La circolare DT 56499 del 17 giugno 2022 e la fattispecie prevista dall’art. 58 d.lgs.231/2007. Possibile di difesa in caso di contestazione mancata segnalazione operazione sospetta.
Il riciclaggio
Il riciclaggio di denaro, disciplinato dall’articolo 648-bis del c.p., si configura come un reato che punisce chi, tramite operazioni di sostituzione o trasferimento di denaro e beni provenienti da attività criminali, ostacola l’identificazione della loro origine delittuosa. Diversamente dalla ricettazione, che si limita all’allontanamento dei beni dal loro legittimo proprietario, il riciclaggio implica un’azione più complessa, volta a rendere difficoltosa la tracciabilità del bene stesso. Questa distinzione è fondamentale, sebbene non sempre facile da cogliere, come evidenziato dalla sentenza della Cassazione n. 8473/2019.
Negli ultimi anni la lotta contro il riciclaggio ha reso necessario un incremento regolamentare significativo con l’introduzione, senza soluzione di continuità a partire dal d.lgs.231/2007, di numerose norme da parte del legislatore; queste sono spesso accompagnate, inoltre, da regole tecniche e linee guida emanate dagli organi di autoregolamentazione delle categorie professionali coinvolte. Tuttavia, tale proliferazione di precetti ha generato ambiguità applicative, creando difficoltà per i professionisti impegnati nel loro doveroso rispetto. Questi soggetti, infatti, si trovano a dover osservare obblighi complessi e talvolta poco chiari, simili a quelli degli istituti di credito, ma privi delle risorse strutturali e tecnologiche necessarie per gestirli efficacemente e puntualmente.
La circolare DT 56499 del 17 giugno 2022, si inquadra nel contesto degli articoli 56, 57, 58, 59 e 65 del d.lgs. 231/2007. Tale documento riporta importanti precisazioni nella determinazione delle sanzioni antiriciclaggio sottolineando, anche se su tale aspetto non vi era alcun dubbio, la responsabilità dei professionisti.
La stessa fornisce istruzioni operative dettagliate relative a ciascun obbligo normativo, presentando rilevanti chiarimenti rispetto alla versione precedente, la circolare DT 54071 del 6 luglio 2017. Questo aggiornamento risulta cruciale per garantire una corretta comprensione delle normative vigenti e una loro implementazione utile ai professionisti interessati.
La fattispecie più grave è senza dubbio quella riguardante l’omessa segnalazione di operazioni sospette (SOS), la cui disciplina è stabilita dall’art.58 del d.lgs. 231/2007.
La fattispecie prevista dall’art. 58 co.1 d.lgs.231/2007.
Il comma 1 di suddetto articolo definisce una fattispecie “base” di omessa segnalazione, che non richiede ulteriori qualificazioni della condotta materiale, prevedendo l’applicazione di una sanzione pecuniaria fissa di 3.000,00 euro. Questo significa che, ove il Mef confermasse il rilievo dei militari del PVC, l’unica alternativa sarebbe quella di adire il Tribunale della Capitale, al fine di chiedere l’annullamento integrale del decreto sanzionatorio, in quanto il Giudice non potrebbe, anche qualora constatasse una mancanza ancora meno grave da parte del presunto trasgressore, ridurre la sanzione applicata prevista dalla norma in modo “fisso”. Questo comporta la necessità di valutare attentamente l’opportunità del ricorso giudiziale in quanto, oltre all’alea del giudizio, spesso anche in caso di vittoria da parte del ricorrente il Giudice compensa integralmente le spese del procedimento; non presentando ricorso, si potrebbe avanzare richiesta di riduzione di un terzo delle sanzioni applicate, quindi la vertenza sarebbe definita con la somma di 2.000,00 euro.
La fattispecie prevista dall’art. 58 co.2 d.lgs.231/2007.
Al contrario, è sicuramente più problematica la previsione del co. 2 dell’art.58, che ha introdotto una fattispecie “qualificata”, perché caratterizzata dalla presenza di ulteriori elementi di natura: ripetuta, sistematica, plurima e grave della condotta in osservazione. In tali circostanze, le sanzioni possono variare in modo significativo, oscillando tra i 30.000,00 euro e i 300.000,00 euro. Gli operanti, talvolta, quando ravvisano i presupposti per contestare quanto previsto dall’art.58 c.2, verbalizzano in modo indistinto la presenza di tutte le quattro fattispecie, rimandando al Mef la successiva decisione. Sarebbe opportuno, in sede di memorie difensive, valutare se sussistono realmente e in che misura tali “aggravanti”, e se queste sono state correttamente verbalizzate.
Ripetitività.
Nel contesto della valutazione della ripetitività della condotta, emerge un’importante considerazione riguardo al concetto di recidiva, che trova le sue radici nel diritto penale. Secondo il documento analizzato, la reiterazione di una violazione deve necessariamente riguardare condotte della medesima natura per poter configurare un’ipotesi di ripetitività. È fondamentale, pertanto, che le contestazioni relative a violazioni passate siano state riconosciute e sanzionate, affinché si possa parlare di una violazione ripetuta secondo i criteri previsti.
La ripetitività si evince altresì, in base alla circolare, quando l’Autorità procedente affronta contestualmente più atti di contestazione nei confronti dello stesso soggetto obbligato. Anche se le fattispecie contestate sono distinte, la riunione in un unico procedimento o l’istruttoria congiunta possono portare a una reiterazione di violazioni simili. In tali circostanze, l’accertamento della sussistenza della violazione in più atti implica che, qualora si proceda all’irrogazione della sanzione, si assista a un’applicazione di misure punitive che potrebbero risultare sproporzionate. Questo aspetto solleva interrogativi sulla giustizia e sull’efficacia dell’intervento sanzionatorio.
Il documento sottolinea come ricada sugli ispettori la responsabilità di acquisire informazioni dall’incolpato riguardo a precedenti provvedimenti sanzionatori notificati per la medesima violazione negli ultimi cinque anni. Questa disposizione conferisce un carattere garantista all’intero procedimento, risultando in contrasto con l’idea di una discrezionalità illimitata da parte dell’autorità procedente. Infatti, la ricerca di condotte sanzionate relative a periodi più remoti rischierebbe di compromettere il principio di certezza del diritto e di proporzionalità delle sanzioni.
Sistematicità.
La rilevazione del carattere sistematico delle violazioni richiede un’analisi approfondita e rigorosa delle condotte dei soggetti obbligati. È essenziale considerare un arco temporale esteso e un ambito oggettivo ampio, identificando atti di contestazione che evidenzino una ripetizione di comportamenti omissivi, sanzionati dalla legge. La sistematicità emerge quando le violazioni, pur riferendosi a operatività diverse, mostrano una tendenza ricorrente e organizzata. Tale valutazione non solo qualifica la fattispecie di illecito, ma incide significativamente sulla determinazione della sanzione, evidenziando il disvalore di tali condotte nel contesto normativo.
Le plurime violazioni.
Il concetto di violazione “plurima” si distingue per la sua caratterizzazione in relazione alla singola contestazione. Le plurime violazioni possono emergere anche all’interno di un’unica operatività, a condizione che le operazioni coinvolte presentino elementi di sospetto durante un periodo significativo. In situazioni in cui le operazioni sospette siano collegate da uno scopo unitario e temporaneamente limitato, il carattere plurimo può non essere riconosciuto. La distinzione tra violazioni può anche riguardare prestazioni professionali articolate in più operazioni autonome, evidenziando la complessità della valutazione delle responsabilità sanzionatorie.
Il concetto di “plurimo” e “sistematico” in relazione alle violazioni comporta una distinzione fondamentale di natura quantitativa e percentuale. Le violazioni di carattere plurimo si presentano come episodi distinti e separati, mentre quelle di tipo sistematico si configurano come un modo di operare prevalente, intrinseco alla condotta del soggetto obbligato. Nel contesto della rilevazione di omissioni sistematiche, è necessario un ambito di osservazione che sia ampio e oggettivamente articolato; la condotta omissiva deve quindi emergere come abituale o, quantomeno, predominante nel comportamento dell’incolpato.
Esempio possibile di difesa in caso di contestazione mancata segnalazione operazione sospetta.
Nel caso specifico di contestazione della violazione ai sensi dell’articolo 35 del d.lgs.231/2007, il soggetto accusato è legittimato a difendersi presentando prove delle proprie precedenti segnalazioni di operazioni sospette. È fondamentale che tali segnalazioni non siano solo episodiche o datate a periodi lontani, ma che possano comprovare una consuetudine atta a porre in evidenza il rispetto delle normative. L’argomentazione in tal senso può dimostrare come, seppur vi siano state violazioni, queste non siano da considerarsi sintomatiche di un comportamento sistematicamente omissivo.
Gravità.
La “gravità” della violazione rappresenta un elemento cruciale nella valutazione delle fattispecie previste dall’art. 58, co.2, della normativa vigente. Essa è soggetta a una graduazione che considera sia la varietà dei comportamenti illeciti, sia l’intensità con cui si manifestano. La verifica del carattere grave della violazione assume, di conseguenza, una particolare importanza nella determinazione del “sub intervallo” sanzionatorio.
Il legislatore delinea criteri specifici per la graduazione della gravità, tra cui l’intensità e il grado dell’elemento soggettivo. Questo criterio richiede un’attenta analisi della diligenza mostrata dal soggetto obbligato; è quindi fondamentale considerare non solo le competenze professionali e l’esperienza nel settore, ma anche la conoscenza di circostanze rilevanti per la segnalazione delle operazioni sospette. Inoltre, è da enfatizzare il ruolo delle cause “organizzative” che possono influire sull’efficacia dei controlli interni. Laddove vi sia una carenza nell’adozione di prassi operative standard o nell’insufficiente vigilanza, queste negligenze si riflettono gravemente sulla responsabilità del soggetto, compromettendo la conformità alle normative antiriciclaggio.
Determinazione dalle sanzioni antiriciclaggio applicabili.
Sulla base di tutti questi elementi l’autorità procedente, ossia il Mef, procede a collocare la presunta violazione dell’obbligo di segnalazione dell’operazione sospetta nei tre intervalli:
a) 30.000,00-120.000,00
b) 120.000,00-210.000,00
c) 210.000,00-300.000,00
Una volta individuato l’intervallo per la determinazione effettiva della sanzione, in relazione alle fattispecie qualificate precisate, l’autorità procede a valutare le eventuali pregresse violazioni commesse (probabilmente dedotte dalle affermazioni del professionista riportate nel PVC), la dimensione, la capacità finanziaria del soggetto obbligato, il livello di cooperazione con l’autorità, l’entità del vantaggio ottenuto, delle perdite evitate e del pregiudizio cagionato a terzi a causa della violazione, l’adozione delle procedure di mitigazione e valutazione del rischio. Sulla base di tutte queste caratteristiche, il Mef procede a determinare la sanzione applicabile.
È semplice comprendere come si tratti di una procedura alquanto macchinosa, che lascia ampi margini di discrezionalità all’autorità procedente; in caso di ricorso, l’Autorità Giudiziaria farà le proprie considerazioni anche sulla base degli elementi apportati dalla difesa.
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