Dai Balcani al Medio Oriente: il ruolo delle religioni nei conflitti nel nuovo libro di Enzo Pace

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Non c’è pace tra le nazioni senza pace tra le religioni, ammoniva già un quarto di secolo fa il grande teologo Hans Kung, fautore di un’etica mondiale. Non l’hanno ascoltato, e non lo fanno tanto meno oggi, come segnala un denso quanto attualissimo saggio pubblicato da Castelvecchi, Religioni in guerra, di Enzo Pace, sociologo padovano tra i più autorevoli studiosi del settore. Lo fa attraverso una ricognizione a tutto campo geopolitico, dai Balcani all’India, da Sri Lanka al Myanmar, e in particolare sui quadranti che in questa fase infiammano il Medio Oriente, dalla Palestina alla Siria, al secolare e più che mai devastante scontro frontale in seno all’Islam tra sunniti e sciiti. Con un filo conduttore di esemplare chiarezza: i tanti, troppi casi in cui la religione si fa fazione, fino a schierarsi per la necessità della guerra, svolgendo un ruolo di supporto alle politiche di identità nazionale.

Ne è scenario lacerante la Terrasanta: dove, spiega l’autore, lo scontro tra Israele e Palestina, nato da ragioni politiche ed economiche, è diventato di natura religiosa dopo la guerra dei 6 giorni del 1967. Da lì, col tempo, ha ripreso fiato la remota corrente carsica di un sionismo religioso che si è sprigionato con violenza assassina nell’omicidio di Ytzhak Rabin a opera di un giovane ebreo ortodosso: all’allora premier si imputavano gli accordi che avevano portato alla cessione di Hebron, città santa legata alla tomba di Abramo. Oggi il conflitto vede la sua punta avanzata negli insediamenti dei coloni, arroccati nelle tante piccole cittadelle impiantate in territorio palestinese: legati alla convinzione messianica della riconquista della Terra Promessa.

La strage compiuta da Hamas il 7 ottobre 2023 è l’anello terminale (solo per ora, purtroppo) di una lotta senza quartiere alimentata dalla radicalizzazione delle posizioni che si nutre del fattore religioso, senza che si veda una via d’uscita. Ad aggravare il quadro, una spaccatura interna a entrambe le parti: in Israele tra i fautori di una democrazia laica e moderna, inclusiva e pluralista, e i sostenitori di uno Stato dov’è labile il confine tra identificazione religiosa e sionismo nazional-religioso; in Palestina tra gli epigoni della lotta armata ad oltranza, e i promotori di una trattativa con la controparte.

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Non meno lacerante è lo scontro in atto nell’Islam, come testimoniano in questi giorni le vicende siriane. L’analisi dell’autore entra nel complesso mondo dell’internazionale sciita, in realtà un mondo frammentato e composito: che ha il suo portabandiera nell’Iran, Stato confessionale basato sulla religione dell’orgoglio nazionale cavalcato dal regime degli ayatollah; ma presente anche in Libano, Yemen e fino a ieri nella stessa Siria, e in situazione conflittuale pure nell’Iraq post-Saddam, come nello scontro in atto tra Arabia Saudita e lo Yemen delle milizie Houthi.

Il saggio di Pace propone peraltro anche una stimolante visione parallela sul versante dei consumi e in particolare della nuova frontiera del cibo: con la diffusione di un meticciato alimentare interno al mondo islamico, contrastato da chi teme così di perdere le radici. Ne è caso esemplare la Mecca-Cola, messa sul mercato nel 2002 e venduta oggi in 60 Paesi, con uno smercio di 20 mila litri l’anno: prodotto di largo consumo delle nuove classi medie musulmane che adottano stili propri del libero mercato, elaborati attraverso l’appartenenza religiosa.

L’autore approfondisce il tema del rapporto inquinato tra religione e politica attraverso altri esemplari casi di studio: le sanguinose guerre dei Balcani che hanno sconvolto una realtà dove per secoli cattolici, ortodossi e musulmani avevano in qualche modo convissuto, e dove dopo la morte di Tito tutti i vari attori hanno fatto leva sulla loro differenza religiosa per vantare il diritto a difendersi in nome di Dio; lo scontro feroce in India tra hindu e musulmani che tradisce il grande messaggio di Gandhi; le lotte in Sri Lanka dei monaci buddisti che si trasformano in operatori sociali militanti; il ruolo attivo sempre dei monaci in Myanmar in campo politico e sociale che colpisce la minoranza Rohingya.

Situazioni di aree geografiche diverse, ma accomunate dalla deriva di una religione che si pone al servizio di un sistema di potere politico. Dalle profondità della storia torna così ad affiorare l’antico, blasfemo proclama del “Dio con noi” a sostegno della perversa logica della contrapposizione politica tra amico e nemico: responsabile di fiumi di sangue degli innocenti. Tradendo lo stesso riferimento cui si ispira: troppi “noi” per un solo Dio; dimenticando che un Dio diviso è un Dio comunque tradito. 



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