Nal Rakhine cade l’ultimo baluardo della giunta birmana

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di Theo Guzman

Quando ormai era chiaro che la caserma della Border Guard Police birmana di Maungdaw, l’ultimo avamposto della giunta golpista sul confine col Bangladesh, sarebbe caduta, il generale Thurein Tun ha cercato di scappare con un gruppo della sua guardia personale prima che le milizie dell’Arakan Army conquistassero la base. Ma i soldati di questa potente organizzazione separatista birmana, che fa parte delle cosiddette Ethnic Armed Organisation (milizie etniche), lo hanno preso e hanno fatto sapere due giorni fa che il generale è accusato di crimini di guerra e che sarà punito di conseguenza. Cosa ciò voglia dire – se verrà processato e forse ucciso in loco – resta da vedere, ma la sua cattura e la caduta della grande base di Myo Thu Gyi, una ventina di ettari di baracche militari a 4 chilometri da Maungdaw e cinque dal fiume Naf che segna il confine con Dacca, è l’ultima pesante sconfitta della giunta golpista nella guerra civile che insanguina la Birmania dal golpe militare del 2021 che ha deposto il governo eletto di Aung San Suu Kyi.

Aver perduto domenica scorsa Maungdaw significa infatti che ormai la giunta ha perso ogni controllo sui 270 chilometri di confine col Bangladesh. Sarebbe stata, secondo la Bbc, la più violenta battaglia dal 2021 tra l’opposizione armata e le truppe di Tatmadaw (esercito birmano) che avrebbe perso centinaia di soldati. C’è di più: Thurein Tun si sarebbe distinto, secondo quanto riferisce il magazine Irrawaddy citando la milizia, per aver sparato “ad alcuni dei suoi soldati che si stavano preparando alla resa” e si presume che il generale sia responsabile della coscrizione forzata e dell’addestramento militare di miliziani rohingya (la minoranza musulmana fuggita in Bangladesh durante pogrom ripetuti); di aver inoltre intimidito i Rohingya dell’area incitando all’odio razziale contro di loro. Per altro, il sito della caserma della Polizia di frontiera (una sorta di milizia locale cui Tatmadaw ha passato le consegne su quasi tutti i tratti di confine del Paese) è stato costruito sulle ceneri di un villaggio rohingya (Myi Thu Gyi), raso al suolo ai tempi dell’espulsione in Bangladesh di circa 700mila Rohingya nel grande pogrom del 2017 (per il quale pendono un’incriminazione per genocidio e crimini contro l’umanità sui vertici del Tatmadaw).

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L’esercito birmano ha poi passato le sue baracche alla Polizia di frontiera in settembre salvo rifornirle di uomini e mezzi mentre l’Arakan Army avanzava in tutto lo Stato occidentale del Rakhine. Tra questi, circa 700 soldati del 15th Comando operativo, sotto la guida di Thurein Tun. Evacuati dalla base di Buthidaung, presa dai ribelli in maggio. Su tutti i confini birmani, dall’India alla Cina, dal Bangladesh alla Thailandia, le varie formazioni armate, negli Stati Chin, Kachin, Shan, Karen e appunto Rakhine, hanno preso posizione sigillando le frontiere ed espellendo Tatmadaw o le alleate Guardie di frontiera. In molti casi, come nel Karen, si combatte ancora mentre in altre è in atto un braccio di ferro da questa estate tra Pechino e le varie formazioni della guerriglia.

La Cina ha infatti minacciato le formazioni etniche, sia nello Shan sia nel Kachin, facendo pressioni perché negozino con la giunta e smettano di avanzare verso il centro del Paese dove la giunta ha ancora un discreto controllo della zona Bamar, la comunità più popolosa. Mercoledì scorso Pechino ha fatto pressione sulla Kachin Independence Army – che ha già catturato la maggior parte dello Stato, compreso il polo minerario di terre rare Pang War al confine cinese – perché cessi di combattere contro la giunta e salvaguardi gli investimenti della Rpc. Il 3 dicembre scorso invece, l’Alleanza democratica nazionale del Myanmar (Mndaa, alleata con l’Arakan Army) ha dichiarato un cessate il fuoco unilaterale con la giunta sempre su pressioni di Pechino che le ha imposto di fermare la sua avanzata verso Mandalay, seconda città del Paese. Da quest’estate la Rpc ha fatto una decisa scelta di campo schierandosi apertamente con la giunta che in cambio le ha promesso di tenere consultazioni elettorali.

In copertina: combattenti Karen (foto di Siegfried Modola). Nel testo un articolo di Irrawaddy con la foto del generale arrestato





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