Reggio Emilia: Zona M, un sogno diventato realtà: «La mia moda? Lenta e sostenibile»

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Reggio Emilia Da bambina passava le ore davanti e dentro gli armadi della nonna creando look da sogno. Una volta adolescente iniziò a divorare riviste di moda disegnando silhouette e colorando outfit da indossare nella più fantastica delle favole. Oggi, che di anni ne ha 25, la incontriamo seduta su un divano elegantemente rétro che guarda caso appartiene alla nonna (sì, la stessa degli armadi da sogno) all’interno di un delizioso pop-up store aperto insieme alla sorella Francesca e a Barbara Ferrari, con le sue ambite borse, pochette e accessori Barbaraeffe (made in Reggio), in via Emilia Santo Stefano 2, nel cuore del centro storico. Ed è qui che il sogno della giovane reggiana Elena Magnani continua. Alle sue spalle, appese e sospese quasi fossero creature pronte a spiccare il volo, le sue prime bluse realizzate con cotone riciclabile e biologico. Parola d’ordine sostenibilità per un progetto, Zona M, che finalmente ha preso forma. Una splendida forma.

Elena, come e quando nasce Zona M?

«Nasce un anno fa quando, dopo diverse esperienze di studio e di lavoro, ho preso coraggio e ho capito che la moda era il migliore dei modi in cui potessi esprimermi. Ma ho anche messo a fuoco due esigenze. Da un lato creare capi d’abbigliamento unici e dallo stile inconfondibile. Dall’altro abbracciare il concetto di una moda lenta e sostenibile nel rispetto dell’ambiente. Tra l’altro ho sempre amato profondamente la natura e questo, per me, è anche un modo per restituirle parte di quello che mi dona ogni giorno. Tradotto, fare moda sostenibile significa selezionare e utilizzare solo materiali di alta qualità, riciclati e biologici».

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Obiettivo raggiunto?

«L’obiettivo era dimostrare che si può produrre un capo di alta qualità rispettando l’ambiente. Ed è quello che abbiamo fatto. Parlo al plurale perché in questo percorso ho trovato fin dall’inizio il pieno e fondamentale appoggio di mia sorella Francesca che si occupa di tutto ciò che non ha a che fare con la pura creatività».

«In realtà – sorride Francesca, 27 anni – io sono una psicologa ma questa esperienza nel campo della moda mi ha permesso di conoscere diverse e nuove realtà e di ampliare il mio bagaglio culturale e professionale. Ho deciso di creare questo brand insieme a Elena perché credo nel progetto e condivido in pieno i pilastri sui quali si fonda. E poi trovo sia bello avere qualcosa di nostro da costruire insieme».

Un brand che per ora firma Blusa 2401… ne arriveranno altre?

«Blusa 2401 è, secondo il principio di cui parlavo, un capo unico e inconfondibile. Una sorta di prototipo. Maniche lunghe, vita sfiancata e collo alto, 100% puro cotone biologico riciclato certificato naturalmente made in Italy… che abbiamo trovato a Firenze dopo avere girato mezza Italia. Trovare stoffe di qualità ma anche sarti e modellisti sta diventando sempre più difficile. Tornando alla nostra produzione, l’idea è quella di uscire con quattro capi all’anno, non di più. Capi che non andranno mai in saldo, capi che vanno oltre il concetto di stagionalità, capi destinati a diventare vintage. Il segreto? La qualità pazzesca dei tessuti».

Tra gli obiettivi c’è anche quello di aprire un negozio monomarca?

«Al momento abbiamo in programma degli eventi a Milano, a Firenze e a Forte dei Marmi, soprattutto per farci conoscere. Il percorso che immagino è in continuo divenire, mai uguale a se stesso, a rispecchiare quelli che sono i miei cambiamenti. Poi, premesso che continuo a essere una grande sognatrice, mi immagino nei sogni più audaci una Zona M che sia show room, locale, bistrot, laboratorio, luogo in cui i giovani possano esprimersi ed essere valorizzati».

È così difficile per i giovani essere ascoltati?

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«Le esperienze che ho avuto nel mondo del lavoro mi fanno pensare che non si crede abbastanza nei giovani e nelle loro potenzialità. Sono tanti i ragazzi e le ragazze che non trovano il modo di dare voce alla propria creatività. Ed è davvero difficile farsi ascoltare in un mondo dove tutto è uniformato e chi esce dal coro viene visto come un corpo estraneo. La vera sfida è crederci e non perdere di vista l’obiettivo».

Perché Zona M?

«Ho sempre desiderato trovare una “zona” dove portare le mie esperienze e il mio modo di essere. Dove potermi esprimere liberamente. Poi c’è “M” che significa famiglia: senza l’appoggio di mia sorella, dei miei genitori, ma anche dei miei fornitori e collaboratori tutto questo non sarebbe stato possibile».

La moda cosa rappresenta oggi per lei?

«Nella moda ho trovato negli anni la possibilità di esprimermi liberamente senza vincoli e senza condizionamenti. Sono sempre stata caratterialmente molto introversa e timida. Temevo i giudizi delle persone e per questo nascondevo il mio disagio. Ecco, crescendo, sono riuscita attraverso la moda a dare voce a quella bambina che sognava ad occhi aperti davanti all’armadio della nonna».

E per crearla, la moda, di quali stimoli ha bisogno?

«Bisogna innanzitutto uscire dalla propria comfort zone come io da sempre cerco di fare. Ho imparato tantissimo a Milano, guardando e ascoltando i miei coetanei, vivendo la quotidianità di una grande città. Penso a Brera, dove l’arte si respira e dove ad ogni angolo e in ogni momento dell’anno aprono muovi locali e i negozi cambiano pelle trasmettendo stimoli e voglia di fare. Così come mi è servito vivere a Roma, dove per alcuni anni ho studiato danza».

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Reggio le sta stretta?

«In un certo senso sì ma penso che anche piccole cose possano fare la differenza. Guardo ad esempio a quello che stiamo facendo qui: abbiamo trasformato un negozio sfitto in un pop-up store. Soprattutto il fine settimana e nei giorni di mercato sono tantissime le persone che entrano, chiedono, si guardano intorno e ci fanno i complimenti. Ecco, l’esperienza dei temporary ci dice che il centro storico potrebbe essere molto più vivo se solo fosse più semplice poter riaprire tutte quelle saracinesche che anno dopo anno si sono tristemente abbassate. Una città è viva solo se riesce ad essere attrattiva e interessante per quello che giorno dopo giorno è in grado di offrire».

Qui, in via Emilia Santo Stefano 2, è accaduto qualcosa che ha a che fare con l’attrattività. Un negozio abbandonato è stato trasformato in un colorato ed elegante scrigno dove si respira creatività ed energia. Da godersi ancora per una settimana.l

 



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