Ci può essere una giusta conciliazione tra fonti rinnovabili e paesaggio. Gli spazi che richiedono le fonti rinnovabili, per uno sviluppo in grado di raggiungere uno scenario a zero emissioni al 2035 sono modeste.
Lo rileva lo studio “Paesaggio e rinnovabili, una convivenza possibile”, condotto da Althesys, in collaborazione con la European Climate Foundation. Da esso risulta che fotovoltaico ed eolico richiedono spazi limitati.
Il fotovoltaico a terra occupa un’estensione pari allo 0,2% della superficie agricola totale al 2035. Più precisamente, lo 0,23% della superficie agricola utilizzata (SAU), lo 0,17% della superficie agricola totale (SAT). L’eolico onshore occuperà ancor meno superficie: lo 0,03% della SAU e SAT.
Per il solare, rileva ancora la ricerca, l’impronta si riduce ulteriormente grazie all’agrivoltaico, che integra produzione energetica e agricoltura con il risparmio di almeno il 70% del suolo.
Anche considerando l’apporto di sistemi di accumulo e di infrastrutture di rete, per le batterie di grande dimensione si prevede, comunque, un uso di suolo molto contenuto, nonostante una potenza di 36 GW per 144 GWh di capacità.
Quanto spazio richiedono le fonti rinnovabili: il contributo dell’agrivoltaico
Fotovoltaico ed eolico insieme, oggi utilizzano un’area pari allo 0,15% della superficie agricola utilizzata e secondo i calcoli, al 2035, occuperebbero lo 0,26% della SAU.
“Nel 2023, per una potenza disponibile di 9 GW di fotovoltaico a terra, la quota sul totale si fermava al 30%, con un uso del suolo di 167 km². Al 2035 si prevede una capacità raddoppiata a 20 GW e un’incidenza sui suoli agricoli prevista in 283 km² (+116 km²)”.
L’impronta si riduce ulteriormente grazie all’agrivoltaico (393 km² stimati in più al 2035 per 1.310 km² di superfici), che offre l’integrazione tra produzione energetica e uso agricolo con un risparmio di almeno il 70% delle superfici su cui insiste.
A questo riguardo, Alessandra Scognamiglio, presidente AIAS (Associazione italiana agrivoltaico sostenibile), è intervenuta al convegno di presentazione dello studio. Constatando una vicinanza dei temi espressi dalla ricerca con quelli propugnati da AIAS, spiega che «bisogna partire dalla constatazione che il paesaggio è il sistema più grande che contiene tutti i sottosistemi. La soluzione propone di pensare i sistemi agrivoltaici come parte del paesaggio e non in contrapposizione. Sono due aspetti che devono convergere perché il paesaggio è un’espressione dinamica della società», un po’ come lo furono i mulini ad acqua che oggi caratterizzano il paesaggio dei Paesi Bassi, per esempio. «Il punto è trasformare il paesaggio in maniera sostenibile. Il paesaggio è un sistema di segni che rende visibile un insieme di relazioni che sono alla scala dei vari sottosistemi. Quindi, dobbiamo smettere di pensare a rinnovabili e paesaggio quale mera contrapposizione, e cominciare, invece, a considerare una connessione complessiva delle singole parti. Il sistema agrivoltaico è ciò che consente di collegare la scala del paesaggio alla scala del suolo. È importante pensare a questa nuova tecnologia con “occhi e menti nuovi”».
I benefici ambientali generati dall’eolico
Nello studio non c’è neppure la presunta “invasione” dell’eolico, che dispone in Italia oggi di 12,3 GW di capacità a terra, e 0,03 GW a mare, con un uso di suolo di soli 18 km². L’eolico a terra – che ha una stima di espansione di 1,4 volte – continuerà ad avere un’occupazione minima di suolo, anche se ha un fabbisogno specifico di superfici superiore alle altre fonti dovuto alle grandi distanze tra le turbine. “Tra dieci anni si stimano 30 GW (+17 GW) e 44 km² di suolo (+26 km²) e 3.489 km² di superfici necessarie”, segnala Althesys.
Sul tema eolico, il presidente ANEV, Simone Togni, illustrando i benefici ambientali del rinnovamento dell’eolico, afferma che «eolico e paesaggio sono due elementi che possono e devono andare insieme. Il problema vero del paesaggio italiano è legato ai cambiamenti climatici, che lo stanno rendendo sempre più desertico, in alcune aree, e sempre più a rischio, con il progressivo innalzamento del livello del mare, con criticità sempre più marcate sia in termini di erosione delle coste sia in termini di perdita di territorio. L’eolica è una delle fonti che consente di affrontare il climate change, riducendo le emissioni di CO2 e degli altri gas climalteranti. C’è di sicuro l’aspetto paesaggistico da considerare: sappiamo che gli impianti eolici vanno inseriti debitamente nel territorio nel modo più coerente e meno impattante possibile. A questo proposito ricordo che con Legambiente, WWF e Greenpeace abbiamo stretto una collaborazione che ha portato negli anni alla sottoscrizione di un Protocollo d’intesa finalizzato a diffondere l’eolico tutelandone il corretto inserimento nel paesaggio».
Ricorda, a tale proposito, che grazie a quel protocollo allora volontario, sottoscritto nel 2002, oggi esiste un obbligo di legge che impone il ripristino del paesaggio a fine vita degli impianti.
Sulla questione aree idonee, sulla cui definizione le regioni sono chiamate a mettere a punto norme, fornire proposte o linee di indirizzo, Togni ricorda che nel Decreto Aree Idonee è compresa una tabella in cui viene tracciata, per ogni regione, la traiettoria di conseguimento pro-quota dell’obiettivo di potenza complessiva da traguardare come Paese al 2030.
Fonti rinnovabili e paesaggio: gli elementi considerevoli
Tra i fattori da considerare nel complesso rapporto fra fonti rinnovabili e paesaggio, preservandolo, garantendo una pianificazione in grado di ridurre al minimo l’impatto, c’è da considerare che “la contrapposizione tra la tutela del paesaggio e lo sviluppo delle rinnovabili è spesso artificiosa”, si legge nel rapporto. “Se si considera la necessità di soddisfare il fabbisogno energetico locale con fonti pulite, le energie rinnovabili diventano un’opportunità piuttosto che una minaccia”.
La pianificazione paesaggistica deve garantire un equilibrio tra transizione e tutela, usando strumenti come la Valutazione Ambientale Strategica (VAS) e i piani paesaggistici aggiornati. Ma occorre considerare i molteplici benefici che assicura lo sviluppo delle fonti rinnovabili.
A livello di sistema, la maggiore diffusione delle FER porterà ulteriori benefici a tutti i consumatori. La sostituzione della produzione da fossili con quella rinnovabile favorirà una riduzione dei prezzi zonali dell’energia elettrica.
“Con la riforma del mercato elettrico e il superamento del Prezzo Unico Nazionale (PUN) previsto dal 2025, tale riduzione si tradurrà principalmente in un alleggerimento della componente energia per i consumatori nelle regioni a maggiore penetrazione di rinnovabili. Questa componente nel 2023 rappresenta in media il 60% dei costi in bolletta per le imprese, dopo aver raggiunto addirittura il 73% nel 2022”.
Ridurre l’impatto sfruttando aree marginali o inutilizzate
L’impatto sul territorio è possibile ridurlo in molteplici modi. L’impatto può essere ulteriormente ridotto, per esempio, integrando le installazioni nelle aree già urbanizzate, sfruttando edifici e infrastrutture esistenti per minimizzare l’impiego di nuovo suolo.
Ci sono poi le aree marginali o degradate: cave dismesse, siti industriali abbandonati, terreni inquinati o da bonificare sono ulteriori opportunità per l’installazione di impianti fotovoltaici ed eolici.
In questo insieme, vanno compresi anche i terreni incolti, che offrono un potenziale significativo.
Al 2030, gli impianti su coperture, cave e altro potrebbero arrivare a coprire fino al 27% del target PNIEC. La maggior parte sarebbe generata da fotovoltaico, che potrebbe arrivare fino al 41%.
Ricorda Althesys, che il 24% della superficie agricola in Italia non è coltivata, spesso perché economicamente non sostenibile. In queste situazioni, l’installazione di impianti fotovoltaici su porzioni limitate di terreni incolti può trasformare tali aree in risorse produttive.
Regioni, aree idonee e considerazioni necessarie
Ora si è in attesa del parere delle regioni sulle aree idonee. Lo studio Althesys mette in luce la possibilità di far convivere rinnovabili e paesaggio. Quali dovranno essere le considerazioni da fare nel 2025 per trovare una conciliazione alle necessità energetiche e territoriali?
«In generale, al di là della situazione delle specifiche regioni, le nostre analisi evidenziano che l’occupazione di suolo è comunque limitata; quindi, gli “allarmi”, a nostro modo di vedere, sono ingiustificati – afferma Alessandro Marangoni, Ceo di Althesys e direttore scientifico dello studio –. Detto questo, il tema fondamentale, a nostro avviso, è che ci sia una distribuzione che tenga conto del potenziale delle diverse regioni e delle diverse fonti, ma che sia riequilibrato rispetto alle aree di consumo. Certamente ci sono delle regioni, soprattutto del Sud Italia, che hanno un potenziale molto alto, da un punto di vista di analisi strettamente economica, in termini di costo di generazione, ovvero di costo di produzione in kWh. Tuttavia, vanno considerati i centri di consumo, che sono distanti. Quindi, si pone da un lato un tema di equilibrio e di equità, vorrei anche dire, rispetto ai diversi territori. Inoltre, si accompagna anche un altro ragionamento economico: occorre considerare quanto costa il kWh consegnato al consumatore».
Detto in altri termini: se in una regione del Meridione produrre il fotovoltaico costa 40 euro e farlo in una regione settentrionale ne costa 60, ma poi per riuscire a portarlo dal Sud al Nord – tra reti, accumuli ecc. – se ne spendono altri 20 o più, questo passaggio non ha convenienza. «Quindi, la considerazione da fare è che ogni regione deve sì valutare i propri territori, però va fatta nel quadro di una strategia e di una visione nazionale che tenga conto di tutti questi elementi», conclude Marangoni.
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