Beni culturali, una miniera d’oro senza manager

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La cultura per l’Italia è un formidabile motore di sviluppo economico e sociale. Una filiera, in cui operano soggetti privati, pubblici e del terzo settore che, nel 2023, è cresciuta sia dal punto di vista del valore aggiunto (104,3 miliardi di euro, in aumento del +5,5% rispetto all’anno precedente e del +12,7% rispetto al 2019) che da quello dell’occupazione (1.550.068 lavoratori con una variazione del +3,2% rispetto al 2022, a fronte di un +1,8% registrato a livello nazionale).

Una filiera complessa e composita in cui si trovano ad operare quasi 284 mila imprese (in crescita del +3,1% rispetto al 2022) e più di 33 mila organizzazioni non-profit che si occupano di cultura e creatività (il 9,3% del totale delle organizzazioni attive nel settore non-profit), le quali impiegano più di 22 mila e settecento tra dipendenti, interinali ed esterni (il 2,4% del totale delle risorse umane retribuite operanti nell’intero universo del non-profit).
Sono alcuni dei dati emersi nell’ultimo rapporto “Io sono Cultura 2024 L’Italia della qualità e della bellezza sfida la crisi”, realizzato da Fondazione Symbola, Unioncamere, il Centro Studi delle Camere di commercio Guglielmo Tagliacarne, Deloitte con la collaborazione dell’Istituto per il Credito Sportivo e Culturale, Fondazione Fitzcarraldo, Fornasetti e con il patrocinio del ministero della Cultura.

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FIGURA MOLTO RICHIESTA

La ricchezza del patrimonio culturale è il driver principale di scelta per il turista che visita l’Italia (24%), seguita dalle bellezze naturali (20%). In costante crescita, secondo lo studio Enit-Unioncamere/Isnart, è la motivazione legata agli eventi sul territorio (culturali, religiosi, sportivi ecc.). “In Italia un terzo del patrimonio culturale è di proprietà privata spiega Guido Guerzoni, docente della Bocconi di Milano, curatore del corso di management culturale promosso da Intesa Sanpaolo (si veda l’altro articolo in pagina) cioè nelle mani di privati cittadini, fondazioni, aziende. La vera sfida è poter quantificare e valorizzare i beni culturali nel loro complesso”. Anche per questo da qualche anno l’attività di manager culturale è sempre più richiesta e necessaria, non solo nel settore pubblico, ma anche in quello privato.
“Sono tante le imprese con molti anni di vita e di storia, quindi depositarie di beni culturali, che vanno da prototipi e manufatti, oltre che alle classiche opere d’arte aggiunge Guerzoni ma ancora poche quelle che hanno messo a bilancio il valore di questi patrimoni. Anche per questo il tema della conservazione e della gestione del patrimonio è talvolta vissuta ancora come spesa o spreco, e non come investimento”.

INVESTIMENTI SOTTOVALUTATI

Si stima che i manager impegnati nella gestione del patrimonio culturale che, come detto, non riguarda solo sculture o quadri, ma anche beni mobili che possono essere arredi storici, archivi, collezioni librarie, prototipi siano poche migliaia in Italia, e moltissimi di più ne servirebbero per poter quantificare e valorizzare un patrimonio certamente immenso, ma che deve essere censito e qualificato. Anche la classificazione del perimetro di “industria culturale” può essere considerata ancora un po’ lasca: un museo non è sempre un’impresa economica, e certamente non è una industria. E non sempre l’impresa ha maturato la convinzione dell’importanza del proprio heritage e della sua longevità. Quando scattano queste convinzioni e negli ultimi anni qualcosa si è mosso ci sono le premesse per una valutazione quantitativa e qualitativa del patrimonio culturale.

IL “PESO” DELLA CULTURA

Il “peso” della cultura e della creatività nel nostro Paese è molto maggiore rispetto al valore aggiunto che deriva dalle sole attività che ne fanno parte. Infatti, per ogni euro di valore aggiunto prodotto dalle attività culturali e creative se ne attivano altri 1,8 in settori economici diversi, come quello turistico e dei trasporti, per un valore pari a 192,6 miliardi di euro. Pertanto, cultura e creatività, in maniera diretta o indiretta, generano complessivamente un valore aggiunto per circa 296,9 miliardi di euro (15,8% dell’economia nazionale).
 





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