Dopo la manifestazione contro il disegno di legge paura, costruiamo l’opposizione sociale – Brescia Anticapitalista

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di Francesco Locantore

Decine di migliaia di persone hanno sfilato a Roma sabato 14 dicembre contro il disegno di legge della destra che introduce nuove e più pesanti norme repressive contro i movimenti sociali, i migranti, le lavoratrici e i lavoratori.  

Il corteo che ha percorso il centro da piazzale del Verano fino a riempire piazza del Popolo era pieno di studentesse e studenti delle scuole e delle università, di militanti dei centri sociali, di lavoratrici e lavoratori organizzati in particolare da alcune categorie della Cgil: Flai, Flc, Fp, Fiom ma anche dalla rete Insorgiamo intorno ai lavoratori ex GKN, fino ai lavoratori della filiera della cannabis; c’era l’associazionismo: l’Arci con un bellissimo striscione viola: “Siamo tuttə corpi del reato”, l’ANPI, Baobab Experience, le Ong che salvano i migranti in mare; c’era il movimento per il diritto all’abitare, c’era la rete “Liberi di lottare” lanciata dal SI Cobas, che ha avuto il merito di cominciare la mobilitazione contro il ddl 1660 e la rete “A pieno regime” costituitasi nell’assemblea in Sapienza lo scorso 16 novembre; c’erano le forze politiche di opposizione parlamentari: AVS, il M5S, con Giuseppe Conte fischiato perché subito dopo sarebbe andato ospite ad Atreiu, la festa della destra postfascista al Circo Massimo, qualche esponente ma poche bandiere del PD; c’erano le organizzazioni politiche della sinistra di classe: oltre allo spezzone di Sinistra Anticapitalista, c’era La Comune, Rifondazione, il PCI, le bandiere del neonato PCR e del PCL.

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Il corteo è stato significativo non solo per la partecipazione numerica che ha registrato, ma anche per altre due importanti ragioni. 

In primo luogo perché è raro vedere ultimamente una mobilitazione unitaria, in cui sembra di cogliere una sintesi delle manifestazioni, degli scioperi, delle occupazioni e autogestioni delle scuole, che sono in campo in quest’autunno. E’ importante che contemporaneamente alla ripresa degli scioperi, ci sia da parte del movimento sindacale la presa di coscienza che le politiche repressive del governo delle destre colpiscono non solo i migranti, gli occupanti di case, gli ambientalisti, i movimenti di solidarietà con la Palestina, i centri sociali o i giovani studenti e studentesse, ma che sia sotto attacco anche lo stesso diritto di sciopero. Le precettazioni di alcune categorie di lavoratori operate dal governo in occasione dello sciopero generale del 29 novembre e tentate, per fortuna senza successo, in occasione dello sciopero dell’USB del 13 dicembre, ne sono una dimostrazione. L’assenza di Potere al popolo e dell’USB, dopo una buona riuscita anche del suo sciopero del giorno precedente, è stata forse l’unica nota stonata di questa bella giornata di mobilitazione, che ha dimostrato un ritardo nella comprensione della necessità di una mobilitazione unitaria contro il governo.

In secondo luogo perché la piattaforma politica con cui è stato convocato, l’opposizione al ddl “paura”, come è stato ribattezzato dall’assemblea che lo ha convocato lo scorso 16 novembre, coglie l’elemento centrale e ispiratore delle politiche del governo Meloni. Il ddl paura si inserisce infatti nel disegno più ampio di attacco alla democrazia e ai diritti civili che le destre stanno perseguendo in parallelo con le politiche sociali antipopolari. Questo disegno eversivo ha due assi fondamentali: da una parte l’introduzione dell’autonomia differenziata delle Regioni, che comporterà ulteriori pesanti tagli dei servizi sociali e dei salari specialmente nelle Regioni più povere ma anche ulteriori privatizzazioni nelle Regioni più ricche, che metteranno al servizio del profitto la garanzia di diritti fondamentali come la salute e l’istruzione; dall’altra parte la riforma costituzionale che introduce il premierato, cioè l’elezione diretta e il rafforzamento del governo e del suo capo, svuotando definitivamente il Parlamento di ogni potere sull’esecutivo e rendendo così le istituzioni statali ancora meno permeabili alle istanze delle masse popolari.

La destra ha la risposta autoritaria che le forze liberali non potevano permettersi di usare fino in fondo contro le classi lavoratrici e che si rende necessaria in una fase storica in cui la crisi capitalista e l’inasprimento del conflitto interimperialista non consentono alcun margine di mediazione sociale, neanche nella forma della contrattazione, sui diritti, sui salari e finanche sulla salute stessa della grande maggioranza della popolazione mondiale.

La riuscita della manifestazione del 14 dicembre dà un’indicazione di lavoro per le forze politiche e sociali che si oppongono al governo Meloni per il prossimo futuro. L’intersezione tra le lotte in campo deve essere ripresa e approfondita, per costruire un ampio movimento popolare di opposizione al governo, con l’obiettivo di sconfiggere le sue politiche e provocarne la caduta dal basso. A gennaio riprenderanno le attività delle reti contro il ddl paura, così come già nel corso di questo mese sono in cantiere le mobilitazioni in solidarietà con la Palestina decise dall’assemblea che si è tenuta all’indomani della manifestazione del 30 novembre. Vanno rilanciate le mobilitazioni contro gli imperialismi, per l’uscita dalla Nato e il disarmo. Devono riprendere le mobilitazioni transfemministe per i diritti delle donne e delle persone LGBTQIA+ criminalizzate e messe sotto attacco dalle destre. Nel frattempo occorre impedire che si arrivi all’approvazione del disegno di legge di bilancio del Governo e del collegato lavoro. Servono urgenti finanziamenti per la sanità pubblica al collasso e per riqualificare l’istruzione pubblica, sconfiggendo le politiche scolastiche autoritarie di Valditara che scardinano la scuola pubblica mettendola al servizio delle imprese e delle forze armate. La lotta per il rinnovo dei contratti di lavoro e per il recupero salariale, sia nei settori pubblici che privati, metalmeccanici e trasporti in testa, deve trovare una continuità dopo gli scioperi di dicembre. Serve un salario minimo definito per legge e valido per tutte e tutti per cancellare il lavoro povero e ridare fiato alla contrattazione. E’ necessario un importante intervento pubblico sui settori in crisi, a partire dal settore dell’automotive, per la riconversione ecologica e per consentire l’autogestione democratica della produzione nei settori in cui i capitalisti sono capaci di proporre solo una tragica alternativa tra disoccupazione e produzioni inquinanti. 

I referendum abrogativi in primavera saranno il banco di prova per la mobilitazione contro le destre. E’ molto difficile portare al voto la maggioranza degli elettori e delle elettrici, e questo può avvenire solo in un clima di ripresa della coscienza che si forma nelle lotte sociali e per i diritti civili. Riuscire a vincere in primavera significherebbe però non solo abrogare la legge Calderoli, le norme più odiose del Jobs Act e consentire a tante e tanti migranti di prendere la cittadinanza italiana. Un risultato positivo segnerebbe un colpo durissimo al governo delle destre e una presa di fiducia per tutti i movimenti sociali. Su questo terreno lavoreremo con tutte le nostre energie nei prossimi mesi.



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