Fonteno, sulle alture della riva bergamasca del Lago d’Iseo, come Courmayeur a settembre durante le ricerche di Sara Stefanelli e Andrea Galimberti. O come il borgo abruzzese di Forme, nei primi giorni del 2021, durante le ricerche dei quattro escursionisti sepolti dalla valanga del Velino. Scavando nella memoria si potrebbe ricordare Vermicino.
Succede di rado, ma ogni tanto succede. Qualche volta un incidente avvenuto su una montagna o in una grotta calamita l’attenzione dei media. E gli inviati di telegiornali e quotidiani raccontano un intervento del Soccorso Alpino e Speleologico in diretta, accendendo telecamere e fari, e piazzando taccuini e microfoni sotto al naso di medici e volontari.
Una settimana fa, con il cuore ma in modo inevitabilmente rituale, abbiamo raccontato anche noi delle celebrazioni per i settant’anni di vita del CNSAS, e delle incredibili cifre di 232.551 interventi, e di 248.096 persone soccorse.
In occasioni come quella, citare gli oltre 7.000 volontari del Soccorso, la loro presenza in tutte le Regioni e le Province autonome, la straordinaria capacità organizzativa del CNSAS sembra un tributo formale. Invece l’abbiamo vista all’opera di nuovo, come ad Amatrice, a Rigopiano e in Romagna.
Negli ultimi tre giorni, con emozione e con orgoglio (di amanti degli sport d’avventura, di soci del CAI, di italiani) abbiamo assistito alla mobilitazione delle squadre speleologiche del CNSAS, arrivate all’inizio da Lombardia, Emilia-Romagna, Friuli-Venezia Giulia, Liguria, Piemonte, Trentino, Alto Adige e Veneto, e poi anche da Marche, Toscana, Umbria, Lazio, Campania e Sardegna.
A mezzogiorno di martedì, nell’Abisso Bueno Fonteno erano entrati 126 soccorritori, uomini e donne, ma già in serata il numero arriverà a superare i 150, mentre altre squadre attendono il loro turno per superare il tunnel dell’ingresso. Nel numero sono compresi cinque team di demolitori, incaricati di allargare per quanto possibile le strettoie, usando microcariche esplosive, per consentire il passaggio dell’infortunata in barella.
Non sapremo mai, e in fondo non è importante sapere, se a gonfiare l’interesse dei media sia stato il fatto che l’infortunata è una donna, Ottavia Piana, 32 anni, di Adro in provincia di Brescia, o il fatto che un anno e mezzo fa la speleologa aveva avuto un incidente nella medesima grotta, ed era stata recuperata dal CNSAS. Non lo abbiamo ancora visto né sui giornali né in tv, ma un titolo sulla “maledizione di Fonteno” potrebbe arrivare, prima o poi.
Sappiamo che Ottavia si è infortunata sabato 14 dicembre, cadendo per sei metri dopo il crollo di un pavimento di roccia. Sappiamo che non sta bene, con fratture alle gambe, al costato e al volto. Sappiamo che, superato lo shock iniziale, si è fatta forza e ha incoraggiato i soccorritori.
“L’ho vista preoccupatissima perché sapeva bene che il trasporto è complicato e che i rischi sono ancora tanti” ha detto ad Andrea Pasqualetto del Corriere della Sera il dottor Rino Bregani, il primo medico del CNSAS a raggiungerla insieme a Silvia Ramondo e all’infermiera Elena Landoni. Le condizioni di Ottavia impediscono di portarla verso l’uscita alla massima velocità possibile.
I soccorritori trasportano lei e la barella per un’ora e mezza, sostano per un’ora e ripartono. Accanto alla ferita sono un medico, un anestesista e un infermiere. Nella tarda mattinata di martedì, la barella con Ottavia Piana e i soccorritori che la trasportano ha lasciato il ramo dell’Abisso Bueno Fonteno dov’era in corso l’esplorazione di sabato, e hanno iniziato a risalire verso l’uscita.
Un itinerario conosciuto, però, non è un itinerario facile. Prima di arrivare in superficie bisogna superare due pozzi verticali importanti, e soprattutto altre strettoie, che il lavoro dei distruttori è riuscito a facilitare solo in parte. Le ultime previsioni diramate dall’ufficio stampa del CNSAS parlano di una possibile uscita nella notte tra mercoledì 18 e giovedì 19.
Intanto, com’era inevitabile in un caso come questo, sui social sono iniziati gli attacchi a Piana. “Se l’è andata a cercare”, “quanto ci sosta salvare questa sciroccata?”. La risposta è arrivata da Sergio Orsini, presidente della Società Speleologica Italiana. “Le ricerche che Ottavia Piana e il Gruppo Speleo CAI Lovere stanno conducendo non sono solo un’impresa sportiva, ma contribuiscono all’analisi dell’acqua che beviamo”.
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