ELETTRICITÀ AI MASSIMI DA 2 ANNI/ Il problema che l’Italia non può risolvere con le rinnovabili

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L’aumento dei prezzi dell’elettricità in Italia oltre i 180 euro a megawattora e ai massimi degli ultimi due anni non trova posto neanche nella cronaca economica. Il prezzo di oggi è del 50% superiore a quello dello stesso giorno di dodici mesi fa e tre volte e mezzo più alto di quello dell’11 dicembre 2019, l’ultimo anno “normale” prima del Covid e prima delle sanzioni sul gas russo. Da domani e fino a venerdì si attende un altro crollo della produzione eolica tedesca dovuto all’assenza di vento. Il fenomeno del “Dunkelflaute”, quando sia la produzione solare che quella eolica vengono meno, determina l’esplosione dei consumi di gas e carbone e mette sotto stress l’infrastruttura energetica europea. Il risultato è quello che si vede in questi giorni.



La disponibilità di batterie, anche in Germania, è molto più bassa dell’energia elettrica rinnovabile prodotta e quindi non c’è rimedio ai periodi senza vento. Produrre batterie in grado di coprire un’ora di produzione eolica tedesca oggi costa circa 20 miliardi di euro; per coprire un giorno il costo sarebbe 480 miliardi di euro. Per tre giorni ci vorrebbe il Pil della Spagna.

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Torniamo in Italia. L’Italia ha i prezzi dell’elettricità più alti d’Europa e tra le due e le tre volte superiori a quelli del 2019, ma questo non sembra preoccupare particolarmente il “sistema”. Forse si scommette, a torto, che questa nuova normalità sia destinata a risolversi in tempi ragionevoli man mano che si sviluppano le rinnovabili in un’ottica di “green deal” europeo. Eppure la Germania, il Paese che più ha investito in rinnovabili in Europa, non è affatto in una posizione invidiabile dal punto di vista energetico ed è agli ultimi posti nel continente. L’altra spiegazione è che si ritiene che le imprese italiane, già estremamente efficienti per resistere a tasse e burocrazia e con un costo del lavoro cresciuto meno che in Europa, possano comunque sopravvivere anche con i prezzi dell’elettricità più alti. Eppure, nonostante i salari cresciuti meno di tutti, la produzione industriale scende in Italia. A ottobre, secondo i dati pubblicati ieri dall’Istat, la produzione industriale, al netto del calendario, è scesa del 3,6% rispetto a dodici mesi fa. Per il sistema industriale italiano la situazione è già critica senza che siano ancora arrivati i dazi di Trump e senza che l’Europa abbia cambiato marcia sulla transizione, con i suoi costi.



In questa situazione il sistema italiano è completamente bloccato con l’unica eccezione dell’espansione della capacità solare, trainata da investimenti privati e spesso “famigliari”, che è utile ma non risolutiva. I piani industriali delle utility segnalano un preoccupante spostamento sugli investimenti in “reti” irresistibilmente attratti da piani tariffari che garantiscono, a spese della collettività, rendimenti garantiti in qualsiasi condizione economica. Tutto il resto, soprattutto quello con cui si potrebbe produrre energia economica, è fermo.

È fermo l’idroelettrico in attesa di capire se e quando ci saranno le gare ed è ferma l’estrazione di idrocarburi nazionali con cui si potrebbe risolvere non tutto ma una fetta importante dei problemi. Forse l’Italia ha appaltato la propria questione energetica “all’Europa” dimenticandosi che molti Paesi europei sono in condizioni infinitamente migliori. In assenza di un’urgenza, anche mediatica, gli operatori si fanno determinare, inevitabilmente, dagli incentivi che offre il sistema. Nel caso italiano gli incentivi più interessanti sono quelli della “rendita” delle reti, mentre trovare soluzioni economiche per produrre energia comporta rischi o perché bisogna rompere il tabù del green o perché ci si deve scontrare con gli impatti sul territorio o perché bisogna sopportare rischi economici.

È comunque significativo che nemmeno con questi prezzi dell’elettricità si metta mano agli investimenti in produzione e che nessuno se ne preoccupi se non per parlare di nucleare che è la via da prendere, ma che non porterà risultati prima di una generazione.

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