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Genova – “Scendi a giocare?”. Così anni fa la voce degli amici, distorta dal citofono, ci invitava a uscire di casa per ritrovarsi con un pallone nei cortili dei palazzi. Oggi è diverso: la paura degli incidenti e del traffico stradale sono il principale ostacolo alla concessione di autonomia nei bambini, unitamente a un altro tipo di paura, in certi casi più percepita che effettiva: quella sociale.
«Nelle città le piazze non sono effettivamente sicure come prima», spiega la dottoressa Simona Modica, pedagogista responsabile dei servizi della cooperativa sociale Dono, a Genova. «Ci sono ancora gli oratori e i gruppi scout, per i più piccoli le ludoteche, ma non esistono più quegli spazi liberi dove i bambini possono giocare come un tempo senza necessariamente la sorveglianza di un adulto».
I bambini e i ragazzi sembrano aver perso quasi del tutto quei luoghi in cui poter trascorrere del tempo in autonomia e sicurezza, soprattutto nei contesti urbani; i cohousing invece offrono luoghi condivisi e protetti in cui, al contrario, ogni bambino diventa parte di una comunità, quella residente, e viene accolto sotto l’ala protettrice di altri adulti.
Torna a fare capolino il villaggio – quello dell’antico detto africano “per crescere un bambino ci vuole un villaggio” – in versione contemporanea? Le famiglie che scelgono questa forma abitativa spesso si ritrovano, in modo assolutamente spontaneo, a dare forma a una rete sociale basata sul supporto reciproco. I genitori possono collaborare nella gestione quotidiana dei bambini, organizzando turni per accompagnarli a scuola o alle attività pomeridiane, condividendone l’accudimento e aiutandosi in caso di imprevisti.
In più, «in un contesto di cohousing dove coabitano generazioni diverse, gli anziani possono essere i sorveglianti dei più piccoli, che un domani, una volta diventati adolescenti, diventeranno i loro angeli custodi», aggiunge Modica. La creazione di questa comunità intergenerazionale riduce lo stress dei nuclei familiari e facilita nettamente la conciliazione tra vita lavorativa e privata.
AMBIENTI SICURI E STIMOLANTI
Per i bambini uno dei vantaggi più significativi del cohousing è l’accesso a spazi di gioco ampi e sicuri. Il contesto quindi è simile a un piccolo villaggio con spazi comuni protetti come giardini, parchi giochi e piccole ludoteche dove i bambini possono stare insieme in sicurezza. La contemporanea presenza di adulti, bambini e ragazzi di età diverse contribuisce a creare un ambiente accogliente in cui da una parte si stimola l’autonomia e dall’altra il senso di comunità, poiché i bambini crescono in un contesto di collaborazione e di rispetto reciproco.
«Se progettati da architetti in equipe con esperti come pedagogisti e psicologi, i cohousing hanno infinite potenzialità e possono diventare davvero un villaggio di crescita per bambini e neogenitori», sottolinea la pedagogista. «Penso alle neomamme sole, con i genitori lontani e i compagni magari trasfertisti, che affrontano tutte le difficoltà quotidiane e temono di fare errori educativi durante la crescita del proprio bambino. Ecco, avere accanto persone anziane ancora ben orientate e in grado di dare consigli preziosi diventa una risorsa».
Senza contare che la vocazione intergenerazionale di queste strutture aiuta anche a portare avanti le tradizioni: «Io credo che se ogni persona fosse in grado di mantenere la propria identità culturale, tanti fenomeni di emarginazione o di razzismo probabilmente verrebbero meno». Simona mi parla di come lo scambio reciproco tra generazioni sia sempre molto proficuo. Consociare i bambini, curiosi per natura, agli anziani, che hanno sempre desiderio di raccontare le proprie origini e il proprio passato, aiuta a mantenere attivi la memoria e il linguaggio e permette di disegnare per entrambi mondi nuovi.
«Mi ricordo un bellissimo progetto, “La relazione porta frutto”, che ha avuto luogo nel 2019 al centro Alzheimer di Bogliasco (GE), dove bambini e anziani hanno lavorato insieme a delle illustrazioni legate proprio alle tradizioni dei nonni che si sono poi concretizzate in una mostra molto emozionante. Durante quegli incontri si notava nitidamente come tutte le manifestazioni di aggressività dei pazienti del centro sparivano completamente: per loro i bambini sono stati un toccasana che li ha anche aiutati a mantenere vive le loro competenze, in una sorta di palestra mentale».
LA RIDUZIONE DEL RISCHIO DI ISOLAMENTO SOCIALE
Stefania mi racconta poi che qualche anno fa, nel 2018, per la cooperativa sociale per cui lavora, aveva seguito un progetto basato sull’interazione tra adolescenti e bambini molto piccoli dal nome curioso: “Fantanija e super pigiamini”. «Una comunità di minori stranieri non accompagnati coabitava con gli alunni di un asilo nido». I ragazzi, che di notte erano protagonisti di alcuni episodi di furti o spaccio, di giorno, durante le attività educative che svolgevano insieme ai bimbi, si sentivano talmente utili e di esempio che si trasformavano completamente.
Cosa prevedeva il progetto? Mentre gli alunni più grandi del nido facevano attività didattica in giardino, con le mani con la terra insieme all’educatrice, i ragazzi stavano in struttura insieme ai bimbi più piccoli, affiancando le altre educatrici. «Parliamo di ragazzi incasellati nella devianza, che la polizia ci portava la notte, colpevoli di piccoli reati». Mentre all’inizio del progetto erano un po’ restii, dopo la diffidenza iniziale tutti i ragazzi coinvolti scendevano dalla comunità dove risiedevano e si dedicavano ai bambini con molta passione.
«È stata un’esperienza bellissima – racconta emozionata la pedagogista – che ha portato un effetto benefico anche in questi ragazzi, perché alcuni di loro hanno radicalmente cambiato le loro abitudini». D’altronde l’integrazione passa anche attraverso l’accorciamento delle distanze, l’avvicinamento e la creazione di nuove forme di dialogo.
Sul piano dell’isolamento sociale, il cohousing ne riduce il rischio sia per gli adulti che per i bambini, perché i genitori si inseriscono più facilmente in una rete di amicizie e di conseguenza ricevono anche sostegno emotivo nei momenti difficili della crescita dei figli; i più piccoli crescono in un ambiente ricco di stimoli sociali, sviluppando competenze relazionali che li preparano alla vita adulta.
Cooperazione, rispetto delle diversità e senso di responsabilità collettiva sono solo alcuni dei valori che respirano i bambini che crescono in contesti votati alla socialità come questi. Vivendo esperienze dirette di collaborazione quotidiana, interagendo quotidianamente con persone di culture, stili di vita e abitudini diversi e partecipando attivamente ad attività collettive si apprendono competenze importanti per la propria crescita e personalità futura.
LA FIGURA DI UN EDUCATORE DI COHOUSING
Forse sono più fortunata di altri, ma io, che vivo in un semplicissimo condominio in un quartiere periferico di città, in questi anni, specialmente da quando sono nate le mie figlie, sto riscontrando una certa predisposizione alla cooperazione dei vicini, soprattutto da parte delle – poche – altre famiglie con bambini del mio palazzo. Quello che manca, indubbiamente, sono gli spazi comuni, che sono invece la caratteristica principale dei cohousing.
«In tutti i condomini solidali ci vorrebbe un facilitatore con competenze psicopedagogiche capace di creare situazioni in cui coinvolgere gli abitanti di tutte le età, una figura professionale dedicata proprio al benessere dei residenti: un mediatore di relazioni quindi che favorisca la socializzazione, una sorta di “educatore di cohousing” che possa creare eventi all’interno dei condomini e dare vita a delle situazioni per mettere in relazione le persone».
Dalla prospettiva di un genitore, in tutte le fasi di crescita di un bambino è importante sapere di poter contare su una comunità che non solo offra affetto, ma che sappia essere un giubbotto di salvataggio nei momenti di fragilità. La comunità diventa sostegno assoluto per i genitori: «Dobbiamo recuperare il senso della comunità, nella definizione sociologica del termine, cioè di persone che stanno insieme, intrecciano delle relazioni e scambiano reciprocamente le risorse che hanno, per metterle a disposizione degli altri», conclude la pedagogista.
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