La norma per il raddoppio di stipendio ai ministri non parlamentari diventa figlia di nessuno. Meloni tace, Salvini non sa nulla, gli interessati: “Mai chiesta”

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L’ingiustizia sta per essere sanata, la dignità restituita, le diseguaglianze finalmente rimosse: finalmente i ministri non parlamentari potranno smettere di sentirsi sfruttati o comunque disprezzati rispetto ai colleghi che sono anche parlamentari. E’ noto che la maggioranza di centrodestra ha inserito nella legge di bilancio la norma che equipara le indennità dei componenti di governo che sono anche deputati e senatori a quelli che non sono stati eletti vale a dire quelli che non hanno corso alle elezioni ma anche quelli che hanno pure corso ma sono stati snobbati dagli elettori. Diciassette tra ministri, vice e sottosegretari vedranno aggiungersi all’indennità mensile da 10.435 euro lordi altri 3.503,11 euro della diaria che spetta a deputati e senatori, 3.690 euro di rimborsi per “l’esercizio del mandato” e ulteriori i 1.200 euro l’anno per spese telefoniche e rimborsi viaggio (i conti sono del Sole 24 Ore). Insomma lo stipendio raddoppia e l’orizzonte di fine mese si fa più nitido, sospiro di sollievo. Le opposizioni hanno protestato: “Avevamo parlato di aumentare i salari ma non quelli dei politici”. Ne è nato un dibattito anche social: ma come, gli aumenti delle pensioni sono di qualche spicciolo e così, d’emblée, i politici si aumentano la paga del doppio? Qualche voce isolata che sottolinea, perfino giustamente, che è giusto che un ministro guadagni almeno quanto un parlamentare. Qualcun altro ha risposto che per non creare ingiustizie magari un’opzione era fare il contrario. Il confronto resta aperto e tutte le posizioni legittime.

Ora però la questione è che la norma sembra diventata figlia di nessuno. Matteo Salvini, leader della Lega, vicepremier e ministro dei Trasporti, parla come se fosse un passante e si guarda intorno come John Travolta nella celebre gif: “Non ho seguito la vicenda e non ne sapevo nulla”. Il ministro dell’Istruzione Giuseppe Valditara al Corriere della Sera assicura che non intende “utilizzare questa opportunità”. Il collega della Salute Orazio Schillaci aggiunge che “sarà il Parlamento a decidere”. Il titolare della Cultura Alessandro Giuli davanti alle domande dei giornalisti nel villaggio di Atreju osserva lunghi minuti di silenzio. Per non parlare della presidente del Consiglio Giorgia Meloni: dal comizio di Atreju ha parlato per 65 minuti affrontando una pila alta così di argomenti, dalla sanità finanziata con una cifra record al “quasi” milione di posti di lavoro creato in questi due anni fino a bearsi dei complimenti dell’Economist e delle agenzie di rating. Ma non ha fatto alcun cenno alla norma – per provare a spiegarla, se non proprio per difenderla – che si occupa delle buste paga dei suoi ministri e sottosegretari.

Il sottosegretario a Palazzo Chigi Alfredo Mantovano, spiega ancora il Corriere, ha mandato a dire di aver saputo tutto dai giornali. “I ministri non lo hanno mai chiesto” spiega il ministro della Difesa Guido Crosetto, uno dei beneficiari dell’emendamento che – pur precisando che l’aumento gli è “indifferente” – in linea di principio difende la norma perché “chi rappresenta il popolo italiano è giusto che riceva anche un trattamento economico che tutela del suo ruolo e della sua libertà, da ogni possibile influenza”, ministri compresi. Il ministero dell’Economia che ha contato ogni ramino tace, il viceministro Maurizio Leo rinvia al Parlamento: “Se vogliono incrementare la retribuzione è una scelta loro, giusto?”. “Un vergognoso scaricabarile” lo definisce Daniela Torto (M5s).

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A difendere coraggiosamente la norma resta Claudio Borghi, deputato della Lega, che parla di “ingiustizia“: “È un errore non aumentarglielo, nel senso che ci sono cinque poveretti che guadagnano la metà dei loro colleghi. Poveretti tra tutte le virgolette del mondo, ma il lavoro di un ministro è talmente rilevante e impattante per le nostre vite che è importante si possano scegliere tra le persone migliori”. “E’ una questione di dignità. Chi in Parlamento fa questa polemica dovrebbe presentare un emendamento per abbassarsi il compenso” aggiunge Ylenja Lucaselli. Deputata , Lucaselli negli ultimi 15 anni è passata dall’Udc al Pd fino ad approdare a Fratelli d’Italia (per ora): è una delle relatrici che ha firmato l’emendamento per il regalo ai componenti di governo penalizzati, gli altri sono Mauro D’Attis (Forza Italia), Silvana Comaroli (Lega) e Francesco Romano (Noi moderati).

Chi beneficerà dell’emendamento, ammesso che resista all’interno del testo della legge di bilancio? Otto sono ministri: oltre ai già citati Crosetto, Giuli, Schillaci e Valditara ci sono anche i ministri dello Sport Andrea Abodi, del Lavoro Marina Calderone, per la Disabilità Alessandra Locatelli e dell’Interno Matteo Piantedosi. Poi ci sono dieci tra viceministri e sottosegretari: Mantovano già citato, poi Giuseppina Castiello (Rapporti con il Parlamento), Giorgio Silli e Maria Tripodi (Esteri), Matteo Perego di Cremnago (Difesa), Sandra Savino (Economia), Valentino Valentini e Fausta Bergamotto (Imprese), Luigi D’Eramo (Agricoltura) e Claudio Barbaro (Ambiente).

Diventa troppo facile, quasi una scorciatoia, imbarazzante come un rigore a porta vuota, per le opposizioni tirare fuori tutte le contraddizioni da mettere al confronto con “l’ingiustizia” o con la “questione di dignità” dei 18 componenti di governo che invece di guadagnare 10mila euro lordi ne dovrebbero guadagnare 20mila. Per esempio Daniela Sbrollini (Italia Viva) parla dei tagli ai ricercatori, Daniela Morfino (M5s) racconta della bocciatura del fondo da 50 milioni all’anno per l’assistenza degli alunni con disabilità, il leader dei Verdi Angelo Bonelli ricorda che “le pensioni minime aumentano di 1,8 euro al mese”. Il Nuovo sindacato carabinieri in una lettera alla presidente del Consiglio scrive: “Chiediamo che il Governo mostri equità e coerenza con i principi dichiarati. In analogia a quanto disposto per i ministri non parlamentari, riteniamo giusto che alle forze dell’ordine venga riconosciuto almeno un decimo dell’incremento previsto per i membri del Governo, ovvero un aumento retributivo di 719 euro lordi mensili”.

Marco Osnato, altro meloniano, presidente della commissione Finanze a Montecitorio, prova a parare in corner, al limite dell’eroismo: “Non mi sembra che sia il centro della manovra”. Per tentare di difendere la norma dice: “Chi lavora va pagato. Se non è in grado di lavorare non verrà pagato, ma se è in grado di lavorare va pagato”. Parole che se fossero davvero criterio di legge – e non lo saranno mai come appare evidente – denoterebbero una particolare temerarietà, vista la considerazione che grossa parte dell’elettorato ha nei confronti della qualità del lavoro della classe politica.



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