Caporalato nelle campagne di Castel d’Asso a Viterbo, indagati i fratelli Alberto e Stefano Calevi. Imprenditori agricoli, l’azienda ortofrutticola di cui sono soci-titolari da mercoledì mattina è sotto sequestrato preventivo. Lo ha disposto la gip Rita Cialoni all’esito di un’indagine per sfruttamento del lavoro condotta dai carabinieri del nucleo investigativo e dell’ispettorato del lavoro.
La denuncia di due operai e le indagini
La procura di Viterbo, tramite il pm Massimiliano Siddi, aveva chiesto un provvedimento più ampio, comprendente anche il sequestro di immobili, conti correnti e un prelievo coatto di circa mezzo milione di euro. La giudice ha, però, limitato il provvedimento esclusivamente al sequestro dell’impresa.
L’inchiesta, sviluppata tra l’inizio del 2022 e giugno 2023, è partita dalla denuncia di due braccianti e si è sviluppata attraverso un’attività investigativa articolata, che ha visto l’ascolto di 49 persone lavoratori. Sono stati acquisiti anche documenti, fatti servizi di osservazione e ispezioni.
Pagati 6,50 euro senza riposi e straordinari
Stando all’accusa, i fratelli Calevi avrebbero sottoposto i dipendenti, molti dei quali stranieri provenienti da paesi extraeuropei e in condizioni di grave bisogno economico, a “lunghissimi turni di lavoro dall’alba al tramonto, anche fino a 12 ore al giorno e talvolta pure con esposizione alle intemperie” e “senza rispetto per le norme contrattuali”. La retribuzione, inferiore al minimo previsto, si attestava su 6,50 euro l’ora, senza riconoscere “straordinari, riposo settimanale, ferie e periodi di malattia retribuiti”. Inoltre, “corresponsione della parte ‘in nero’ mediante contanti”.
Il tutto, “approfittando del loro stato di bisogno”. “I lavoratori – spiega il procuratore capo Paolo Auriemma -, provenienti da paesi poverissimi in cui vige una situazione socioeconomica disastrosa, sono giunti in Italia dopo lunghi e rischiosi viaggi, durante i quali in alcuni casi hanno anche attraversato il Mediterraneo esponendosi al pericolo perché mossi dall’impellente necessità di trovare un lavoro, mediante il quale percepire risorse necessarie a garantire il proprio sostentamento, nonché quello delle famiglie rimaste nei paesi d’origine”.
“Messa a rischio l’incolumità dei braccianti”
Dalle indagini sarebbero emerse anche carenze nella sicurezza sul lavoro. I dipendenti non avrebbero ricevuto “calzature e indumenti idonei da utilizzare in caso di pioggia” e ci sarebbe stata “l’assenza delle condizioni di sicurezza durante il loro spostamento a bordo di mezzi agricoli, con conseguente rischio per la loro incolumità”.
Già nel corso delle indagini i fratelli Calevi hanno presentato una memoria difensiva e ora non escludono di ricorrere al tribunale del riesame per contestare il sequestro. L’azienda, nel frattempo, è stata affidata a un amministratore giudiziario per garantire la continuità lavorativa e salvaguardare i livelli occupazionali.
La reazione dei sindacati
Stefano Morea, segretario regionale della Flai Cgil, commenta positivamente l’operazione, sottolineando come il caporalato rappresenti un fenomeno diffuso anche in zone d’eccellenza agricola come il Viterbese: “Le condizioni di lavoro sfruttato e sottopagato che denunciamo da tempo coinvolgono tutto il Lazio. Turni di lavoro estenuanti, paghe in nero, contratti non applicati. Questa è la drammatica realtà vissuta da troppi lavoratori. La legge c’è e va applicata in tutte le sue parti per essere realmente efficace”.
Morea evidenzia la necessità di intensificare la prevenzione, sottolineando come il sindacato, attraverso il progetto “Sindacato di strada”, abbia cercato di portare informazione e supporto ai lavoratori direttamente nei luoghi in cui operano: “In queste vie del Viterbese siamo stati aggrediti e minacciati mentre distribuivamo materiale informativo. Era evidente che non dovevamo vedere, non dovevamo lasciare i nostri contatti, non dovevamo informare quali fossero paghe e diritti”.
Richiamando il caso di Naceur Messaoudi, il bracciante morto di caldo e fatica nel 2023 a Montalto di Castro, Morea conclude: “Il sequestro preventivo di un’azienda agricola, se da un lato ci dà ragione, dall’altro evidenzia quanto ci sia ancora da fare. Presidio del territorio significa informazione e denuncia per poter sconfiggere all’origine i fenomeni del caporalato e dello sfruttamento”.
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