Il nuovo segretario NATO chiede più soldi e “mentalità di guerra” ai Paesi membri


Il nuovo segretario generale della NATO, Mark Rutte, ha affermato che la soglia del 2% per le spese militari fissata dall’alleanza atlantica non è più sufficiente e che occorre «passare a una mentalità di guerra» a causa di quella che definisce la minaccia russa. «Avremo bisogno di molto di più» in quanto «il pericolo si muove verso di noi a tutta velocità» ha spiegato durante un evento organizzato dal Carnagie Europe di fronte a una platea composta da giornalisti, funzionari europei, imprenditori ed esperti del settore della difesa. La nuova soglia di spesa in armi da raggiungere non è ancora stata stabilita «ma è evidente che nei prossimi mesi dovremmo accordarci su quale sarà la nuova soglia», ha asserito il segretario. Rivolto ai pochi Paesi che non hanno ancora raggiunto il 2% – tra cui l’Italia – ma anche a banche, fondi pensione e opinione pubblica, Rutte, ha detto che «è inaccettabile rifiutarsi di investire nella difesa». Anche se questo «significa spendere meno per le altre priorità», tra cui compaiono le pensioni, la sanità e la previdenza sociale.

Per tradurre in pratica le raccomandazioni del segretario della NATO sarà necessario rafforzare l’industria della difesa europea, ma anche “sensibilizzare” l’opinione pubblica, convincendola del pericolo di un’imminente minaccia militare. Rutte ha spiegato che quest’ultima non è immediata e che «Per ora il nostro deterrente è buono, ma tra tre o quattro anni potrebbe non esserlo più». Il pericolo evocato da Rutte non riguarda solo la Russia, ma l’intero blocco di Paesi che si oppone alle politiche di Washington, comprese Cina, Iran e Corea del Nord. L’ex capo di governo dei Paesi Bassi ha puntato il dito in particolare contro la Cina, che a suo dire starebbe «aumentando in modo sostanziale le sue forze, comprese le armi nucleari, senza trasparenza e limitazioni».

Già da tempo, i Paesi europei stanno lavorando nella direzione di un aumento delle spese militari, anche sulla scia di quanto raccomandato dal cosiddetto “piano Draghi”, a scapito di altri investimenti e mentre le principali economie europee stanno subendo un grave crollo politico e economico. In questo senso, Rutte ha ribadito la necessità di insistere sugli acquisti congiunti a livello europeo, per evitare un «enorme» impatto finanziario. Una proposta già avanzata mesi fa dalla stessa Commissione europea all’interno della Strategia dell’Industria Europea della Difesa (EDIS), i cui obiettivi sono quelli di aumentare la produzione di materiale bellico in tutto il continente e di rendersi indipendenti da altri fornitori, tra cui gli Stati Uniti. L’idea, presentata dalla presidente della Commissione, Ursula von der Leyen, con l’appoggio di Draghi, è quella di creare un mercato comune con un sistema di investimenti e acquisti congiunti su scala europea, sul modello degli acquisti per i vaccini. Nella stessa direzione si inserisce il recente piano dei ministri degli Esteri di Germania, Francia, Polonia, Italia, Spagna e Regno Unito di istituire un debito comune per la Difesa. Sempre contestato dagli esponenti più rigoristi dell’UE – i cosiddetti falchi del nord – il debito comune è ben visto solo se serve a riarmarsi.

Il destino dei Paesi europei all’interno di UE e NATO, Italia in primis, è segnato, dunque, da due parametri ineludibili: austerità e corsa al riarmo con relativo aumento delle spese per la difesa. In particolare, in Italia, la spesa militare è in crescita da anni: secondo i dati dell’Osservatorio Milex, negli ultimi dieci anni c’è stato un incremento di investimenti in questo settore del 12%. Esaminando il disegno di legge di bilancio del 2025, l’Osservatorio ha stimato un aumento di fondi destinati a questo settore di oltre due miliardi, raggiungendo il record di oltre 32 miliardi, di cui 13 solo per nuove armi. Alla Difesa sono destinati parte dei fondi provenienti dai tagli di tutti gli altri ministeri. Con l’aumento a 32 miliardi, l’Italia ha raggiunto l’1,57% del PIL per la difesa, ancora distante, dunque, dall’obiettivo minimo – è già non più sufficiente – del 2% stabilito dalla NATO.

Legato all’aspetto finanziario, vi è poi quello del convincimento ideologico delle masse alla guerra, che fa leva sulla presunta minaccia militare della Russia e di altri Paesi, generando così un sentimento di paura nella popolazione. Già all’inizio della guerra in Ucraina nel 2022, commentatori, analisti e politici occidentali agitavano la possibilità, piuttosto inverosimile, che Putin avrebbe invaso l’intera Europa se non fosse stato fermato in Ucraina, descrivendo al contempo l’esercito russo come un esercito allo sbaraglio dotato solo di vecchie armi sovietiche. Come sempre accade in questi casi, chi detiene il potere ha bisogno del consenso delle masse per non risultare delegittimato e la campagna d’informazione legata a ritrarre la Russia come un pericolo per i Paesi europei ha esattamente questa funzione, nonostante le nazioni europee abbiano intrattenuto sempre ottime relazioni commerciali con lo Stato eurasiatico fino al 2022.

Benché il presidente eletto Donald Trump abbia confermato di voler avviare i negoziati tra Russia e Ucraina, l’Europa sembra in ogni caso avviata sulla strada dello scontro con Mosca, fomentando un clima bellico nel Vecchio continente e predisponendo i cittadini all’idea della guerra.

[di Giorgia Audiello]





Source link

***** l’articolo pubblicato è ritenuto affidabile e di qualità*****

Visita il sito e gli articoli pubblicati cliccando sul seguente link

Source link