Il 2024 si è confermato come un anno drammatico per la libertà di stampa e la sicurezza dei giornalisti in tutto il mondo. Secondo quanto dichiarato da Jodie Ginsberg, direttore esecutivo del Comitato per la Protezione dei Giornalisti (CPJ), almeno 95 professionisti dell’informazione, tra giornalisti e operatori dei media, hanno perso la vita quest’anno in diverse aree del pianeta.
La statistica che svela una crisi crescente
Il dato, reso noto domenica scorsa, segna uno dei bilanci più pesanti degli ultimi anni, richiamando l’attenzione su un problema strutturale e sempre più evidente: il giornalismo è sotto attacco come mai prima d’ora. Le cause delle morti spaziano dai conflitti armati agli omicidi mirati, fino agli incidenti sul campo dovuti a condizioni di lavoro estremamente pericolose. Tuttavia, un aspetto inquietante emerge con forza dai numeri: la sproporzione nel coinvolgimento di Israele nei decessi, un Paese responsabile di circa due terzi delle vittime.
Israele e l’impunità nei confronti dei media
Ginsberg ha sottolineato come Israele continui ad agire con totale impunità nei confronti dei giornalisti e degli operatori dei media. Gli attacchi contro chi si occupa di informazione sembrano essere parte di una strategia più ampia, caratterizzata da un approccio aggressivo nei confronti della copertura mediatica, specialmente in contesti di conflitto. Questo comportamento, secondo il CPJ, non solo mina la libertà di stampa, ma contribuisce a un clima di paura che si ripercuote negativamente sulla trasparenza e sull’accesso alle informazioni.
Gli episodi di violenza contro i media nei territori palestinesi occupati e durante il conflitto con Gaza rappresentano un esempio lampante di questa tendenza. Tra i casi più eclatanti del 2024, vi sono stati bombardamenti che hanno colpito edifici utilizzati da emittenti internazionali e locali, nonché omicidi di giornalisti sul campo, alcuni dei quali riconosciuti e accreditati da organizzazioni globali.
La comunità internazionale e il silenzio complice
Nonostante la gravità delle accuse, la comunità internazionale si è dimostrata spesso reticente nell’affrontare direttamente la questione. Gli appelli per un’indagine indipendente sugli attacchi contro i media si sono moltiplicati, ma senza risultati concreti. La mancanza di pressioni diplomatiche significative su Israele è stata interpretata come una forma di complicità, che rischia di perpetuare una situazione già critica. Secondo il CPJ, questa impunità rappresenta un grave precedente che potrebbe incoraggiare altri governi a seguire lo stesso esempio.
Un fenomeno mondiale
Se Israele rappresenta un caso emblematico, la crisi del giornalismo non è circoscritta a una sola regione. In tutto il mondo, i giornalisti continuano a essere bersagliati da regimi autoritari, gruppi armati e persino organizzazioni criminali. Il 2024 ha visto morti registrate in Paesi come Messico, Siria, Ucraina e Afghanistan, dove la libertà di stampa è spesso considerata una minaccia piuttosto che un diritto fondamentale.
In Messico, ad esempio, la connivenza tra politica e narcotraffico ha reso il lavoro giornalistico estremamente pericoloso, con omicidi mirati che spesso rimangono impuniti. In Siria e in Ucraina, i conflitti armati continuano a mietere vittime tra i professionisti dell’informazione, mentre in Afghanistan il ritorno al potere dei Talebani ha portato a una repressione crescente nei confronti dei media.
La necessità di azioni concrete
Alla luce di questi dati, il CPJ ha ribadito la necessità urgente di adottare misure concrete per proteggere i giornalisti e garantire che i responsabili di atti violenti siano chiamati a rispondere delle proprie azioni. Tra le proposte avanzate figurano l’istituzione di tribunali internazionali per giudicare i crimini contro i giornalisti e l’introduzione di sanzioni mirate contro i governi che non proteggono la libertà di stampa.
Al contempo, si rende necessario un maggiore sostegno alle organizzazioni che si occupano di protezione dei giornalisti sul campo, fornendo loro risorse e strumenti per lavorare in sicurezza. La collaborazione tra governi, enti sovranazionali e società civile è essenziale per creare un ambiente più sicuro per i professionisti dell’informazione.
Il ruolo della società civile e dei media
Anche la società civile ha un ruolo cruciale nel difendere la libertà di stampa. La consapevolezza pubblica sul tema è un elemento chiave per esercitare pressione sui governi e sulle istituzioni internazionali. Campagne di sensibilizzazione, proteste e mobilitazioni possono contribuire a mantenere alta l’attenzione su questi temi e a contrastare il fenomeno dell’indifferenza.
I media stessi devono assumere una posizione chiara e unitaria di fronte a queste minacce. La solidarietà tra giornalisti e organizzazioni mediatiche può essere un potente strumento per resistere alle pressioni e denunciare gli abusi, promuovendo al contempo standard etici elevati che rafforzino la credibilità del settore.
Il bilancio del 2024 evidenzia così una realtà inaccettabile: il giornalismo continua a essere uno dei mestieri più pericolosi al mondo. Gli attacchi contro i media non rappresentano solo una violazione dei diritti umani, ma anche una minaccia diretta alla democrazia e alla libertà di informazione.
Patricia Iori
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