Prima di Greta Thunberg c’è stata un’altra attivista ambientale che ha catalizzato l’attenzione di tutto il mondo sulle cause ambientali importanti: Julia Butterfly Hill.
La giovanissima attivista americana, nata il 18 febbraio 1974 in Missouri, nel dicembre del 1997 si arrampicò su una sequoia californiana millenaria di nome “Luna” alta 61 metri per impedire il disboscamento della stessa e della foresta di Headwaters circostante da parte della compagnia di boscaioli Pacific Lumber. Il sit-in si rivelò più lungo del previsto: infatti, Julia visse sull’albero per 738 giorni, quindi per circa due anni. Scese a terra il 18 ottobre del 1999, quando lei e il suo gruppo di attivisti riuscirono a trovare un accordo con la società che avrebbe voluto sradicare l’intero parco di sequoie.
Hill catalizzò l’attenzione dei media statunitensi e persino europei, portando lontano il suo intento di sensibilizzazione del pubblico verso le foreste. Una protesta pacifica ma iconica, che è rimasta unica nel suo genere e per la durata.
L’infanzia di Julia Hill: com’è arrivata fino alle foreste di sequoie
Julia Hill era abituata sin da piccola a spostarsi in camper ogni mese, perché il padre era un carpentiere itinerante. Ciò però non le dispiacque affatto, come raccontò in molte interviste, perché le permetteva di vedere luoghi naturali di rara bellezza sconosciuti a molti dei suoi coetanei. Durante un’escursione nel 1981, una farfalla le si posò sul suo dito e rimase con lei per ore. Da quel giorno, il suo soprannome divenne “Farfalla“.
Quanto Hill aveva circa 12 anni si stabilì con la famiglia nell’Arkansas, dove si diplomò e iniziò a lavorare come cameriera in alcuni locali della zona. Nell’agosto del 1996, però, mentre era alla guida di un’automobile, fu vittima di un gravissimo incidente d’auto: la vettura dietro di loro infatti la tamponò così violentemente che la ragazza venne sbalzata fuori dal finestrino, colpendo violentemente il cranio e riportando diverse ferite e fratture gravi. La ripresa fu lenta, e Julia rimase in terapia intensiva per un anno prima di poter parlare e camminare nuovamente.
Quel terribile incidente le diede molto tempo per pensare, come affermò in alcune interviste:
Mentre mi riprendevo, mi resi conto che tutta la mia vita era stata fuori equilibrio: mi ero diplomata al liceo a 16 anni e da allora avevo lavorato senza sosta, prima come cameriera, poi come direttrice di un ristorante. Ero ossessionata dalla mia carriera, dal successo e dalle cose materiali.
L’incidente mi ha fatto capire l’importanza del momento e di fare il possibile per avere un impatto positivo sul futuro. Il volante nella mia testa, sia in senso figurato che letterale, mi ha guidata in una nuova direzione nella mia vita.
Dopo l’incidente: Julia si avvicina (e sale) sulle sequoie
Proprio a seguito di questo drammatico evento Hill intraprese un percorso spirituale che la riavvicinò alla natura, che per tutta la sua infanzia era stata protagonista. Nei suoi mesi a letto, infatti, pensò spesso a quelle gite nella natura con la famiglia, e a quanto le mancasse tutta quella bellezza. Riavvicinandosi alla natura, una volta uscita dall’ospedale si avvicinò a delle cause ambientaliste della contea californiana di Humboldt, dov’era tornata tramite alcuni vecchi contatti per partecipare a una raccolta fondi per salvare le foreste di sequoie dai taglialegna della Pacific Lumber Co.
Ma la svolta per lei arrivò quando la comunità di Stafford – che nel dicembre del ’96 era stata vittima di una rovinosa frana a causa dei disboscamenti della già citata società – le chiese di salire su uno degli alberi della foresta minacciata dai taglialegna in segno di protesta. All’epoca Hill non era affiliata ad alcuna organizzazione ambientalista, ma fu lieta di essere stata scelta per quella causa, e così ebbe inizio la sua prima azione di disobbedienza civile. La notizia della “ragazza sull’albero” circolò velocemente, e alcune organizzazioni ambientaliste americane e volontari locali decisero di sostenerla.
Poi arrivò l’imbrunire del 10 dicembre 1997, il giorno in cui l’attivista salì su una sequoia millenaria. L’albero, noto come “il gigante di Stafford” (alto 61 metri) venne ribattezzato proprio in quell’occasione: mentre Julia si arrampicava su quel gigantesco tronco stava sorgendo la luna, e così gli attivisti lo rinominarono “Luna“.
Hill ci mise circa 7 ore per raggiungere la cima, e quando ci arrivò era veramente estenuata. Poi si sbrogliò l’imbracatura e cercò un posto acquattato dove riposarsi, sempre saldamente agganciata alle corde. Il giorno successivo, alla luce del sole, realizzò due piattaforme di legno di 1,8 x 1,2 metri su cui avrebbe vissuto per i successivi due anni (ma ancora non lo sapeva!).
La vita sulla sequoia
Sono tante le domande che vengono in mente in una situazione di vita estrema come questa: ma come faceva Hill per mangiare, dormire, muoversi, lavarsi, ed espletare i suoi bisogni?
Il cibo fu la parte più “semplice”, se così si può dire: utilizzando delle corde, issava le scorte di sopravvivenza che le portavano gli attivisti di supporto quando possibile. Erano scorte non proprio appetitose, ma per Julia fu il minore dei problemi non godere di lauti pasti.
Dormire non fu per niente facile: Julia infatti non aveva un vero e proprio posto dove dormire o riposarsi, se non la piattaforma che si era costruita, su cui non c’era alcun letto. E se era difficile dormire, lo era anche muoversi durante il giorno, visto lo spazio ristretto. Talvolta, quando aveva abbastanza energie, si arrampicava sui rami, come testimoniato da alcuni fotografi che le fecero visita.
Mantenere un livello di igiene dignitosa era complicato, non avendo acqua corrente, quindi si lavava in maniera improvvisata (con asciugamani che le facevano arrivare gli attivisti sull’albero). Ma soprattutto, fu complicato gestire le necessità fisiologiche: l’attivista doveva fare pipì in una bottiglia che poi calava giù per essere svuotata, e lo stesso valeva per le feci, che venivano raccolte in sacchetti (lo stesso valeva per i dispositivi igienici mestruali) e calati per essere gettati dagli attivisti.
L’intera situazione richiedeva uno spirito di adattamento e resistenza non da molti: anche le intemperie, infatti, mettevano a dura prova la permanenza di Hill sull’albero, tra piogge, forti venti (tra i peggiori c’erano quelli a 64 km/h causati da El Niño) e freddo. Per stare al caldo all’interno della “tenda” che si era creata sulla piattaforma, si avvolgeva in un pesante sacco a pelo, lasciando solo un piccolo spazio per respirare.
Tra le cose più difficili ci fu sicuramente la solitudine provata dall’attivista: Julia infatti comunicava con l’esterno solo attraverso una radio portatile e talvolta scambiava dei messaggi con gli attivisti rimasti a terra, ma come raccontò una volta scesa, molto spesso la sofferenza di stare lontana dalla famiglia e dagli amici era fortissima.
Come se la situazione non fosse già abbastanza stressante, ci fu anche un presidio delle guardie di sicurezza dell’azienda dei taglialegna che cercò di intimidire lei e gli altri attivisti rimasti a terra.
In quei due anni Julia Hill imparò diverse tecniche di sopravvivenza, e fece cose ben poco ordinarie: utilizzò dei telefoni cellulari alimentati a energia solare per partecipare alle interviste radiofoniche, divenne corrispondente dall’albero per uno show televisivo via cavo e ospitò persino delle troupe televisive per sensibilizzare le persone riguardo la distruzione degli alberi secolari.
Che cosa è successo all’albero dopo che Julia è scesa
Quei 738 giorni Julia Butterfly Hill si chiese spesso se le sue azioni avrebbero condotto a un esito positivo, e finalmente, nel 1999 la Pacific Lumber Company aprì una finestra di dialogo con gli attivisti e accettò di non sradicare né Luna né gli alberi all’interno di una zona cuscinetto di 61 metri. In cambio, però, Hill avrebbe dovuto abbandonare l’albero, e i 50.000 dollari che lei e altri attivisti avevano raccolto durante la sua occupazione sarebbero stati dati alla loro società. L’accordo, che venne siglato dagli ambientalisti, prevedeva anche che la società avrebbe donato la stessa cifra alla Cal Poly Humboldt per la ricerca sulle pratiche forestali sostenibili.
Purtroppo, c’era un altro nemico per Luna, un vandalo che ancora oggi non ha un volto, e che la rovinò con una motosega. Lo squarcio nel tronco – che misurava 810 mm di profondità e 5,8 metri attorno alla base, poco meno della metà della circonferenza dell’albero – venne scoperto nel novembre del 2000 da un attivista ambientale.
La situazione apparve subito complessa, ma esperti di botanica e attivisti competenti trovarono la soluzione: prima trattarono lo squarcio della sequoia con un rimedio erboristico, poi l’albero venne stabilizzato con dei cavi d’acciaio dall’ingegnere civile Eureka Steve Salzman. I cavi servivano soprattutto per rinforzare l’albero e per permettergli di resistere ai forti venti che avrebbero potuto destabilizzarlo.
Dal 2007 in poi Luna – che è sotto la tutela di Sanctuary Forest, un’organizzazione senza scopo di lucro – ha ripreso a crescere normalmente, anche se sempre sostenuta dai tiranti in acciaio.
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