Tinguely, macchine dello spaesamento | il manifesto

Effettua la tua ricerca

More results...

Generic selectors
Exact matches only
Search in title
Search in content
Post Type Selectors
Filter by Categories
#finsubito

Finanziamo agevolati

Contributi per le imprese

 


Disfunzionalità, fragore, movimento, disequilibrio e riutilizzo degli scarti della società industriale filigranano la grande retrospettiva Jean Tinguely (Friburgo, 1925 – Berna, 1991) curata da Camille Morineau, Lucia Pesapane, con Vicente Todoli e Fiammetta Griccioli all’Hangar Bicocca di Milano, che fa parte di «Tinguely 100» (programma per il centenario della nascita dell’artista).

SONO SCULTURE ESTRANIANTI e complesse, alcune monumentali, realizzate dagli anni ’50 agli anni ’90, molte delle quali provengono dal museo a lui dedicato di Basilea. Tinguely, glorificato da centinaia di mostre in tutto il mondo, ha slittato in varie avanguardie nell’epoca in cui visse (Dadaismo, Nouveau Réalisme, Arte cinetica), oltre ad arridere alle deviazioni estetiche di Alexander Calder, Bruno Munari e Marcel Duchamp, sia della sua passione per il moto e dunque per le auto di Formula1 (di cui era anche collezionista).

Le sue «macchine desideranti» si opposero radicalmente alla voga travolgente della sovrapproduzione e dello spreco delle merci che, come l’economista Kenneth Galbraith profetizzava già dagli anni ’60, avrebbe determinato l’accumulazione devastante di residui rispetto alla capacità di metabolizzarne lo smaltimento nell’ecosfera.
Ruote di legno e metallo, cinghie di gomma, lampade, motori elettrici, lastre di alluminio, barre di trasmissione, fil di ferro, copertoni, lampadine sono giustapposti fra loro e decontestualizzati in mirabolanti congegni macchinici, spesso strepitanti, che evidenziano la disfunzionalità dell’oggetto d’arte e il recupero ossessivo dello scarto che viene tramutato, metamorficamente, in opera.

Conto e carta

difficile da pignorare

 

LA SUA ERA UNA VISIONE del mondo che contrastava le inclinazioni della Pop Art e che lasciava baluginare un pensiero incasellabile tra estetica dell’effimero e della precarietà, sfida alla forza di gravità (equilibrio e movimento sono pre-determinati da un calcolo statico) e un formalismo non patinato e indigesto, sottilmente ironico. Di questi filosofici congegni macchinici se ne può «vivere» lo spaesamento nella penombra dello spazio milanese, il cui incipit è Cercle et carré-éclatés (1981) e la volumetrica Méta-Maxxi (1986) che, nel loro intricato assemblage di scarti si azionano disfunzionalmente per la «costruzione» di entità scultoree come flussi della coscienza.

ALCUNE DI ESSE si accendono ogni venti minuti in automatico, provocando uno stridore ferroso. Méta-Matic No.10 del 1981 (replica dall’originale per la mostra) è una macchina disegnatrice azionabile dal pubblico. Attraverso i soliti motorini, infatti, vengono innescati dei pennelli colorati su fogli di carta che generano degli schizzi. Mentre Ballet des pauvres (1961) fissata al soffitto, è collegata ad un motore attivato da un timer, che la fa oscillare provocando uno fragore stupefacente. Attraverso il ribaltamento in aria, Tinguely ammicca alla levità dei Mobiles di Calder. Collocate a semicerchio e assestate da avanzi metallici sono i Baluba (1962), macchine spiritose, interroganti e non dispotiche, il cui titolo rimanda all’etnia Bantu della Repubblica Democratica del Congo, che negli anni ’60 aveva affermato la sua indipendenza. Si passa alla onomatopeica Rotozaza No. 2 (1967): il suo nastro messo in moto trasporta alcune bottiglie che vengono frantumate da un martello ogni fine-giro e i cui frammenti di vetro infranto si affastellano sulla pedana. Per la sua follia ideativa induce all’inseminazione iperbolica del congegno di Der Lauf der Dinge (The Way Things go) del 1987 di Fischli e Weiss.

Non si può non ammirare Pit-Stop (1984) commissionata dalla Renault e forgiata con elementi della RE40 per Formula 1, dai cui mobili bracci vengono proiettati 4 film in 16mm, con immagini sovrimpresse e in slow-motion dell’auto di Alain Prost ferma ai box durante il Gran Premio d’Austria del 1983. Shuttlecock (1990), invece, è composta dai pezzi di un sidecar con cui René Progin aveva partecipato al Campionato del mondo di moto del 1988: Tinguely aveva perfino disegnato gli abiti da corsa del pilota. E ancora, su una pedana si staglia la metafisica serie dei Philosophers (1988) «sculture senzienti» dedicate a Heidegger, Burckhardt, Wittgenstein, Engels, Bergson, Kropotkin, Rousseau e Wedekind. Chiude Le Champignon magique (1988) realizzata con Niki de Saint Phalle, sua seconda moglie, che così commentava: «Jean era il movimento, io (Niki de Saint Phalle) il colore». E, molto altro per stupirsi.



Source link

***** l’articolo pubblicato è ritenuto affidabile e di qualità*****

Visita il sito e gli articoli pubblicati cliccando sul seguente link

Source link