“Siamo la prima regione in tutto ma non ci viene riconosciuto. Roma ci ascolti, o il processo di riforma avrà maniere aggressive”, promette il governatore uscente. “Il mio futuro? Ne so quanto voi. Ma se la Campania sbloccherà il limite dei mandati, noi saremo pronti al varco”
C’è il buffet, c’è pure il coro. Ma il vero spettacolo di Natale lo offre il paròn di casa. “Cari giornalisti, siete come la Panda: se non ci foste bisognerebbe inventarvi. Domande? Potete anche non farne”. Almeno una è d’obbligo. “Il mio futuro? Ne so quanto voi: sulle prossime elezioni, sul limite dei mandati. L’unica novità è capire se il governo impugnerà la legge della Campania. Ha tempo entro il 10 gennaio: in caso di fumata bianca, si aprirebbe un nuovo scenario da tre, quattro mandati. E a quel punto prenderemmo nota anche noialtri uscenti”.
È guardingo, Luca Zaia. “C’è una questione meridionale ma ce n’è anche una settentrionale: l’autonomia è l’unica riforma in grado di coniugarle. L’Italia corre a due velocità, con un alto debito pubblico, a causa di come è stata gestita finora”. Mica per colpa del Veneto. “È fondamentale capire che abbiamo sfide diverse rispetto a molti temi. Qui un’ernia all’inguine si cura in 4 ore, in certe regioni ci vuole una settimana: tante volte la sanità migliore è quella di chi monta in treno e viene a scegliere le nostre cliniche”.
Il Doge accoglie e ammonisce. “Una terra fatta di imprese e produttività ha bisogno di maggiore attenzione per queste dinamiche: è un periodo non facile, siamo
nel pieno di crisi aziendali importanti. Non mi sembra di bestemmiare in chiesa, eppure c’è ancora chi s’indigna”. Arringa in crescendo, appello in dialetto. “L’autonomia o la fai per scelta o per necessità. Questo paese ha paura delle riforme, ma succederà che dovremo farle in maniera aggressiva. O voemo far la fine del Gattopardo? Gavè presente el libro?”
Da Tomasi di Lampedusa a Zaia di Conegliano, che ne ha appena scritto un altro. Firma copie, sfoggia sorrisi. Eppure il tradizionale incontro di fine anno con la stampa, a Palazzo Balbi, stavolta ha una vena di orgogliosa malinconia. “È il quattordicesimo inverno di fila”. Un’epoca veneta. Chissà quanto ancora potrà durare. “Se ci avessero dato un miliardo per regione tramite il Pnrr, avremmo rimesso a norma tutto il paese”. Allora è il momento di tirare le somme. Il governatore si ferma, lascia parlare un video. Musica epica, numeri maiuscoli, scorrono gli highlights sparsi delle tante virtù regionali: pedemontana, trasporti, grandi opere, turismo, piano energetico ventennale.
Non è un filmato, è una Zaiade. “I dati sono condensati”, riprende lui, tra gli assessori della sua giunta. “Ma rendono l’idea dei nostri traguardi. Abbiamo appena chiuso il bilancio: nonostante l’aumento dell’Irap, saremo di nuovo la regione italiana che per distacco registra la minore pressione fiscale sui cittadini. Siamo quelli con minor dipendenti pubblici per abitante, quelli col miglior utilizzo delle risorse europee: investiamo il 103 per cento di ciò che ci arriva da Bruxelles. Di tutto il paese siamo la seconda agricoltura, che insieme al turismo forma un binomio da 24 miliardi di euro. Per non parlare dei Giochi invernali”. Che in gergo locale diventano Olimpiadi venete. “L’evento ci porterà 5,3 miliardi
di euro, di cui oltre uno per rimbalzo al termine delle gare. Sull’impiantistica siamo più avanti del cronoprogramma, anche per la famosa pista da bob. Gli occhi di mezzo mondo saranno su di noi”. Una magia per Cortina, secondo Zaia. “Infine voglio sottolineare che tre aziende sanitarie delle prime cinque in Italia sono nostre. E una quarta sta a Bergamo – già Repubblica veneta, va ricordato sempre”. Risate in platea. Guai però a farsi prendere dalla goliardica euforia: non è un excursus piacione o autoreferenziale – pure a Venezia, chi si loda s’imbroda – ma l’essenziale premessa alfulcro del messaggio. “Siamo in testa a ogni classifica. Eppure questo non ci viene riconosciuto: ogni cittadino veneto beneficia di una spesa pubblica in fondo alla media nazionale. Siamo fieri di mandare soldi a Roma, ma ci vuole equilibrio. E dunque autonomia”.
Il presidente rivendica il suo lascito. “Non abbiamo mai avuto la strada in discesa: referendum saltati, impugnati o finiti in Corte. Abbiamo subito divieti, ricorsi, angherie e porcherie che non sarebbero proprie di un paese democratico”. Pausa a effetto. “Però sono convinto che alla fine il bene prevalga sul male. E le narrazioni attorno all’autonomia – chi la chiama secessione dei ricchi, quando invece è un atto di realtà e responsabilità nei confronti dell’Italia – sono vergognose. Un giorno questi nodi verranno al pettine. Ci si ricorderà da che parte della storia si è collocato il mio Veneto. Qualcuno dice perfino che dovremmo fermarci con il lavoro: non mi risulta che sia incostituzionale lavorare. E se è per questo, sulla Costituzione non c’è scritto nemmeno che si debba fare una legge per arrivare all’autonomia. Meglio che mi fermo qui. Risparmiate l’applauso”.
La partita non è ancora vinta. Finché il tempo non scade, Zaia vuole giocarsela fino in fondo.
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