Il bilanciamento tra l’urgenza della transizione verde e le esigenze delle comunità locali

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In un contesto globale di crescente urgenza per la transizione energetica, il Regno Unito ha fatto un passo decisivo per accelerare la sua transizione verso un futuro energetico più sostenibile. In una mossa che i media britannici hanno definito «audace», il governo laburista guidato dal primo ministro Keir Starmer ha deciso di rivedere le regole che regolano l’autorizzazione dei grandi progetti infrastrutturali per l’energia rinnovabile, in particolare i parchi eolici onshore

La decisione finale sulla costruzione di questi impianti spettava principalmente ai consigli locali, che in passato avevano spesso bloccato o ritardato i progetti sulle energie pulite per motivi che spaziano dalla protezione del paesaggio ai timori per l’impatto ambientale. Ma l’esecutivo di Londra ha deciso di dare ai propri ministri l’ultima parola sull’approvazione di iniziative di grande impatto, indebolendo così il potere delle comunità di mettere in pausa i progetti sulle rinnovabili. Nel dettaglio, la nuova normativa concede ai ministri la facoltà di approvare o respingere i progetti di parchi eolici superiori ai cento megawatt, senza dover passare attraverso il vaglio dei consigli locali.

Il ministro per l’Energia britannico, Ed Miliband, ha dichiarato che il governo «è impegnato nel più ambizioso piano di riforma del sistema energetico che il Paese abbia mai visto, necessario per garantire una transizione rapida e sicura verso un futuro di energia pulita». Miliband ha sottolineato che, a fronte della dipendenza del Paese dalle importazioni di gas e del balzo dei prezzi energetici a causa dell’invasione russa dell’Ucraina, «è fondamentale passare a fonti di energia rinnovabile per garantire maggiore sicurezza energetica. Non possiamo più essere alla mercé dei mercati dei combustibili fossili. È il momento di puntare su energie rinnovabili prodotte in casa, come l’eolico e il solare, che possiamo controllare e gestire in autonomia».

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Si tratta, certamente, di una scelta che segna una svolta radicale nella politica energetica britannica: «L’era dell’elettricità pulita è una visione positiva per il nostro futuro, contraddistinto da una maggiore sicurezza energetica, bollette più basse, posti di lavoro e azione climatica. Solo attraverso cambiamenti grandi e audaci possiamo raggiungere i nostri obiettivi», ha aggiunto Miliband, concludendo che il piano del governo non è solo una risposta alla crisi energetica, ma anche una necessità economica e sociale.

Il governo britannico ritiene che questo sistema di approvazione centralizzata permetterà di evitare ritardi e blocchi nei progetti necessari per garantire la transizione energetica e il raggiungimento degli obiettivi climatici. In un recente discorso alla Nazione, il primo ministro Starmer ha confermato l’impegno del suo esecutivo al raggiungimento degli obiettivi climatici fissati per il 2030, che prevedono una quota di energia pulita pari al novantacinque per cento della produzione totale del Paese.

A sostegno della necessità di un intervento deciso, il governo britannico ha ricordato che, a partire dal 2015, la realizzazione di parchi eolici onshore in Inghilterra è diminuita drasticamente, con una riduzione del novantaquattro per cento dei progetti approvati, a causa delle modifiche alle normative introdotte dal governo conservatore precedente. 

Nonostante le difficoltà incontrate finora, secondo un’analisi del centro studi Ember il 2024 rappresenterà una pietra miliare nella transizione energetica del Regno Unito: per la prima volta, l’elettricità generata da fonti rinnovabili come eolico, solare e idroelettrico supererà quella prodotta da combustibili fossili. I dati indicano che le rinnovabili contribuiranno al trentasette per cento della produzione totale, contro il trentacinque per cento dei combustibili fossili. Questo risultato è il frutto di un decennio di progressi che hanno visto il Regno Unito ridurre progressivamente la sua dipendenza da gas e carbone, che nel 2014 rappresentavano ancora il sessanta per cento dell’energia prodotta.

«Il futuro delle rinnovabili è qui», ha dichiarato Frankie Mayo, analista senior di Ember, sottolineando che i risultati di quest’anno sono una testimonianza del successo ottenuto grazie alla chiusura delle centrali a carbone e alla crescita della capacità eolica e solare. Mayo ha definito i dati del 2024 «una dimostrazione tangibile di quanto il Regno Unito stia trasformando il proprio sistema energetico».Le nuove misure introdotte dall’esecutivo di Starmer mirano a rilanciare il settore delle energie rinnovabili, dando un segnale chiaro agli investitori e alle imprese.

Questo approccio, che limita l’utilizzo della revisione giudiziaria da parte dei comuni contro i progetti eolici di grande impatto, sembra una soluzione necessaria per superare gli ostacoli posti dagli enti locali e raggiungere gli obiettivi prefissati. Tuttavia, pur rispondendo a una necessità impellente, questa mossa evidenzia le difficoltà intrinseche nel bilanciare la lotta al cambiamento climatico con la gestione delle dinamiche politiche e sociali a livello locale.

Lo conferma la situazione Italiana, dove numerosi progetti sulle rinnovabili si arenano non solo per l’eccessiva burocrazia, ma anche a causa della resistenza politica a livello locale (comunale o regionale) e delle proteste dei comitati locali. Le ragioni dietro queste opposizioni sono molteplici: dalla tutela del paesaggio alla preoccupazione per l’impatto ambientale, passando dalla gestione dei flussi di investimenti. 

Poi, come anticipavamo, c’è la questione burocratica. L’Italia punta a raggiungere ambiziosi obiettivi di diffusione delle energie rinnovabili entro il 2030, ma i lunghi tempi autorizzativi restano comunque un ostacolo significativo. In media, secondo un’analisi dell’Osservatorio REgions2030, servono quarantatré mesi per approvare un impianto eolico e ventidue mesi per uno parco fotovoltaico, con percentuali di successo molto basse: solo l’otto per cento e il sedici per cento dei progetti, rispettivamente, ottengono l’autorizzazione. 

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Sebbene il governo abbia introdotto misure di semplificazione, come il principio del silenzio assenso e il decreto “Aree idonee”, permangono criticità, specialmente nei territori del Sud e nelle Isole, dove i governatori locali sollevano dubbi sugli impatti economici locali dei progetti. In Sardegna, ad esempio, ha fatto discutere la decisione dell’amministrazione regionale di approvare una moratoria di diciotto mesi sull’installazione di nuovi impianti a energia pulita.

In questo contesto, la scelta del governo britannico potrebbe essere vista come un modello di pragmatismo da emulare: scavalcare le opposizioni locali potrebbe garantire un’implementazione rapida di impianti eolici e altre fonti rinnovabili. Al tempo stesso, può anche sollevare un dibattito su quanto sia giusto o efficace forzare il cambiamento. 

Se da un lato la centralizzazione dei poteri decisionali consente di snellire i processi autorizzativi e di rispondere con maggiore tempestività alle necessità legate al cambiamento climatico, dall’altro potrebbe innescare conflitti con le comunità locali, che si sentono private del loro diritto di influenzare le decisioni che impattano direttamente sui loro territori. 

La sfida per il Regno Unito, così come per l’Italia, sarà quindi trovare un equilibrio tra l’urgenza della transizione energetica e la necessità di un coinvolgimento attivo e partecipato delle comunità locali nelle scelte che riguardano il loro futuro.



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