Dal Veneto all’Abruzzo: Allarme Cervi

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I lupi e gli orsi fanno più notizia. Ma anche la proliferazione incontrollata dei cervi può creare gravi danni alla conservazione della natura e della biodiversità. L’autore, segretario generale di Wilderness Italia, naturalista di lungo corso (ma anche cacciatore…) esprime in un comunicato la sua posizione razionale e controcorrente rispetto al prevalere delle opinioni animaliste.

In Copertina: Foto Unsplash  

Veneto.

La grande foresta del Cansiglio (Veneto e Friuli-Venezia Giulia), una delle più belle d’Italia, è da anni sotto continue minacce a causa di nuove piste da sci, impianti di risalita e centrali eoliche. Giustamente, i gruppi ecologisti che da anni si battono per la sua salvaguardia ora stanno avanzando richiesta che i tagli boschivi siano ridotti sebbene, da sempre, siano considerati una risorsa forestale.

Trattandosi di foresta di pubblica proprietà, comprendente diverse zone interne già integralmente protette come Riserve Naturali (e anche Aree Wilderness, almeno per la parte friulana), forse sarebbe il caso che altre aree siano sottratte ad una gestione forestale a scopo commerciale e dichiarate “protette”. In particolare, i suddetti gruppi hanno avanzato richiesta che venga posto un veto al taglio degli alberi con dimensioni superiori ai 70 cm di diametro a petto d’uomo che, invece, i tecnici forestali vorrebbero abbattere per fare posto al rinnovamento spontaneo di alberi da poter poi utilizzare commercialmente prima che divengano monumentali.

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È certamente una proposta condivisibile, ma la Foresta del Cansiglio ha tra i più gravi problemi proprio quello del suo rinnovamento, impedito o reso difficoltoso, non tanto dagli alberi monumentali che sottraggono spazio e luce alle giovani pianticelle di novellame, ma dall’intenso brucamento delle stesse da parte dell’eccessiva presenza di cervi, proprio in quanto dannosi per la biocenosi forestale!

Una presenza che gli stessi gruppi ecologisti si ostinano a non voler ridimensionare, nell’illusione che vi debbano provvedere i lupi recentemente comparsi anche da quelle parti. Peccato che questa sia mera teoria da manuale naturalistico e che proprio l’eccessiva presenza dei cervi costituisca forse la più grave minaccia al futuro della foresta e proprio alla possibilità che, in futuro, gli attuali alberi monumentali possano avere dei sostituti, una volta giunti a fine vita per senescenza.

Un problema, peraltro, non unico per quella foresta, ma anche per tante altre in tutta Europa, e che solo mantenendo basso il numero e il proliferare dei grandi erbivori si può risolvere, come avviene in non poche aree protette del mondo, Parchi Nazionali compresi (dove il tabù dell’uso del fucile quale mezzo equilibratore è stato da tempo accantonato).

Se salviamo gli alberi monumentali ma, nello stesso tempo, consentiamo ai cervi di brucare il novellame circostante, semplicemente stiamo decidendo di lasciare una pessima eredità ai nostri posteri, i quali non potranno più godere della bellezza degli alberi monumentali della cui salvezza oggi tanto ci preoccupiamo! 

 

Abruzzo.

Ma in che paese viviamo, dove l’animalismo è talmente preponderante (finanche sulla politica, almeno a vedere come destra e sinistra si confondano e si imitino reciprocamente pur di non disturbare gli animalisti!) da occultare ogni altro problema, finanche a giungere alle prime pagine dei giornali neanche si trattasse della guerra in Ucraina o in Medio Oriente? I cervi sono animali bellissimi e degni di vivere quasi ovunque nel nostro paese (che non è fatto solo di foreste e montagne) ma, da questo a sostenere che non se ne possa ridurre il numero quando diventa dannoso alle foreste, all’altra fauna e persino alle persone (incidenti automobilistici), ce ne dovrebbe passare. Invece no: cervi ovunque, per sempre, finanche nei nostri giardini e in mezzo ai paesi.

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In America (USA), quando fanno danni, li abbattono anche nei parchi nazionali senza che nessuno gridi allo scandalo. Sono addirittura apparsi articoli di lode a queste iniziative, su prestigiose riviste di conservazione e difesa dei parchi nazionali, dove le autorità gestionali sono state elogiate per interventi “mano armata” in difesa della biodiversità minacciata dai troppi cervi (tra l’altro trasformando la necessità di ridurne il numero in benefici sociali (posti di lavoro) ed economici (la macellazione e vendita della loro carne).

In Italia, si noti bene, i cervi si cacciano praticamente ovunque dove il loro numero è cresciuto al punto tale da consentirne un certo prelevamento ma in Abruzzo, dove sono divenuti una calamità, questo non si può fare. È divenuto un tabù! Chi scrive è stato, se non l’artefice dell’idea della loro reintroduzione, almeno il “braccio” che ha trasferito i primi cervi in Abruzzo, nello storico Parco nazionale (si parla degli anni ’70 del secolo scorso). Ed essendo stato anche il primo studioso sul campo dell’orso marsicano, non per nulla proprio per quest’ultimo fatto, ad avvenuta reintroduzione, è stato anche il primo a scoprire che, purtroppo, l’eccessiva presenza di cervi in alcune importanti zone di habitat dell’orso marsicano, aveva creato situazioni di conflitto tra le due specie, a spese del ben più raro orso marsicano. Preannunciando, quindi, che un’eccessiva presenza di cervi si sarebbe presto rivelata un danno per l’orso marsicano e per le foreste.

Sono trascorsi cinquant’anni da quei fatti, e quanto era stato previsto si è regolarmente verificato! Oggi, migliaia di cervi (peraltro favoriti da una situazione ambientale che li ha resi individui anche più grandi – e quindi più impattanti sull’ambiente – del previsto) si sono rivelati una presenza competitiva non da poco. A questo si è aggiunta l’elevata possibilità di sempre più frequenti incidenti automobilistici col rischio di morte per uomini e animali; ragion per cui ridurre il numero dei cervi è divenuta la cosa più ragionevole e più saggia da farsi. Invece, dobbiamo sentire la Brambilla e i suoi seguaci protestare affinché si lasci questo rischio aumentare sempre più: animalismo puro portato alle estreme conseguenze nel silenzio, purtroppo, anche di ben note e “potenti” sigle ambientaliste che, al massimo, fanno parlare le loro sedi locali (per non perdere il credito animalista nazionale?). Estreme conseguenze sia a danno dell’uomo che a danno dell’orso marsicano, ma anche delle foreste e della rara flora abruzzese e, dice qualcuno, finanche del raro camoscio d’Abruzzo, come l’orso sottospecie (o specie) a sé stante e ben più pregiata del cervo.

Per impedire la riduzione del numero di cervi, come al solito, sono stati scomodati i giudici – Tar e Consiglio di Stato – i quali, verosimilmente male informati (colpa della politica, spesso troppo sicura delle sue scelte e, forse, delle organizzazioni venatorie, spesso troppo frettolose e anche loro troppo sicure dei loro operati), si sono ovviamente limitati ad esaminare le regole (in qualche caso andando anche fuori dalle righe con suggerimenti che non spetterebbero loro) stabilendo contraddittoriamente che forse non erano state del tutto rispettate dalla Regione, dalle organizzazioni e tecnici competenti e dall’ISPRA.

E allora, si rispettino le regole e si provveda poi a questi abbattimenti prima che sia troppo tardi per l’uomo, per l’orso marsicano (per il quale molte carcasse di cervi potrebbero divenire abbondante e salutare cibo prima di affrontare l’inverno), per  il camoscio d’Abruzzo, per le faggete (“vetuste” comprese!) e per tante specie della rara flora minore. Perché è questo che dice l’ultima sentenza del Consiglio di Stato, non che non si debbano abbattere i cervi, come hanno sostenuto la Brambilla e il WWF locale.

Ovunque nel mondo, la conservazione della natura e l’animalismo non sono mai andati d’accordo. Anzi, non poche volte esprimono concetti inconciliabili, visto che per la natura, la sua bellezza e la sua specificità, l’animalismo si è spesso rivelato più pernicioso che non la tanto vituperata “caccia”. Oggi, in questa storia dei cervi d’Abruzzo, sono proprio le idee degli animalisti ad arrecare danni alla popolazione e alla biodiversità! 

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