La BNS sorprende (quasi) tutti con un taglio dei tassi più ampio delle attese

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Mezzo punto. A tanto ammona il taglio del tasso d’interesse guida annunciato dal presidente della direzione generale della Banca nazionale svizzera. Martin Schlegel, in carica dallo scorso 1. ottobre, ha sorpreso ancora una volta i mercati e gli operatori che scommettevano su una riduzione sì, ma più blanda e di soli 25 punti base. Da oggi il costo del denaro preso in prestito dalle banche commerciali presso la BNS passerà dall’1% allo 0,5% l’anno.

La Banca nazionale svizzera sembra averci preso gusto a creare le sorprese. Fu la prima, tra le principali istituzioni monetaria, a iniziare un ciclo di rialzi nel giugno del 2022 in un ambiente fortemente inflattivo e la prima a riprendere la direzione contraria nel marzo di quest’anno a pericolo inflazione scampato. Ora ritorna il medesimo spettro deflazione che più di dieci anni fa aveva spinto la stessa BNS a sperimentare tassi d’interesse nominali negativi e a mettere un limite di 1,20 franchi per euro come argine all’eccessivo rafforzamento del franco. Limite, quest’ultimo, invocato dalla stessa industria d’esportazione. Si tratta di un intervento che – nella sua entità – non era previsto dal mercato. Per evitare spinte deflazionistiche l’istituto chiude quindi l’anno innestando una marcia superiore: dopo tre tagli da 25 punti base è infatti giunta la sforbiciata da 50 punti base.

«Con l’odierno allentamento della politica monetaria contrastiamo la minore pressione inflazionistica», ha affermato in conferenza stampa il presidente della direzione Martin Schlegel, al suo primo appuntamento – quale numero uno – nell’ambito del tradizionale esame trimestrale della situazione economica e monetaria.

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Il rincaro è sceso più rapidamente delle attese: la crescita dei prezzi in novembre si è attestata allo 0,7% dopo lo 0,6% registrato in ottobre, che era stato il valore più basso dal giugno 2021. L’istituto si trova così a ritoccare sensibilmente al ribasso la sua previsione relativa al 2025: il rincaro sarà solo dello 0,3%, a fronte dello 0,6% ipotizzato tre mesi or sono. Per l’anno in corso la stima viene leggermente abbassata, dall’1,2% all’1,1%, mentre in relazione al 2026 vi è un lieve aumento, dallo 0,7% allo 0,8%.

«La BNS ha sorpreso i mercati con un taglio dello 0,50% del tasso di policy che riflette un’altra revisione al ribasso della sua previsione condizionata di inflazione», afferma GianLuigi Mandruzzato, economista senior di EFG. «Rispetto alla previsione di settembre, l’inflazione è ora prevista più bassa nel breve periodo, a causa della debolezza dei prezzi dell’energia e dei generi alimentari, ma più alta nel lungo periodo, quando gli effetti della politica monetaria si manifesteranno pienamente», continua Mandruzzato che vede «l’asticella per ulteriori tagli dei tassi relativamente alta».

Sul fronte congiunturale, nel terzo trimestre di quest’anno il prodotto interno lordo (PIL) è aumentato solo in misura contenuta in Svizzera, in linea con le aspettative, ha affermato Petra Tschudin, entrata quest’anno nella direzione. L’istituto conferma la sua previsione di crescita per l’anno in corso, che dovrebbe essere di «circa l’1%». Viene per contro leggermente corretto al ribasso il pronostico per il 2025, che vede ora l’incremento del PIL compreso fra l’1% e l’1,5%, mentre in settembre veniva ipotizzato un valore di circa l’1,5%.

L’incertezza rimane però elevata e l’andamento del franco resta un fattore importante. «I tagli dei tassi rimarranno il nostro strumento principale, se la politica monetaria dovesse essere ulteriormente allentata», ha sottolineato Schlegel. Allo stesso tempo, però, la BNS rimane pronta a intervenire sul mercato dei cambi.

«L’inatteso taglio di 50 punti base da parte della BNS ha indotto i mercati a prevedere un ritorno alla politica dei tassi zero (ZIRP) nella prima metà del 2025», afferma al CdT Roberto Mandorino, responsabile investimenti Svizzera presso J.P. Morgan Private Bank a Zurigo. «La dichiarazione – aggiunge – ha inoltre sottolineato l’importanza dell’intervento sul mercato dei cambi come strumento chiave della BNS».

Sull’annuncio della Banca nazionale, questa mattina il tasso di cambio euro-franco è balzato di oltre mezzo centesimo, da 0,9281 a 0,9342, per poi assestarsi in serata attorno a quota 0,9335. Stando ai commenti di alcuni operatori della piazza ticinese raccolti dal CdT, serpeggiano tuttavia alcuni dubbi sulla capacità che l’intervento possa frenare l’apprezzamento del franco svizzero. Infatti, come ormai noto, il rafforzamento del franco è un conseguenza diretta dell’indebolimento dell’euro.

Ancora Roberto Mandorino: «Il prossimo banco di prova per il franco svizzero sarà la politica monetaria della BCE, la cui propensione “dovish” (accomodante, ndr) potrebbe invertire il rialzo del cambio euro-franco. Continuiamo inoltre a considerare il franco come una valida valuta rifugio, soprattutto alla luce della mancanza di miglioramenti nella crescita europea. Riguardo al cambio con il dollaro, il carry trade negativo rispetto agli Stati Uniti (dove si prevede che i tassi rimarranno più alti più a lungo) è attualmente troppo significativo per giustificare posizioni short di dollari in questo momento».

Per frenare il rincaro la BNS, fra giugno 2022 (inflazione media annua al 2,8%) e giugno 2023 (al 2,1%), aveva proceduto a cinque aumenti del tasso guida, che era così salito dal -0,75% al +1,75%. Poi, per due volte consecutive (settembre e dicembre 2023), la BNS ha «fatto una pausa». Lo scorso 21 marzo, constatando che l’inflazione era tornata sotto il 2%, l’istituto ha proceduto a un primo taglio del costo del denaro, che era sceso all’1,5%, seguito da un secondo a giugno (all’1,25%) e un terzo a settembre (all’1%). Con il quarto taglio odierno, in meno di un anno la BNS ha ridotto di 125 punti basi il costo del denaro.

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«Sebbene il taglio di 25 punti percentuali fosse atteso, è l’aggiornamento delle prospettive della BCE e i relativi commenti a indurre gli investitori a rivalutare il percorso dei tassi europei fino al 2025. Le aspettative di politica monetaria tra la Federal Reserve e la BCE sono sempre più divergenti, in quanto le banche centrali tentano di gestire fondamentali molto diversi», così Gordon Shannon, gestore di TwentyFour Asset Management (una boutique di Vontobel). Questo per dire che le dinamiche economiche tra le due sponde dell’Atlantico sono molto diverse. E lo saranno molto di più l’anno prossimo.

La decisione di abbassare i tassi guida di un quarto di punto (tra il 3 e il 3,40%, ndr) è maturata anche tenendo conto delle stime d’inflazione, portandole al 2,4% nel 2024 (da 2,5% di settembre), al 2,1% nel 2025 (da 2,2%) e mantenendo l’1,9% per il 2026. La stima sul 2027 è 2,1%. Una flessione dell’inflazione frutto anche della frenata dell’economia. Quest’anno la crescita media del PIL nell’Eurozona si fermerà al +0,7%.

Negli Stati Uniti, invece, i prezzi al consumo a novembre sono saliti del 2,7% su base annua, in linea con le attese ma in accelerazione rispetto al +2,6% di settembre. L’indice core – al netto di alimentari ed energia, quello monitorato dalla Federal Reserve – ha segnato un aumento del 3,3% su base annuale e dello 0,3% su base mensile, anche in questo caso confermando i pronostici. La crescita economica nel contempo resta robusta.

Un quadro – quello europeo – che porta la BCE a dichiarare, in una nota – che «il processo disinflazionistico è ben avviato» e ad abbandonare la formula, adottata fino a ottobre, secondo cui «manterrà i tassi di riferimento su livelli sufficientemente restrittivi». Non c’è l’orientamento – auspicato da alcuni – sulle prossime mosse: la BCE continuerà con un «approccio guidato dai dati», affermano i vertici dell’istituto.

«Non ci penso, davvero»: così la presidente della BCE, Christine Lagarde, sull’ipotesi di un taglio dei tassi da mezzo punto percentuale su cui puntano le scommette degli investitori. La 68.enne ha comunque aggiunto che «le cose cambiano nel tempo, in funzione dei dati» e «molte cose si chiariranno nei prossimi mesi, non nelle prossime settimane».

In risposta alla domanda se l’istituto non potrebbe stimolare la domanda con un allentamento monetario più deciso, l’ex ministra francese ha replicato in modo secco. «Sono tentata di rispondere che la domanda andrebbe fatta a qualcun altro», ha detto. «Il nostro obiettivo è la stabilità dei prezzi, ognuno deve fare il suo lavoro» e «gli Stati membri, in particolare nell’area euro, devono rispettare le regole di governance che si sono dati facendo allo stesso tempo un consolidamento di bilancio e misure che rilancino la crescita».

È molto probabile che la Bce voglia però mantenere qualche margine di manovra, in chiave di risk management. Nel corso della riunione, ha rivelato la presidente, è stato proposto un taglio maggiore, di 50 punti base, anche se il consenso si è poi coagulato su un taglio inferiore. «Non è ancora una vittoria sull’inflazione», ha commentato Lagarde. «L’inflazione interna – ha spiegato inoltre il comunicato – ha registrato una flessione ma resta elevata, principalmente perché salari e prezzi in determinati settori si stanno ancora adeguando al passato incremento dell’inflazione con considerevole ritardo».

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