di Massimo Coccia
Come attrarre nuovi investimenti in Italia
Stiamo attraversando crisi infinite soprattutto dopo Il Covid, la guerra e l’esplosione dei prezzi mettono in discussione l’attuale modello economico come mai prima nella storia contemporanea. Assistiamo impotenti a continue chiusure di imprese e credo che il mantra che non dovrebbe far dormire i politici e in generale la classe dirigente sia come far ritornare ad investire nelle produzioni in Italia. Occorre muoversi fare presto altrimenti non servirà a nulla chiedere aumenti salariali con i nuovi rinnovi contrattuali se a breve non ci sarà più’ nessuno a cui chiedere questi rinnovi.
Come si può rilanciare l’occupazione in Italia se continuiamo ad assistere alle continue delocalizzazioni delle nostre aziende nazionali e le produzioni delle multinazionali nei paesi emergenti continuano a sottrarre lavoro a tutti i paesi Europei, in particolare all’Italia, portando altrove non solo lavoro “manuale” ma anche lavoro sulle tecnologie avanzate (es. Automobili, elettronica, telecomunicazioni, software, ricerca scientifica). Questo non fa che creare disoccupazione e povertà in casa nostra, facendo arricchire multinazionali e gli importatori che portano in Italia prodotti comprati a basso prezzo e spesso rivenduti in casa nostra ad un prezzo non tanto inferiore a quanto prodotti in casa nostra, realizzando enormi guadagni.
Le delocalizzazioni delle industrie nazionali e le multinazionali che operano all’estero, sfruttano spesso le mancanze di regole che tutelano il lavoro in quei paesi, e il fatto quindi di avere dei “nuovi lavoratori” che lavorano ben oltre i limiti dalle nostre leggi nazionali. Del resto le multinazionali per evitare di essere acquisite o di chiudere devono adeguarsi alla sfida dei mercati internazionali che prevede di rimanere competitivi a qualsiasi costo. Questa tendenza depaupera il paese dalla capacità di “saper fare” e la conseguenza è che, se inizialmente si portava fuori solo la produzione, oggi si porta fuori anche il progetto, il know-how, la conoscenza e l’esperienza dei prodotti. Nel passato ai tempi dell’impero romano, questo succedeva già, usando il lavoro degli schiavi all’interno del territorio dell’Impero; questi ultimi svolgevano gran parte delle attività produttive, lasciando la “plebe” romana, in teoria liberi cittadini, senza lavoro e costretta lei stessa a diventare schiava dei potenti per sopravvivere. Questa situazione deve finire; il principio che si deve affermare è che ciascuno deve produrre in casa propria, col proprio lavoro, quello che serve, evitando di perdere lavoro e conoscenza, senza lavoratori che all’estero producono quello che serve all’interno del nostro paese. Parallelamente va combattuto con uguale forza anche quella forma di nuovo “schiavismo” che sta prendendo piede anche in Italia, dove in capannoni e case fatiscenti, o in campi assolati, uomini donne e bambini, lavorano sottopagati, senza orario, senza tutele ed esposti ad ogni forma di ricatto.
A fronte dei bassi prezzi che vengono proposti sui prodotti provenienti dall’estero, molti di noi, anche di fronte alla crisi economica e dell’impoverimento che si sta diffondendo, sono costretti a comprare questi prodotti, anche solo per sopravvivere. In passato, prima della liberalizzazione dei commerci, furono introdotti i dazi e le dogane, che permettevano di “contenere” la concorrenza straniera, anche se il loro scopo era lucrare sui commerci, da parte dello Stato. SI è visto come le dogane rimaste, nei confronti dei paesi extra-UE, da sole non riescono a limitare i prodotti stranieri perché la differenza dei costi tra la produzione straniera e quella nazionale è troppo marcata. Prima dell’ ingresso nell’euro c’era anche la valuta nazionale che, se svalutata, poteva rendere il lavoro effettuato all’interno di un paese, concorrenziale con il lavoro svolto nei paesi stranieri. Con la nostra valuta nazionale e la perdita continua del suo valore le categorie a reddito fisso sono state molto danneggiate, facendo rischiare di fallire sotto il profilo economico l’Italia, poco prima dell’entrata nell’area Euro. Un ritorno alla lira oggi sarebbe impensabile: avremmo grandi ripercussioni sull’economia quotidiana della gente comune, e tornare alla lira sarebbe , un suicidio economico, soprattutto per le categorie più’ fragili. L’Italia oggi, come qualunque Stato in difficoltà dell’area Euro, per reperire denaro , non può emettere moneta (Euro) condizionando le finanze degli altri paesi potrebbe fra crescere l’inflazione nell’area euro riversando sugli altri i problemi dello Stato italiano. Fino alla crisi con la Russia il paese più bravo a fare i compiti era la Germania perché con l’energia a basso costo riusciva pure a produrre ottimi prodotti riuscendo a pagare meglio degli altri i propri operari e impiegati, potendo contare sul fair value del made in Germany. In Germania la corruzione ed evasione fiscale sono ben inferiori che in Italia e la burocrazia e la giustizia funzionano meglio, c’è meno criminalità che strangola persone e attività, e non ultimo, il regime fiscale non è pesante come In Italia nei confronti del cittadino e delle imprese; questo è dovuto, oltre che alla inefficienza dell’apparato statale italiano (Stato, Regioni, Province , Comuni) che costa troppo al cittadino, anche all’immenso debito pubblico accumulato in Italia, il cui pagamento degli interessi assorbe una parte consistente delle risorse delle imposte dirette e indirette. Questo impedisce allo Stato investimenti su grandi opere pubbliche (strade, ferrovie, sistemazione del suolo) e strutture (scuola, ricerca, sanità, pensioni), che oltre a dare lavoro, migliorerebbero le condizioni di vita dei cittadini; su tutti questi aspetti sappiamo che dobbiamo migliorare, ma ci vorrà molto tempo e forse questo non sarà sufficiente, non sarà sufficiente perché non siamo nelle condizioni di modificare le regole del lavoro al di fuori dei nostri confini, interferendo sulla economia e sulla politica dei paesi stranieri: ognuno decide come agire in casa propria, e se di fatto altrove si ammettono forme di sfruttamento dei lavoratori e regole diverse dalle nostre, noi non possiamo modificarle. L’idea per difendere il lavoro italiano va affinata ed occorre studiare nuove strategie per superare possibili controindicazioni derivanti dalle normative Europee ed internazionali, che potrebbero vedere nella nostra azione una forma illecita di protezionismo.
Come incentivare il Re-shoring utilizzando la leva fiscale
Queste strategie si basano nel trovare degli accorgimenti più’ raffinati per evitare di infrangere alcune leggi europee, come ad esempio spostare il privilegio sul prodotto Europeo (o su quelle italiano, oppure di favorire prodotti a “Kilometro quasi zero”, ad esempio 200 km, con il meccanismo che di seguito viene descritto, o ancora di concordare con i paesi dell’area Euro, di estendere il privilegio a tutti i paesi membri, in cui ciascuno privilegia il lavoro all’interno del proprio Stato. Questa idea prende in considerazione le Detrazioni Fiscali del 50% sulle Ristrutturazione Edilizie e del 55% sugli interventi finalizzati al Risparmio energetico degli edifici (oggi il super bonus del 110% non è stato ben applicato anche se le finalità erano buone nonostante la percentuale fosse troppo elevata): queste detrazioni sono state utilizzate per sviluppare “lavoro utile” in Italia, per rimettere a nuovo gli edifici, evitando il degrado degli stessi, ed i provvedimenti sul Risparmio Energetico ci consentiranno di risparmiare concretamente soldi consumando meno combustibili importati dall’estero, migliorando la qualità dell’aria e gli effetti sul clima. Ricordiamo tutti l’iniziativa del “Conto Energia” che ha reso possibile sviluppare il fotovoltaico e produrre percentuali di energia elettrica sempre maggiori sfruttando il sole come fonte rinnovabile. Le Detrazioni fiscali hanno creato lavoro per decine di migliaia di persone in Italia, in un ciclo virtuoso che porta lavoro e miglioramento dell’ambiente e oggi in epoca post Covid è sempre più’ imprescindibile la riduzione delle spese per combustibili importati dall’estero. In particolare ricordiamo che un aspetto del 4° Conto Energia e che in parte è stato portato anche sul Conto Energia n° 5 è stato di ispirazione il fatto di offrire un incentivo sulla produzione di energia elettrica maggiorato del 10% se i pannelli sono di produzione Europea. L’idea è di proporre per il contribuente una Detrazione Fiscale del 50% su tutte le spese effettuate su prodotti servizi ITALIANI almeno al 50% per la parte di prodotto Italiana, da spalmare in 10 anni. Inizialmente la detrazione potrebbe essere applicata solo su alcune categorie (es. , hotel, automobile elettriche e non, elettronica) e negli anni successivi estesa gradatamente a tutte le altre categorie di prodotti.
Cosa significa prodotto-servizio italiano al 50%? Si può spiegare meglio con un paio di esempi:
- Se una Lancia Y10 fosse prodotta in Serbia, potrebbe avere un valore del 30% di componenti prodotti in Italia, e di un 70% rimanente proveniente dalla Serbia (sarebbe un prodotto-servizio italiano al 30% con nessuna detrazione di imposta). Se la stessa fosse prodotta tutta in Italia, l’italiano che acquista avrebbe diritto alla detrazione del 50% sul prezzo di acquisto.
- Se una TV venisse prodotta in Italia potrebbe avere un 30% del valore dei componenti provenienti dall’estero, ed un 70% del valore (tra i componenti e manodopera) proveniente dall’ Italia: in questo caso la detrazione di imposta spettante sarebbe il 50% sul 70% del costo del televisore.
- Un televisore prodotto in Corea non avrebbe la detrazione.
- Passare le vacanze in un hotel italiano costerebbe in pratica il 50% in meno rispetto ad una vacanza all’estero. Cosa significa spalmare su 10 anni: analogamente alle detrazioni del 36-50%, per ridurre il carico dello Stato italiano, la detrazione viene spalmata sulla dichiarazione nei 10 anni successivi: questo dà una gradualità al rimborso delle detrazioni, ed in funzione dei risultati ottenuti, consente allo Stato di modulare negli anni successivi la percentuale di detrazione di imposta (l’ipotesi di una detrazione del 50%, così come proposta, vuole significare una detrazione importante per il cittadino, ma è puramente indicativa).
La nostra Costituzione mette il lavoro al primo posto come principale punto di riferimento delle leggi dello Stato italiano, ma poco viene fatto dalle leggi dello Stato per promuovere le condizioni che rendono effettivo questo diritto (art.4). Il compito dello Stato dovrebbe essere quello di aiutare i cittadini, creando occupazione a chi ha perso il lavoro e a chi è in cassa integrazione o è esodato. Questo compito in parte lo Stato italiano lo svolge attraverso l’INPS con i contributi dei Lavoratori, pagando la cassa integrazione e fornendo il sussidio di disoccupazione, o dove questa non ci arriva, con i suoi contributi diretti, ricavati dalle tasse che pagano tutti (o quasi) gli italiani, ma senza in realtà creare vero lavoro. Ma se il lavoro non viene creato, non ci sono contributi INPS, e non ci sono i soldi per pagare le tasse. In questo caso lo Stato italiano può chiedere ai propri cittadini di finanziare il lavoro per chi non ne ha, traendo le risorse dalla propria fiscalità, utilizzando le detrazioni di imposta a favore di chi, comprando italiano, può dare lavoro ad altri italiani. Un provvedimento di questo genere non offende l’etica del comportamento nei confronti dei partner Europei, in quanto lo Stato italiano, così facendo aiuta sé stesso, senza chiedere niente agli altri stati: d’altra parte gli altri Stati, se l’Italia è in difficoltà perché il lavoro che potrebbe essere fatto in Italia viene dato dall’estero, non ci vengono incontro pagando i sussidi dei disoccupati italiani, o pagando la cassa integrazione (a parte in passato con il fondo SUR e a livello europeo per il Covid che rappresenta un eccezione), o sostenendo economicamente gli esodati (ed è giusto che sia così, ogni Stato serio deve essere lui a pensare ai suoi cittadini, non gli altri). Così facendo lo Stato italiano non aiuta solo le industrie italiane, perché domani la Ford, la Toyota, potrebbero venire in Italia a produrre auto destinate all’ Italia, usufruendo dell’aiuto, quindi non si tratta di aiuti illeciti alle industrie italiane. L’aiuto viene dato in effetti al lavoro italiano, e quanto proposto è solo un modo per creare e difendere il lavoro in Italia, come ci chiede la nostra Costituzione.
VANTAGGI:
Questo induce il contribuente italiano, che già prima avrebbe voluto comprare italiano ma non lo faceva per motivi economici a scegliere sul mercato il prodotto maggiormente italiano, possibilmente tutto italiano, per avere i benefici fiscali. Questo induce l’azienda italiana a non delocalizzare la produzione destinata all’ Italia per avere un costo del 50% inferiore. Questo potrebbe indurre le multinazionali straniere a produrre in Italia i prodotti destinati all’Italia, possibilmente con materiale al 100% proveniente da lavoro italiano: questo significa per loro di tornare ad investire in Italia e fare lavorare degli italiani. Questo favorisce l’industria del riciclo dei rifiuti, da cui viene estratta materia prima tutta italiana, senza attingere a nuove risorse di importazione. Il costo di un prodotto deriva dalle materie prime, che spesso vengono importate, ma che hanno un valore molto basso rispetto al prodotto finito, e dai semi-lavorati e dalle lavorazioni successive che portano al prodotto finito: mantenendo in Italia la maggior parte di quest’ultimi, il valore preponderante del prodotto sarebbe italiano, lasciando all’azienda manifatturiera la libertà di scegliere il ciclo di produzione che più’ le conviene. La detraibilità delle spese sul prodotto italiano porta all’attenzione dell’Agenzia delle entrate tutti gli acquisti del contribuente, permettendo un sempre maggiore controllo dell’evasione fiscale. Chi vuole avere i benefici delle detrazioni fiscali, deve dichiarare le sue spese, e ovviamente se aveva i soldi, deve essere in grado di dimostrare come li ha guadagnati. Sorge un ciclo virtuoso, per cui il lavoro che torna in Italia, consente maggiore occupazione e quindi maggiore reddito ai cittadini, riducendo la criminalità conseguente alla disoccupazione ed alla povertà, mantenendo il know-how in Italia, e consentendo allo Stato e all’ INPS un maggior gettito fiscale e previdenziale, conseguente al maggior numero di persone che lavorano.
SVANTAGGI
(se gestiti con intelligenza, gli svantaggi potrebbero diventare altri vantaggi).
Per ottenere la detrazione fiscale va riportato sullo scontrino fiscale, o fattura, la percentuale del valore del prodotto fatta in Italia: ottenere questo importante dato comporta, oltre che una grossa responsabilità dell’azienda in caso non veritiero, anche una fase abbastanza complessa di classificazione dei prodotti, e la successiva certificazione da parte di un ente di controllo autorizzato dallo Stato italiano (es. RINA), della veridicità delle dichiarazioni del produttore, per ogni lotto del prodotto che viene prodotto. La Certificazione viene fatta sul prodotto a carico del produttore, andando a verificare l’incremento del valore del prodotto stesso attraverso tutto il suo percorso di produzione. Questo significa tracciarne le fasi di lavorazione, con l’informazione di dove queste vengono effettuate, sui lavorati, semilavorati, sotto assiemi, assiemi ed infine sull’assemblaggio finale e collaudo del prodotto. Anche il costo del progetto, se italiano, può essere in parte scaricato sui costi di produzione. Il produttore straniero / o l’integratore / assemblatore italiano che commercializza un prodotto in Italia con una quota del valore prodotto in Italia superiore al 50%, per essere venduto, deve farsi carico della certificazione del prodotto in Italia, ovvero un prodotto non certificato viene considerato al 100% straniero, senza diritti alle detrazioni fiscali. L’operazione di certificazione sarebbe a costo nullo per lo Stato, anzi, anche in questo settore si creerebbe nuova occupazione. Una funzione di controllo sull’ operato delle aziende, potrebbe essere in parte affidata anche ai consigli di fabbrica e/o alle organizzazioni sindacali che operano nelle aziende stesse. Non ultimo, come risultato secondario di queste operazioni, ma tutt’altro che trascurabile, l’Agenzia delle Entrate avrebbe una visibilità completa sulle attività interne delle Aziende produttrici di beni e servizi, fattore questo che potrebbe ridurre ulteriormente l’evasione fiscale. La responsabilità su quale sia il costruttore del prodotto, deve ricadere invece su chi vende il prodotto stesso (negozio, supermercato, azienda…) e questo per dissuadere i commercianti “furbetti” dal mettere in commercio prodotti contraffatti, e spacciati per prodotti di marche nazionali che godono del beneficio della detrazione fiscale. Il cartellino del prezzo deve riportare la percentuale del lavoro italiano sul prezzo di vendita. Il cittadino dovrebbe poi farsi carico di conservare fatture e scontrini, così come fa oggi per ottenere le detrazioni delle spese mediche. La detrazione di imposta a carico dello Stato italiano deve essere compensata da un aumento delle aliquote di tassazione a carico del contribuente, che potrebbe essere ri-modulata anno per anno a seconda dell’entità delle detrazioni riscontrate: il risultato da ottenere è di pareggiare gli esborsi dello Stato per le detrazioni di imposta concesse ai cittadino con l’aumento delle entrate dovuti alle aliquote di tassazione maggiorate. In questo modo il contribuente che usufruisce delle detrazioni di imposta comprando italiano, non viene penalizzato dall’aumento delle aliquote. Ovviamente quanto sopra non preclude al cittadino che lo desidera di continuare a comprare prodotti stranieri, semplicemente pagherà di più’. Risultato finale; costo zero per lo Stato, costo zero per il cittadino che compra italiano (anzi risparmia perché qualcun altro comprerà straniero), crescita vera del lavoro italiano.
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