Siamo in un mondo instabile e conflittuale e sempre più frammentato dove sembra che il rispetto per il diritto e la consuetudine internazionale stia progressivamente venendo meno. Le speranze che avevano caratterizzato il periodo post-Guerra Fredda con l’avvento di una Belle Epoque come agli inizi del secolo scorso, sono state definitivamente soppiantate da uno scenario globale in cui c’è il rischio che torni a prevalere solo la legge del più forte. Stiamo insomma vivendo una terza guerra mondiale frammentata, come ormai viene definita anche dagli studiosi della materia ed accettata come un fatto ineluttabile nella nostra società post-industriale. Una guerra non esplicitamente dichiarata e favorita anche dall’utilizzo sempre più pervasivo dei socialmedia che da una parte consente di amplificare le informazioni rendendole immediate, e dall’altra aumenta il rischio di trasmettere messaggi falsi o manipolati.
In un contesto così complesso, c’è ancora posto per la diplomazia classica? La risposta è convintamente affermativa. A patto che essa sappia rapidamente adeguarsi ai tempi ed ai modi dell’epoca di sofferta transizione che stiamo vivendo. Proprio a causa delle difficoltà e delle molteplici chiavi di lettura che caratterizzano il contesto internazionale, il ruolo e l’utilità della diplomazia è tornato quindi alla ribalta e con esso coloro che sono alla base dell’azione, ovvero i diplomatici quali attori fondamentali a livello operativo.
La Conferenza annuale delle Ambasciatrici e degli Ambasciatori d’Italia nel mondo, giunta quest’anno alla XVII edizione e che si svolge alla Farnesina in questi giorni come da tradizione alla presenza del Presidente della Repubblica, della Presidente del Consiglio e guidata dal Ministro degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale, assistito da una rodata squadra ministeriale, proverà a dare risposte ed indicazioni, affiancata in futuro auspicabilmente anche da conferenze regionali più orientate su situazioni specifiche, dall’Asia al Grande Medio Oriente all’America Latina. Un evento non solo celebrativo, ma essenziale per fare il punto sul complesso e stratificato quadro globale, considerando i 36 conflitti armati in corso ma anche quelli economici (che nel 2025 potrebbero aumentare, stando alle promesse di Trump) e le ingerenze di potenze straniere negli affari interni nazionali, sotterranee e non visibili immediatamente ma con impatti significativi, sui singoli terreni di competizione.
I diplomatici italiani sono sempre stati presenti e attivi, come da ultimo dimostra anche l’invio del nostro Ambasciatore in Siria, unico europeo ad essere nel Paese alla vigilia dell’insurrezione e del cambio di regime avvenuto pochi giorni fa. Continua insomma la tradizione della diplomazia italiana di essere ovunque, anche nei contesti più critici (si veda la Libia o l’Ucraina), dove l’ambasciata italiana è sempre l’ultima a chiudere mentre la diplomazia europea, purtroppo, stenta ancora a farsi sentire con una voce sola.
Oggi, alla dimensione diplomatica più tradizionale si aggiungono poi i settori economici, scientifici e culturali, in cui l’influenza del nostro soft power ha un ruolo decisivo e che consentono agli ambasciatori di esaltare al meglio le proprie competenze tecniche a supporto del governo in carica.
Il nostro sistema a differenza di quelli di molti altri paesi, più permeati da influenze politiche partigiane, permette infatti agli ambasciatori di essere esecutori convinti delle linee politiche decise dal Governo e dal Parlamento e di agire quindi in modo più efficace a difesa delle linee di azione approvate dagli organi costituzionali, avendo come stella polare solo l’interesse nazionale (ben sintetizzato dai messaggi espressi dal Presidente della Repubblica).
Non meno importante è poi il lavoro svolto dai diplomatici consoli, coordinati dall’ambasciatore in loco, che si occupano di supportare i tanti italiani presenti in giro per il mondo, non solo a causa di migrazioni del passato ma anche di quelle recenti originate non più dal bisogno ma dal desiderio di turismo o dalle scelte di diversificare le proprie esperienze professionali e dalla ambizione di carriere professionali più rapide e remunerate.
Il console è divenuta cosi una figura in prima linea, occupata a proteggere i nostri connazionali in contesti difficili e anche pericolosi.
Insomma, la figura del diplomatico, in tutte le sue declinazioni, che emergerà dalla Conferenza, è quella impegnata oggi più che mai a consentire all’Italia di navigare in un mondo sempre più tempestoso, tenendo il timone saldo verso la rotta fissata dal mantenere ed accrescere il ruolo che spetta all’Italia nel mondo per la sua cultura e tradizione, per la sua posizione geografica e per la ricchezza del suo tessuto economico e scientifico.
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