Le dichiarazioni del Ministro della Difesa Guido Crosetto sulla necessità di aumentare la spesa militare italiana al 2%, o persino al 3% del PIL, rappresentano non solo un palese attacco al benessere economico del Paese, ma anche una manovra ideologica tesa a giustificare l’ingiustificabile.
Crosetto tenta di creare un nemico immaginario, la Russia, per giustificare un’escalation delle spese belliche che risponde più agli interessi delle lobby delle armi, che lui stesso ha rappresentato fino a ieri, che a quelli dei cittadini italiani.
Allo stesso tempo, scaricare la responsabilità sull’ex presidente americano Donald Trump, citando un presunto vincolo per ottenere la protezione statunitense, è un altro trucchetto per distogliere l’attenzione pubblica dal vero problema: un aumento spropositato delle spese militari aggraverà la crisi economica e ridurrà ulteriormente il livello di vita degli italiani.
Il conflitto di interessi di Crosetto: un Ministro della Difesa o un lobbista delle armi?
Prima di entrare nel merito delle dichiarazioni di Crosetto, è essenziale ricordare il suo passato da rappresentante di punta delle lobby delle armi.
Fino alla sua nomina ministeriale, Crosetto era presidente della Federazione Aziende Italiane per l’Aerospazio, la Difesa e la Sicurezza (AIAD), ovvero la principale organizzazione che tutela gli interessi dell’industria bellica italiana.
Questo passato solleva un inevitabile sospetto: il Ministro della Difesa sta lavorando nell’interesse del Paese o sta continuando a curare, in modo indiretto, gli interessi delle aziende che producevano armi sotto la sua guida o compartecipazione agli utili?
L’aumento al 3% del PIL di spesa militare paventato da Crosetto andrebbe direttamente a beneficio di queste stesse aziende. Parliamo di miliardi di euro di denaro pubblico che potrebbero essere destinati a sanità, istruzione, trasporti, o misure per combattere la crescente povertà, ma che invece verrebbero spesi per produrre armi destinate a prolungare conflitti e alimentare tensioni geopolitiche.
Il conflitto di interessi è talmente palese che solo un disinteresse sistemico della politica e della stampa può spiegare l’assenza di un dibattito critico su questo punto.
Creare nemici immaginari per giustificare spese inutili
Nelle sue dichiarazioni, Crosetto insiste sulla necessità di aumentare la spesa militare a causa della presunta minaccia rappresentata dalla Russia e dalle esigenze di difesa della NATO.
Ma la narrativa del “nemico imminente” è un vecchio stratagemma utilizzato per giustificare spese che altrimenti sarebbero inaccettabili. Nonostante la retorica allarmistica, la realtà è che l’Italia non è sotto minaccia diretta di nessun Paese, tantomeno la Russia. Piuttosto, l’Italia soffre una crisi economica sempre più grave, con milioni di cittadini che faticano ad arrivare a fine mese.
Il vero rischio per l’Italia non viene da ipotetici conflitti con potenze straniere, ma dall’austerità che inevitabilmente si renderà necessaria per coprire questi aumenti di spesa. Come già visto in passato, i tagli colpiranno i servizi essenziali, mentre le industrie belliche continueranno a prosperare, facendo profitti sulla pelle dei cittadini.
Crosetto e l’anticipo strategico: giustificare profitti prima ancora che Trump sia presidente e che esponga chiaramente la sua politica di riarmo in Europa.
La tempistica delle dichiarazioni del Ministro della Difesa Guido Crosetto sull’obbligo di aumentare le spese militari, paventando un futuro scenario legato a eventuali decisioni di Donald Trump una volta istallatosi alla Casa Bianca, solleva dubbi profondi sulla reale motivazione di queste affermazioni.
Trump, infatti, non è ancora presidente e non ha formalizzato alcuna richiesta di riarmo agli alleati europei. Parlare ora di obbligazioni è prematuro e appare come un chiaro stratagemma per giustificare un incremento delle spese militari che beneficia, in ultima analisi, l’industria bellica italiana di cui Crosetto fa parte.
La scelta di anticipare un tema che potrebbe non concretizzarsi, o che potrebbe essere gestito in modo diverso attraverso negoziati futuri, evidenzia l’intenzione di spostare l’attenzione pubblica da una decisione politica non necessaria.
Un aumento delle spese militari, senza un reale vincolo internazionale, aggraverà le già difficili condizioni economiche del Paese e favorirà i profitti delle aziende che Crosetto ha rappresentato. Questo atteggiamento non serve alla sicurezza nazionale, ma appare come una manovra calcolata per avvantaggiare interessi privati prima ancora che si presenti una reale necessità politica.
La lezione della Spagna: etica e politica estera
Un confronto con la Spagna rende evidente quanto sia miope e immorale la posizione italiana. Il governo spagnolo ha recentemente bloccato la vendita di armi a Israele, nonostante le pressioni statunitensi. Questa decisione è coerente con la legge internazionale e con la Costituzione spagnola, che impone un impegno per la pace e il rispetto dei diritti umani.
L’Italia, al contrario, continua a vendere armi a Israele, un Paese il cui governo è accusato di crimini di guerra e contro l’umanità dalla Corte Penale Internazionale (CPI) e che Amnesty International ha accusato apertamente di genocidio a Gaza.
L’articolo 11 della Costituzione italiana sancisce il ripudio della guerra come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali, e la legge 185/90 vieta la vendita di armi a Paesi in conflitto. Continuare a fornire armamenti a Israele non è solo una violazione dei principi costituzionali, ma potrebbe configurare una complicità in crimini di guerra.
Crosetto, tuttavia, preferisce ignorare questi aspetti etici e legali. La sua priorità non è promuovere la pace, ma assicurarsi che le aziende belliche italiane, quelle che ha rappresentato fino a ieri, continuino a trarre profitto dai conflitti, che siano in Ucraina o in Palestina. Questo spiega perché non segua l’esempio della Spagna e non interrompa le vendite di armi a Israele: la generazione di profitti sembra essere una necessità superiore all’etica.
Ucraina e Palestina: due guerre, un unico business
I conflitti in Ucraina e in Palestina rappresentano due facce della stessa medaglia: un’enorme opportunità di guadagno per l’industria bellica. In Ucraina, la guerra viene alimentata dall’invio continuo di armi, presentato come un “dovere morale” verso un Paese aggredito.
Tuttavia, questo approccio non fa altro che prolungare il conflitto, aumentando il numero di vittime e distruggendo ulteriormente il Paese. Lo stesso vale per il conflitto israelo-palestinese, dove il sostegno militare a Israele contribuisce a perpetuare un’occupazione illegale e una sistematica violazione dei diritti umani.
Crosetto non parla di pace perché la pace non è redditizia.
Un cessate il fuoco in Ucraina o un accordo di pace in Palestina significherebbero meno ordini per le aziende belliche e, di conseguenza, meno profitti.
È quindi nell’interesse delle industrie che rappresentava che questi conflitti continuino il più a lungo possibile. Il fatto che queste posizioni siano promosse da un ministro della Difesa dovrebbe essere motivo di scandalo, ma in Italia sembra che tutto passi sotto silenzio.
Le mani bagnate di sangue
In definitiva, le politiche promosse da Crosetto non sono solo economicamente dannose per l’Italia, ma moralmente ripugnanti.
Il Ministro della Difesa ha le mani bagnate di sangue: quello dei civili ucraini e palestinesi che continuano a morire in conflitti alimentati dall’industria bellica che lui rappresentava.
Le sue scelte politiche, che privilegiano il profitto delle aziende belliche rispetto ai diritti umani e alla pace, lo rendono direttamente responsabile del perpetuarsi di queste tragedie.
L’Italia merita un governo che metta al primo posto gli interessi dei cittadini, non quelli delle lobby delle armi.
Continuare sulla strada indicata da Crosetto significherà sacrificare ulteriormente il benessere del Paese sull’altare del profitto bellico.
È tempo che la politica italiana torni a essere guidata da principi di giustizia e solidarietà, piuttosto che da interessi economici e cinismo.
Aurelio Tarquini
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