Chi è Bashar Al Assad, l’ex dittatore della Siria che ha lasciato il suo Paese in macerie

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Bashar al-Assad era diventato presidente per la morte del fratello, erede designato del padre Hafez. Dopo 24 anni al potere, da medico che ha studiato a Londra si è trasformato in un feroce dittatore e, prima di rifugiarsi in Russia, ha lasciato uno stato fallito.

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Con la fine politica dell’ex presidente siriano, Bashar al-Assad, lascia il potere il quarto leader contestato durante le Primavere arabe, dopo Ben Ali in Tunisia, Hosni Mubarak in Egitto e Muammar Gheddafi in Libia. Se quest’ultimo è stato ucciso dai ribelli con immagini strazianti che ne hanno minato la dignità, non è successo lo stesso con al-Assad che ha trovato rifugio con la sua famiglia nella Mosca di Vladimir Putin, il suo principale alleato ma anche il leader della potenza che ha lasciato gli eventi fare il loro corso in Siria, dando priorità ad altri conflitti, come quello in Ucraina.

Al-Assad, al potere dopo il padre Hafez

Bashar al-Assad divenne presidente siriano alla morte nel 2000 del padre Hafez, ufficiale dell’aeronautica di famiglia alawita, minoranza con radici nello sciismo al potere in Iran. Suo padre aveva conquistato prima il ministero della Difesa nel 1966 e poi la presidenza della Repubblica nel 1971 dopo aver ottenuto la leadership del partito Baath siriano, imbevuto di socialismo in stile sovietico, militarismo e nazionalismo arabo.

Inizialmente doveva essere suo fratello Bassel, morto in un incidente automobilistico a Damasco nel 1994, il prescelto alla successione. E così Bashar, allora 34enne, tornò all’improvviso da Londra dove aveva studiato Medicina e Oftalmologia per guidare la Siria, al posto di suo fratello Maher, ritenuto poco idoneo alla presidenza. Alla morte di Hafez al-Assad, in poche ore venne cambiata la Costituzione abbassando l’età minima per la presidenza dai 40 ai 34 anni, proprio per permettere a Bashar di arrivare al potere.

I primi anni alla guida della Siria di Bashar al-Assad sono stati nel segno della continuità con la sua esperienza inglese, dopo il matrimonio con la ricca moglie anglo-siriana Asma, cresciuta in Gran Bretagna, banchiera di JP Morgan e molto impegnata con la beneficenza. La “Rosa nel deserto” venne definita dalla rivista Vogue la consorte di al-Assad con i suoi gusti occidentali in questioni di moda e arredamento. Non solo, quando l’allora premier inglese, Tony Blair, visitò Damasco nel 2002 tutto sembrava possibile in Siria. E Bashar al-Assad poteva far sperare in un paese più moderno e aperto all’Europa, sul modello giordano. Dopo l’11 settembre 2001, la Siria di al-Assad poteva rappresentare un esempio di repressione contro gli islamisti radicali che già il padre Hafez aveva incarnato in seguito al massacro che nel 1982 costò la vita a migliaia di sostenitori dei Fratelli musulmani siriani a Hama.

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Al-Assad e le primavere arabe

Ben presto la natura del dittatore siriano, costretto alla fuga dopo la fulminea avanzata degli islamisti di Hayat Tahrir al-Sham (Hts), culminata con l’ingresso a Damasco lo scorso 8 dicembre, si è rivelata con chiarezza. La Siria degli al-Assad è diventato il paese degli apparati di sicurezza, del controllo capillare su tutta la popolazione, della gestione orwelliana del potere per cui molti soldati hanno spesso denunciato di aver “sognato” più volte il loro presidente sentendosi continuamente sotto osservazione, come racconta la docente dell’Università di Chicago Lisa Wedeen.

Anche le promesse riforme in campo economico e contro i monopoli statali hanno finito per trasformare la Siria nel paese del clientelismo e della corruzione, mentre gradualmente le classi medie urbane che avevano sostenuto Hafez iniziavano a voltare le spalle a suo figlio Bashar. E così ben poca cosa è stato il rilascio dei prigionieri politici, accordato nel 2001, con la Dichiarazione di Damasco del 2005 le opposizioni politiche iniziarono a criticare apertamente l’operato del presidente siriano. La risposta è stata il pugno duro contro qualsiasi manifestazione di dissenso, una leadership personalistica con un potere crescente accordato alle forze armate, all’aviazione e alle agenzie di intelligence. Arresti sommari, torture e detenzioni arbitrarie, come quelle delle opposizioni politiche nella prigione di Sednaya, le cui celle dopo la conquista di Damasco sono state aperte dai ribelli che hanno liberato i detenuti, sono state le uniche risposte alle prime manifestazioni di piazza scoppiate a Daraa nel Sud del paese nel 2011.

Non solo, per motivare la necessità della repressione delle proteste, mentre la Siria piombava nel caos, sono fuggiti dalle prigioni siriane centinaia di detenuti, tra cui jihadisti che avevano militato in al-Qaeda, e che poi si sono uniti allo Stato islamico (Isis) che ha stabilito a Raqqa nel 2013 la capitale del suo Califfato. Le pessime condizioni delle carceri sono raccontate nel bellissimo libro del poeta siriano, anche lui per anni in prigione, Faraj Bayrakdar “Il luogo stretto” (Notte tempo, 2016).

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A quel punto il pugno di ferro di al-Assad è tornato ad essere tollerato dall’Occidente contro la minaccia, sempre brandita come pretesto per la repressione politica, del terrorismo jihadista. E così per anni le forze di sicurezza, guidate dal fratello Maher, a capo della Guardia repubblicana e della Quarta divisione corazzata, hanno operato indisturbate come milizie paramilitari sparando contro chiunque manifestasse la sua opposizione verso il regime.

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Al-Assad il dittatore

Quando gli è stato rimproverato pubblicamente di essere un “dittatore dalle mani insanguinate”, Bashar al-Assad ha voluto comparare se stesso a un chirurgo. “Gli diciamo: hai le mani insanguinate o pensiamo che ci abbia salvato la vita?”, diceva sarcastico l’ex presidente siriano per giustificare la sua dura repressione. E così con la retorica della “guerra al terrorismo” avrebbe giustificato il massacro di Maaloula nel 2014 per esempio, le oltre 500mila vittime della guerra civile siriana, i 6,6 milioni di di profughi, e la metà della popolazione sfollata internamente nel paese che hanno fatto della guerra in Siria il
conflitto più sanguinoso della storia contemporanea.

Proprio le diaspore siriane nel mondo hanno festeggiato più di ogni altro la caduta di al-Assad in questi giorni. E molti di loro hanno già iniziato a tornare in patria affollando i valichi di frontiera. Non solo, in 13 anni di guerra civile, al-Assad è stato accusato più volte di aver superato la “linea rossa”, tracciata dall’ex presidente Usa, Barack Obama, usando armi chimiche. I due casi più gravi hanno riguardato gli attacchi di Khan al-Assal e Ghouta.

Nel 2013, le Nazioni Unite hanno parlato di prove “inconfutabili” di uso di gas nervino in Siria, mentre l’allora Segretario generale Onu, Ban Ki-moon lo definì nel suo report il “peggiore uso di armi di distruzione di massa del 21esimo secolo”. Tuttavia, la Siria ha sempre negato qualsiasi accusa di crimini di guerra o crimini contro l’umanità.

Eppure con l’avanzata di Isis e grazie al sostegno accordato dalla Russia di Putin, dal movimento sciita libanese Hezbollah e dalle milizie iraniane, al-Assad ha continuato a mantenere il controllo di Damasco e poi a riconquistare gradualmente il resto del paese, lasciando ai curdi ampia libertà di movimento nel Nord della Siria (Rojava), nonostante la dura opposizione turca. E così, dopo tornate elettorali non inclusive delle opposizioni, al-Assad è stato accolto nel 2023 nel summit della Lega Araba di Jeddah come il leader indiscusso in Siria, grazie al sostegno militare russo e nonostante le gravissime prove di repressione e violazione dei diritti umani nel paese.

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I segreti degli al-Assad

Con la fine di Bashar al-Assad va in frantumi anche l’immagine di protettore dei palestinesi che la Siria si era costruita dopo aver concesso la cittadinanza ai rifugiati costretti a lasciare le loro case nel 1948 dopo la fondazione di Israele. Eppure, nonostante il premier israeliano Benjamin Netanyahu abbia assicurato che la fine di al-Assad “apra grandi opportunità”, Tel Aviv ha subito messo le mani avanti facendo quello che non ha mai potuto fare con al-Assad al potere: entrare nelle Alture del Golan e sul Monte Hermon, per la prima volta dal 1973.

Non solo, nella giornata di domenica Israele ha condotto raid aerei contro un centro di ricerca di sviluppo di missili di fabbricazione iraniana e contro il complesso di sicurezza di Kafr Sousa a Damasco.

Ma alla famiglia al-Assad vengono associati numerosi episodi di tensione con l’Occidente a partire dall’opposizione alla guerra in Iraq, voluta nel 2003 dagli Stati Uniti. Dagli archivi dei palazzi della famiglia al-Assad che in questi giorni sono stati saccheggiati e presi d’assalto dai ribelli possono emergere informazioni inedite, per esempio sulle dinamiche della guerra civile libanese (1975- 1990). E sull’assassinio del premier libanese, Rafik Hariri, nel 2005 che causò le pressioni occidentali che spinsero la Siria a ritirare le sue forze dal Libano. Inizialmente anche politici siriani erano stati accusati dell’assassinio.

Dopo 15 anni, le Nazioni Unite hanno confermato la colpevolezza di Salim Ayyash, membro di Hezbollah ucciso a novembre nei raid israeliani su Beirut.
Infine, i militari siriani sono stati più volte accusati di aver assicurato ospitalità ad alcuni gerarchi nazisti dopo la fine della Seconda guerra mondiale, come nel caso di Alois Brunner, l’ufficiale che è poi diventato consigliere del governo siriano in materia di sicurezza. Non solo, Israele cercò di avere notizie su dove fosse stato sepolto Eli Cohen, agente del Mossad ucciso in Siria nel 1965. Nel febbraio del 2007 il governo turco si offrì come mediatore per trattare con la Siria la restituzione a Israele dei suoi resti ma il governo di Damasco si è sempre rifiutato di consegnarne la salma.

Con la fine di al-Assad, definita dal presidente Usa Joe Biden come un “atto di giustizia”, anche l’ultimo dei leader contestati dai movimenti giovanili del 2011 in Nord Africa e Medio Oriente ha dovuto lasciare il paese. Le manifestazioni di piazza, partite dalle periferie, che chiedevano più diritti e giustizia sociale hanno favorito invece l’ascesa di regimi militari o di governi ispirati dall’islamismo politico.

Dopo 24 anni al potere, Bashar al-Assad, da medico che ha studiato a Londra si è trasformato in un feroce dittatore e, prima di rifugiarsi in Russia, ha lasciato uno stato fallito, nel caos della guerra per procura, spaccato tra influenze turche, curde, russe, iraniane e israeliane, che ricorda la Libia del dopo Gheddafi. Con ogni probabilità la Siria sarà governata in futuro proprio da quell’islamismo politico che Bashar al-Assad ha combattuto per tutta la sua vita.

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