Il procuratore capo di Napoli: «Quello che diventerà lo sa solo lui, farà un percorso interiore che nessuno di noi può prevedere»
«La mafia c’è eccome, anche qui in Veneto, anche se non ne parla nessuno». Nicola Gratteri, procuratore capo di Napoli, è il magistrato che più di tutti si espone nella lotta alla mafia: portano la sua firma centinaia di arresti, ha sostenuto l’accusa in processi che hanno dato durissimi colpi alla ‘ndrangheta. Gratteri vive sotto scorta da decenni, ogni suo movimento è pensato in anticipo, calibrato, valutato da un imponente dispositivo di sicurezza. Ma lui non ha mai rinunciato a incontrare le persone, a scrivere libri per poi discuterne e parlarne con un pubblico che lo segue silenziosamente e che gli dimostra stima e riconoscenza. Mercoledì Gratteri era a Limena (Padova) al Festbook Boookstore a un evento riservato ai librai del Triveneto, dove ha presentato il suo ultimo libro «Una Cosa sola» scritto con il giornalista Antonio Nicaso, e che parla di come le mafie abbiano abbandonato la strada della violenza per mimetizzarsi nel tessuto economico per infiltrarsi nella finanza, nelle grandi opere, nelle energie rinnovabili e nell’immobiliare.
Dottor Gratteri, di mafia qui in Veneto si parla poco.
«Non solo in Veneto, ormai in tutto il Paese non se ne parla quasi più, ed è un male. Qui da voi in Veneto dovete fare attenzione soprattutto a Verona e badi bene che il business dei mafiosi non è più solo cocaina, loro hanno molti soldi: coprano tutto quello che è in vendita».
Rimanendo in tema di giustizia, in tutta Italia si è discusso a lungo della condanna all’ergastolo a Filippo Turetta, il ragazzo che ha ucciso Giulia Cecchettin, c’è chi dice che l’ergastolo non dovrebbe esistere, che è una pena che lede i diritti umani.
«Penso che quella sia stata una condanna giusta, quel ragazzo ha commesso un fatto terribile, non c’era altra pena che potesse andare bene per quello che ha commesso, ora sta a lui lavorare su se stesso, elaborare quello che ha fatto, e questo anche se il carcere sa essere molto duro».
Lei conosce bene le carceri italiane, Turetta ha 22 anni, il «fine pena mai» gli servirà per cambiare?
«Il carcere è un grande contenitore a cui nessuno pensa mai, dentro c’è di tutto, va trovata una soluzione per le persone che vivono un forte disagio al suo interno, per esempio chi assume sostanze stupefacenti dovrebbe avere un percorso alternativo, quanto a Turetta… quello che diventerà lo sa solo lui, farà un percorso interiore che nessuno di noi può prevedere, potrebbe chiudersi in se stesso o potrebbe trovare una nuova strada».
La giustizia sta vivendo una fase molto delicata in questi ultimi tempi, il ministro trevigiano Carlo Nordio sta attuando nuove misure, la stretta sulle intercettazioni a molti magistrati non piace.
«Sono contrario a questa riforma perché le intercettazioni sono indispensabili per quasi tutti i reati, non esiste un procedimento che si celebri in tribunale e che non sia stato fatto senza intercettazioni: i telefoni sono un mezzo fondamentale, quasi tutte le comunicazioni, quindi anche quelle dei criminali, avvengono con il cellulare, limitare i controlli sui telefoni vuol dire solo rendere la vita più difficile a noi magistrati perché rende più difficile l’acquisizione della prova».
Il ministro Nordio dice che sono molto costose…
«Il ministro dice che le intercettazioni pesano sul bilancio dello Stato per 170 milioni di euro, ma nessuno pensa mai a quanto poi noi magistrati riusciamo a sequestrare e poi confiscare partendo dalle intercettazioni: la procura di Napoli nel 2023 ha speso circa 5 milioni per questo strumento di indagine, con i sequestri abbiamo recuperato più di 500 milioni».
Ai magistrati viene imputato di fare intercettazioni «a strascico»…
«Innanzitutto il decreto di intercettazione viene emesso da un giudice, la procura fa una richiesta ma non fa tutto da sola, quindi c’è un altro magistrato che ne valuta la pertinenza, e poi non è vero che andiamo a strascico, con la cronica carenza che abbiamo di forze dell’ordine si figuri se abbiamo tempo di metterci ad ascoltare cose che non sono strettamente collegate alle indagini».
Alcuni dialoghi privati però finiscono però sui giornali, questo sostiene il Governo.
«Prima di Nordio c’era la riforma Orlando che impediva la trascrizione di intercettazioni che riguardano la vita degli indagati e di tutto quanto non sia pertinente al presunto reato commesso».
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