel food con due ristoranti sotto l’insegna Gufi e Tartufi a Roma e a Montegiorgio (Fermo) nelle Marche e un terzo di prossima apertura sempre nella capitale, ma questa volta nella zona nord, ma anche docente di Diritto del commercio elettronico all’università Roma Tre e un passato nel management pubblico.
Cordeschi, così come già accade in Francia, dove “i fondi investono sulle start up 4 miliardi all’anno, mentre in Italia appena 700 milioni di euro”, punta a cavalcare quello che considera “un trend certo. Dal 2022 ho aperto due ristoranti con l’idea di arrivare a 4-5 per poi trovare un fondo che acquisti tutto il gruppo”, spiega a Virtù Quotidiane.
Il progetto è partito per Cordeschi da un presupposto di base. “Oggi le capacità di finanziamento per un’azienda sono limitate e quindi per chi vuole fare un’attività di ristorazione l’unica strada è chiedere un prestito. Io ho creato una start up, un modello ripetibile in qualunque parte del mondo. Gufi e Tartufi si fonda sulla cucina tradizionale abruzzese, ma è scalabile perché gli ingredienti e i piatti sono gli stessi a prescindere da dove si va ad aprire l’attività. Ciò che cambia è solo il prezzo in relazione alla piazza a cui si rivolge”.
Il primo passo di questa start up è stata la ristorazione, ma il focus si è spostato anche sulla vendita dei prodotti, per spingere il brand in generale. “Affinché un fondo possa interessarsi a una start up del genere, bisogna fare in modo che il fatturato sia il più alto possibile, perché quello è l’unico metro di valutazione che ha un fondo di private equity. In questo modo cambia completamente la prospettiva”.
In un ristorante nato come singola attività, secondo Cordeschi “il proprietario punta a pagare meno tasse e quindi spesso fa nero. In questo progetto invece la visione è diametralmente opposta. Chi ragiona con lo scopo finale di vendere a un fondo avrà tutto in regola, dipendenti, le normative e gli scontrini tutti battuti”.
Un caso simile è All’Antico Vinaio di Firenze che “si è inserito in un fondo di investimento che ha finanziato l’apertura di 30-40 negozi in giro per il mondo. In quel caso si è fatta un’azione finanziaria, perché poi il fondo è uscito dalla società. Il modello su cui sto puntando io è invece quello che mira alla vendita di tutto il gruppo”.
In progetti simili i fondi lasciano dentro il proprietario per un tot. di anni, ad esempio 5, mantenendo in capo a lui la responsabilità di gestione di tutto, incluso il personale. Solo dopo quel periodo il proprietario può uscire definitivamente di scena, e quel fondo, se il format ha funzionato, vende a un fondo ancora più grande.
Dimenticate dunque i ristoranti a conduzione familiare dove il ristoratore incarna l’identità stessa del locale. In questo filone a parlare devono essere piatti e prodotti e l’anima nella sua connotazione più classica dell’oste mancherà, ma andrà avanti il progetto che è fatto di revenue (la disciplina che insegna a modificare il prezzo e le strategie distributive in base all’andamento della domanda).
“Oggi il cliente, prima di andare per la prima volta in un ristorante, come prima cosa va a vedere le recensioni. Quando sono tutte positive allora prenota e lui stesso ne farà una, sentendosi parte di quel cerchio”, prosegue Cordeschi. “L’anima di un locale non è più il ristoratore, ma sono coloro che danno il loro feedback su quel locale. Si sposta l’asse. Il trend di sviluppo però è quello dei fondi, perché non c’è più una finanza creditizia delle banche. Di iniziative valide in Italia ce ne sono tante, solo che fino ad oggi ci si è rivolti al mercato del franchising. Il mercato dei fondi è più complesso, ma è stabile e permette di assicurare un futuro alle famiglie dei dipendenti, anche in gruppi numerosi”.
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