Meglio investire nell’acqua minerale o nelle telecomunicazioni? Aspettate a rispondermi, fatelo dopo aver letto questo editoriale. In questi giorni registriamo pesanti contraccolpi sul lato dell’occupazione, con molte persone che rischiano la perdita del proprio posto di lavoro per la chiusura di interi settori produttivi. Nelle Marche, il settore degli elettrodomestici ne è l’esempio più evidente, dopo la vendita a gruppi stranieri, le attività produttive sono continuate per alcuni anni solo per acquisire i marchi, i relativi mercati di riferimento e le competenze per costruire nuovi prodotti, dopo di che le linee produttive chiudono e le fabbriche vengono trasferite altrove.
Molte delle acquisizioni, hanno solo questi obiettivi, conquistare quote di mercato, togliere un concorrente, distruggere interi distretti produttivi. Spesso manca un disegno di sviluppo industriale che contrasti queste politiche di mercato, che punti all’innovazione e alla qualità per bloccare il declino produttivo. Da tempo non si pianificano interessi strategici per il Paese per incentivare produzioni e servizi determinanti. Nessun comparto è al riparo, anche il settore della moda, che tanto spazio trova nella nostra Regione, rischia di scomparire, o meglio rischiano di scomparire le tante fabbriche che nei nostri territori producono articoli di pregio e qualità. I grandi gruppi internazionali della moda puntano ad acquisire il marchio, il brend, e trasferire la produzione altrove, lasciando in alcuni casi e solo per alcuni anni l’ideazione stilistica, per poi trasferirla.
Di esempi se ne possono aggiungere tanti altri, l’unica strategia da mettere in campo per contrastare questo inesorabile decadimento è puntare sulle specializzazioni, sulle trasformazioni tecnologiche in atto, dal digitale ai nuovi materiali, cercando di anticiparle e magari guidarle. Bisogna attingere dalla ricerca scientifica per acquisire le conoscenze e creare le competenze necessarie per sviluppare innovazione e dar spazio alla creatività. Valorizzare le Università e gli Enti di ricerca, investendo nella ricerca e nel coinvolgimento di tanti giovani ricercatori e ricercatrici. Ma tutto questo sembra mancare nelle linee di sviluppo del Paese, in modo del tutto inspiegabile e inatteso, si è ridotto il finanziamento alle Università. L’aspetto più preoccupante è che nessuno evidenzia la pericolosità di queste scelte: indebolire la ricerca e la formazione renderà il nostro Paese ancora più fragile sul fronte economico e produttivo.
Consideriamo le telecomunicazioni. La transizione digitale, più che sui computer, corre sui mezzi di acquisizione e trasmissione delle informazioni. Senza affidabili reti di telecomunicazioni, internet non esisterebbe, i social non troverebbero modo di comunicare, l’interconnessione di processi e servizi non si potrebbe realizzare. Nel futuro che ci aspetta avremo bisogno di reti di trasmissioni ancora più veloci e con bassa latenza, condivisione immediata del dato, soprattutto per le applicazioni di robotica come la guida autonoma e di intelligenza artificiale distribuita. Durante il periodo del Covid, l’impatto più drammatico si è registrato per le persone che non disponevano di queste tecnologie. Come cittadini del mondo, abbiamo quindi l’obbligo di garantire a tutti connettività ad alta velocità. È una sfida tecnologica e politica che troverà attuazione nei prossimi anni se la pace prevarrà sulle guerre. Negli anni Ottanta, esistevano in Italia industrie di telecomunicazioni di livello internazionale, dove, coniugando ricerca e innovazione, si producevano apparati di primissima qualità. Una di questa era la Telettra di proprietà della Fiat, dove ho avuto la fortuna di lavorare per alcuni anni prima di entrare all’Università. Per considerazioni in parte politiche, in parte finanziare, e per una incapacità di immaginare il futuro, la Fiat piuttosto che puntare sulla costruzione di un polo nazionale delle telecomunicazioni fortemente competitivo assieme all’Italtel, preferì vendere la Telettra alla multinazionale francese Alcatel per comprare l’anno dopo l’acqua minerale francese Perrier, quella delle bollicine. Di fatto si è perso un settore strategico quello delle telecomunicazioni e dopo quarant’anni si è persa anche l’industria automobilistica, ormai disciolta all’interno di Stellantis. Investire nell’acqua minerale con tante bollicine è stata una scelta saggia?
* Dipartimento di Ingegneria dell’informazione Facoltà
di Ingegneria Università Politecnica delle Marche
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