«Nonostante Gelli sia morto possiamo dire che oggi quel Piano di Rinascita è praticamente attuato»

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Sonia Alfano, è stata premiata come “Testimone del Nostro Tempo” con “Menzione Speciale” nella II Edizione del Premio Nazionale Lea Garofalo, svoltasi a Casoli in provincia di Chieti l’anno scorso, con seguente motivazione:

Figlia del giornalista Giuseppe (Beppe) Alfano, ucciso da Cosa nostra l’8 gennaio del 1993 per il suo impegno giornalistico e culturale contro il crimine organizzato siciliano. Da anni è impegnata, soprattutto in politica, per fare Memoria e in difesa dei familiari delle Vittime delle schifose mafie. Già europarlamentare e Presidente della commissione speciale antimafia, la corruzione e il riciclaggio di denaro. È stata la prima rappresentante delle Istituzioni a portare in Europa la questione delle mafie. Ha incontrato il boss di Cosa nostra Bernardo Provenzano in carcere, prima della strana “caduta” del mafioso nella sua cella.

 

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Sonia Alfano, figlia del giornalista Beppe Alfano ucciso da cosa nostra l’8 gennaio 1993 e già europarlamentare a capo della commissione antimafia. È stata premiata nella scorsa edizione del Premio Lea Garofalo ed è stata presente pure quest’anno. Qual è la sua impressione su questa III Edizione del Premio Nazionale Lea Garofalo svolta a Cittanova?

Quest’anno ho avuto l’onore e il privilegio di essere invitata alla III Edizione del Premio Nazionale Lea Garofalo dove ho ritirato il premio relativo allo scorso anno.

Ho notato una organizzazione impeccabile ma è stata una organizzazione soprattutto che ha messo tutti i presenti, dai premiati agli organizzatori alle persone che negli anni seguono il premio, nella opportunità e nella possibilità di poter avere dei momenti di confronto fra di noi, di conoscerci meglio e soprattutto di poter individuare insieme delle strade da poter percorrere per rendere ancora più incisiva l’azione e la battaglia che ognuno di noi conduce nei vari piani e livelli.

È stata l’occasione per rivedere Gennaro Ciliberto, Testimone di Giustizia che da oltre 15 anni ha consegnato la sua vita e i suoi ideali nelle mani dello Stato, di uno Stato che che non sempre è attento e nelle condizioni di ricambiare questo grande gesto di fiducia e amore verso le istituzioni. Insieme si cerca di poter capire come fronteggiare. È stato bello ascoltare le storie di tantissimi altri familiari di vittime innocenti della mafia, una emozione costante e sempre forte ascoltare Marisa e raccontare quello che è il suo dolore ma soprattutto la sua battaglia che continua a portare avanti grazie a manifestazioni come queste, ed è stato bello soprattutto incrociare gli occhi degli studenti. Credo che questa sia una delle parti più belle ed è la parte nella quale ognuno di noi cerca di dare un senso a ciò che fa. Si cerca costantemente di fare breccia nei cuori e nella testa di questi ragazzi, ragazzi che troppo spesso si sentono dire che sono il futuro di questo paese ma che gli stiamo regalando un futuro di un paese che non si ricorda del proprio passato e della propria storia e difficilmente riesce ad immergersi nel presente e figuriamoci nel futuro.

Non posso che ringraziare Paolo De Chiara e tutti gli organizzatori, l’associazione Dioghenes APS, per aver voluto con grande difficoltà, perché oggi la lotta alle mafie in questo paese sembra ormai scomparsa, organizzare questo evento. Il mio ringraziamento nei confronti di Paolo è un ringraziamento che spero possa arrivare, perché sono stati giorni molto intensi ma belli, vissuti quasi in famiglia.

Si è parlato di legalità, di lotta alle mafie ma anche di diritti civili. Quanto sono importanti questi argomenti da trattare con le scuole?

Parlare oggi di diritti civili nelle scuole è fondamentale, come lo è parlare di lotta alle mafie. Ma una cosa è importante e cioè cercare di far capire, ovviamente con l’aiuto delle istituzioni scolastiche, quanto sia importante il ruolo della famiglia all’interno di un percorso di crescita di uno studente o una studentessa. Lo dico perché sempre più spesso ho la sensazione che ci sia uno scollamento tra il ruolo di un genitore e il ruolo della scuola. Abbiamo sentito spesso, purtroppo, notizie di cronaca che ci raccontano una visione distorta di quello che è il ruolo dei genitori che sempre più spesso tendono, erroneamente a mio parere, ad essere più amici dei propri figli che genitori pensando così di accattivarsi fiducia e un rapporto diretto. Non è così. I figli hanno bisogno di esempi, di regole e di valori. La famiglia è una piccola società.

E le regole basilari di una ideale convivenza all’interno di una società sono il rispetto delle istituzioni e delle regole. Questa stessa identica cosa va calata all’interno delle famiglie e purtroppo oggi capita spesso di sentir dire che i docenti vengono picchiati e insultati da genitori che vengono richiamati all’attenzione su condotte non proprio esemplari da parte dei propri figli all’interno del contesto scolastico. Ogni volta che questo accade purtroppo viene meno quel lavoro che dovrebbe essere svolto in simbiosi tra scuola e famiglia. A questo io aggancio anche la necessità di educare al rispetto all’interno delle scuole, e di educare soprattutto i ragazzi fin da piccoli a ciò che è bene e a ciò che è male, non c’è via di mezzo in tal senso. Educare, ad esempio, al rispetto delle donne: educare al rispetto dell’essere umano è di fondamentale importanza.

Far capire che due persone, due studenti, due studentesse stanno litigando la prima cosa da fare non è prendere il cellulare, fare un video e poi schiaffarlo sui social e arraffare like, l’obiettivo dovrebbe essere invece quello di dividere, far ragionare, far discutere, di parlare quando si litiga e si arriva alle mani. Un altro obiettivo fondamentale che a mio parere dovrebbe essere affrontato parallelamente sia a scuola che in famiglia è quello sull’utilizzo di una certa terminologia sui social ma anche nelle canzoni che ormai i nostri giovani ascoltano. A me è capitato tante volte imbattendomi su TikTok o altre piattaforme social di vedere delle challenge che come sottofondo riportano canzoni che inneggiano alla violenza, all’utilizzo di droga e soprattutto alla violenza verbale e fisica nei confronti delle donne. Ecco, secondo me, è un punto di degrado molto alto perché le case discografiche dovrebbero chiudere le porte a chiunque possa anche solo inneggiare alla violenza, figuriamoci metterla nero su bianco anche su canzoni e su contratti con etichette discografiche.

 

Qual è lo stato del giornalismo attuale, vedendo pure l’esempio di suo padre come giornalista che andava a cercarsi la notizia?

Lo stato del giornalismo in Italia, anche facendo riferimento all’attività di mio padre, sicuramente è in uno stato comatoso perché è un giornalismo che non è più d’inchiesta, cosa molto più rara, e soprattutto è un giornalismo che tende più a cercare di imbonirsi editori, politici, istituzioni piuttosto che andare a cercare la notizia, portarla all’esterno e sottoporla all’attenzione dell’opinione pubblica. Questo è motivo di grande tristezza ma ricordiamoci che il giornalismo doveva essere concepito come il “cane da guardia del potere” ed oggi è diventato “il cane da compagnia del potere”.

Ritengo che sia un allarme parecchio grave e che bisogna farci riflettere su quanto e come è possibile l’attuazione della volontà del Piano di Rinascita Democratica ideato da Licio Gelli nel piano della Loggia P2. Nonostante Gelli sia morto da diverso tempo possiamo dire che oggi quel piano è praticamente attuato sotto ogni punto di vista, anzi forse sono state superate e le sue aspettative. La responsabilità dell’informazione in questo senso è veramente forte e anzi si sono invertite le cose perché ci si aspettava che una informazione incisiva, forte e libera potesse arrivare dai grandi organi di stampa, dai grandi giornali, dalle grandi trasmissioni televisive e le piccole testate, cartacee e online, sarebbero andate dietro.

Questo è quello che un po’ ci si aspettava negli anni passati ma non è così. Spesso e volentieri se si vuole trovare una notizia reale, vera, attendibile ma soprattutto una Notizia, anche rispetto alle proprie collocazioni territoriali, la prima cosa da fare è andare a cercare in una testata online o sulle piccole testate territoriali perché è lì che si trova la Notizia. Questo non è quello che i giornalisti che ci hanno lasciato, non soltanto coloro i quali sono stati uccisi dalle mafie, e a cui delicatamente ci avevano abituato ed insegnato.

 

Sulla base della sua esperienza in Parlamento Europeo qual è la percezione delle mafie in Europa e quale importanza da al contrasto in Parlamento Europeo?

Per quanto mi riguarda la percezione della mafia all’interno degli Stati membri dell’Unione Europea è ancora più bassa. Basta vedere quello che è successo nei mesi estivi in Germania del nord con l’avvento delle mocro-mafie. Non è arrivato nessun allarme dalle istituzioni europee ma l’allarme è arrivato dal Ministro degli esteri giapponese avvisando i propri connazionali e consigliando di non andare in quelle zone della Germania per la deriva fortemente violenta che sta riguardando quella porzione di territorio. Perché la mocro-mafia, nata nei Paesi Bassi, nell’arco di pochissimi mesi si è spinta fino al nord della Germania con azioni assolutamente violente che hanno messo a rischio dell’incolumità dei cittadini. Questo è stato passato, purtroppo, con un grande silenzio da parte delle Istituzioni Europee.

L’importanza che io do al Parlamento Europeo è di fondamentale importanza, perché il Parlamento Europeo e le Istituzioni Europee dovrebbero fare da tavolo di regia rispetto alle tecniche che dovrebbero essere utilizzate per contrastare le mafie, al corruzione e il riciclaggio a livello europeo. Mancando quel tavolo di regia che vede Consiglio, Commissione e soprattutto Parlamento Europeo oggi le mafie non hanno grande attenzione e soprattutto grandi ostacoli per cui continuiamo a vivere due realtà che sono completamente sconnesse e viviamo una scalata da parte delle mafie e delle realtà criminali a livello europeo che continuano ad assicurarsi in maniera totalmente indisturbata, perché non possiamo pensare di lasciare tutto alle risoluzioni o l’inserimento in qualche banca dati.

Serve esattamente quello che avevo fatto io con la commissione CRIM, cioè creare un organismo che sappia coordinare e far sedere tutti allo stesso tavolo autorità giudiziaria, autorità investigativa, attività che studiano come esperti, giornalisti, docenti universitari, associazioni che sono sui territori. Mettere allo stesso tavolo tutte queste realtà e affrontare insieme, partendo dalle necessità, il contrato al crimine organizzato e alle mafie. Tutto questo oggi non esiste più e le mafie stanno continuando, incontrollate e soprattutto libere da ogni forma di repressione, questa scalata al tessuto non solo economico ma anche al tessuto sociale degli Stati Membri.



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