Violenza sessuale in Municipio, le motivazioni della condanna per l’ex sindaco di Petilia

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“Sistema Petilia”, depositate le motivazioni della sentenza della condanna per ex sindaco, ex amministratori, imprenditori e funzionari Asp


PETILIA POLICASTRO – «Il sindaco, anziché prendere atto del ripetuto diniego opposto dalla donna, forzava la sua libertà di autodeterminazione invadendo illecitamente la sua sfera sessuale, palpeggiandola e baciandola». Lo sottolinea il Tribunale penale di Crotone nel motivare la condanna a 6 anni e 6 mesi di reclusione per l’ex sindaco di Petilia Policastro Amedeo Nicolazzi. L’ex primo cittadino ritenuto colpevole di violenza sessuale, tentata induzione indebita a dare utilità, peculato e omissione d’atti d’ufficio.

Furono in tutto 11 le condanne disposte dai giudici nel processo  “Sistema Petilia”. Processo scaturito da un’inchiesta che nell’aprile 2021 travolse il Comune, poi commissariato in seguito alle dimissioni della maggioranza dei consiglieri. Coinvolti amministratori e dirigenti dell’ente, imprenditori, funzionari dell’Asp e della polizia locale accusati di una serie di reati contro la pubblica amministrazione.

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VIOLENZA SESSUALE, LE MOTIVAZIONI DELLA CONDANNA DELL’EX SINDACO DI PETILIA

Ma il reato più “grave” è l’abuso sessuale compiuto nell’ufficio del sindaco e ricostruito dai carabinieri che avevano piazzato microspie nell’ambito della cosiddetta “indagine madre”. Ovvero un’inchiesta della Dda di Catanzaro sul voto di scambio politico-mafioso che aveva preso spunto proprio da denunce di Nicolazzi, come evidenzia il collegio giudicante presieduto da Edoardo D’Ambrosio.

«Inequivoco», secondo la ricostruzione dei carabinieri avallata dal pm Alessandro Rho, il contenuto di intercettazioni che documentano la scena materializzatasi nella stanza dell’ex sindaco. Nicolazzi aveva dato là appuntamento a una donna bisognosa rivoltasi a lui per un aiuto al figlio in cerca di occupazione.

Conclusa la telefonata a un altro sindaco, in quel momento presidente dell’Unione regionale dei Comuni montani, su segnalazione della stesso donna che aveva appreso che questi aveva fatto assunzioni presso enti a partecipazione pubblica, Nicolazzi a un certo punto «chiude la porta del proprio ufficio». Ciò suscita «imbarazzo nella donna preoccupata di eventuali commenti inopportuni da parte dei dipendenti comunali».

“VIE DI FATTO”

Ma Nicolazzi «passa immediatamente alle vie di fatto» condizionando la propria disponibilità a incontrare l’amico amministratore «solo previa accondiscendenza della donna a scoprire zone erogene», scrivono i giudici. «Ti aiuto, se ci tieni a me pure io ci tengo. Fatti guardare il seno». Sono alcune conversazioni intercettate valorizzate nella sentenza.

Per nove volte la donna oppone il proprio rifiuto. «Non mi mettete in imbarazzo. Sotto c’è mio figlio. Non sono tranquilla. Non è il momento né il posto».

Se la donna avesse prestato consenso, sarebbe stato raggiunto un accordo e quindi si sarebbe configurata anche la concussione, che invece viene riqualificata in induzione “tentata”, reato comunque “connesso” a quello di violenza sessuale.

SISTEMA PETILIA: IL PECULATO

I giudici ritengono provata l’accusa di peculato, contestata anche all’ex sindaco. Accusa riconducibile alla distrazione di generi alimentari destinati ai bisognosi. In violazione di una convenzione col Banco delle opere di carità, sarebbero stati distribuiti a fini elettoralistici, anche a personaggi legati alla criminalità organizzata.

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Il Tribunale evidenzia che Nicolazzi, «al fine di conseguire la sua conferma nella carica di primo cittadino, conferiva delega in bianco all’assessore Franca Costanzo (condannata con altro rito, ndr) così da beneficiare del suo appoggio elettorale e dell’enorme quantitativo di voti che era in grado di convogliare sulla loro lista elargendo pacchi di viveri tramite logiche clientelari anche a soggetti che non ne avevano diritto».

Ma ci sarebbe stato anche il tentativo di far togliere una multa ad un imprenditore vicino al sindaco in cambio di consegne di olio e castagne al dirigente Asp Domenico Tedesco. Una condotta, clamorosamente filmata dagli inquirenti, che non rientra più nella corruzione, dopo la Spazzacorrotti, né nell’abuso d’ufficio ormai abrogato, ma nell’omissione di atti d’ufficio in cui un gruppo di reati sono stati riqualificati. Per il Tribunale, in un bar di Crotone fu siglato un «accordo illecito» seguito dalla «elargizione di doni».



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