Si faceva chiamare ‘Il calabrese’ per darsi un tono da malavitoso. Ma Mario Di Martino, 31 anni, nato a Salerno ma da una vita residente a Bologna, non aveva contatti con la ’ndrangheta. La sua attività criminale, centrata sul business della coca, era radicata al Pilastro, dove il ‘grossista’ e la sua banda rifornivano gli spacciatori di cocaina e, saltuariamente, anche eroina e hashish. Un sistema che, già eroso negli anni da arresti e operazioni, ieri mattina all’alba è stato debellato completamente, con l’esecuzione di 22 misure cautelari in carcere, all’esito di un’indagine della Squadra mobile, coordinata dal pm Roberto Ceroni.
LE INDAGINI
L’inchiesta ha preso le mosse da un fatto di sangue: il tentato omicidio di Anas K., marocchino all’epoca dei fatti ventiseienne. Era l’11 maggio del 2021 e, in via Natali, Anas era stato ferito al fianco da un colpo di pistola. Nei giorni immediatamente successivi a quei fatti, la Squadra mobile aveva individuato gli autori dell’aggressione: due fratelli tunisini, Ala e Dhia Abidi, e i loro complici, Ossama Soltami e Ben Jrayna, anche loro di origine tunisina. Scavando nel movente di quel tentato omicidio, la Squadra mobile è riuscita a ricostruire non solo il contesto, ossia una feroce rivalità nell’ambito dello spaccio di quartiere, ma anche il sistema che stava dietro queste dinamiche. Le indagini, sviluppate dalla sera dell’aggressione fino al dicembre successivo, hanno permesso di accertare dinamiche e responsabilità precise.
IL ‘SISTEMA’
Stando a quanto emerso attraverso intercettazioni, monitoraggio nelle vie del Pilastro e anche arresti in flagranza, tutto il sistema girava attorno alla figura del capo, Di Martino appunto, e dei suoi quattro soci. Era il trentunenne, tra l’altro ‘figlio d’arte’, a gestire tutto: dai rapporti con il fornitore di coca, un albanese gravitante tra il Modenese e la Valsamoggia, con buoni contatti con la mafia del suo Paese; a quelli con i clienti, gli spacciatori nordafricani e pakistani che operavano al PIlastro e che acquistavano da Di Martino e compari la droga da vendere ai tossicodipendenti tra le vie Natali, Deledda, Salgari, Frati, Casini, Pirandello e Svevo.
LE BASI
La coca che avvelenava il Pilastro, stando a quanto ricostruito dalla polizia, arrivava nel quartiere dopo diverse ‘tappe’. Dopo l’acquisto delle partite dal fornitore albanese (ogni settimana la banda muoveva almeno tre chili di sostanza) che di solito avveniva in zona Corticella, nei pressi del campo nomadi di via Erbosa, la sostanza veniva spostata in una cantina di via Giuriolo. Da qui, poi, i compari di Di Martino la portavano al Pilastro, dai loro spacciatori clienti. A volte le partite venivano custodite anche al campo nomadi, dove gravitava uno dei quattro capi, Marco Falcone, 39 anni. Era lui a rassicurare il capo, che aveva mostrato perplessità su questo particolare nascondiglio: “Non c’è posto più sicuro di un campo nomadi”, diceva. Il gruppo aveva comunque la disponibilità di altri due locali: uno a Ozzano e uno a San Lazzaro. Dopo il ritrovamento di alcune cimici nella cantina di via Giuriolo, la banda aveva iniziato a stoccare la droga qui.
IL GIRO D’AFFARI
Come detto, da quanto monitorato dalla polizia, la banda muoveva una media di 3 chili (le ‘pappardelle’ nel gergo del gruppo) alla settimana di cocaina. Una quantità che permetteva al sodalizio di intascare circa 500mila euro al mese. Il fornitore albanese, trovato tra l’altro in possesso di una pistola calibro 9 con matricola abrasa, nascondeva la cocaina, acquistata a sua volta da connazionali, sotto a un cavalcavia a Bazzano. Oltre ai pusher del Pilastro, la banda riforniva anche clienti a Castel Maggiore e Castello D’Argile. Tutti finiti ieri in manette.
IL BLITZ
Ieri all’alba, la polizia ha dato esecuzione alle 22 misure cautelari firmate dalla gip Maria Cristina Sarli. Nell’ambito dell’attività sono stati sequestrati altri 90 grammi di coca, 172 di hashish e 11mila euro in contanti. Parte della sostanza era in possesso di due stranieri irregolari: uno è stato arrestato, l’altro denunciato. Entrambi, assieme a una terza persona, occupavano una stanza in un b&b del Pilastro: sono stati tutti affidati all’ufficio immigrazione per valutarne l’espulsione.
L’AGGRESSIONE
AI POLIZIOTTI
Martedì pomeriggio, intanto, i poliziotti della sezione antidroga della Mobile, guidata dalla funzionaria Katia Riga, impegnati in un sopralluogo al Pilastro propedeutico all’operazione, sono stati aggrediti a bottigliate da cinque stranieri. Erano in via Deledda, nei pressi di un negozio di alimentari gestito da pakistani e stavano controllando uno straniero (poi risultato essere tra i destinatari della misura in carcere): quattro amici dell’uomo, per impedire il lavoro dei poliziotti, hanno aggredito gli agenti a bottigliate, ferendone due. Un episodio gravissimo, già stigmatizzato dal questore Antonio Sbordone, su cui adesso la Mobile sta lavorando. Ma al Pilastro, come tiene a precisare anche il capo della Squadra mobile Roberto Pititto, “ci sono tantissime persone perbene, che in questi mesi hanno dato un contributo fondamentale al nostro lavoro, aiutandoci concretamente nelle indagini”.
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