Il Natale, con il suo scintillio di luci, regali e riunioni familiari, è da sempre sinonimo di gioia e condivisione. Ma cosa succede quando questa felicità diventa un’imposizione, un obiettivo da raggiungere a tutti i costi? Non tutti vivono le feste con lo stesso entusiasmo: per alcuni, il Natale rappresenta un periodo di stress, malinconia o un doloroso confronto con la propria realtà.
Dietro l’immagine perfetta delle festività, costruita nel tempo da tradizioni e marketing, si cela un lato più complesso e meno raccontato: quello del Christmas Blue. Questo fenomeno, lungi dall’essere una vera patologia, racchiude una serie di emozioni che vanno dalla nostalgia all’irritabilità, dall’ansia all’apatia. Una reazione naturale, che si manifesta spesso quando le aspettative sociali del “Natale perfetto” si scontrano con la vita reale. Il Natale, per alcuni insomma può rappresentare una ricorrenza dolorosa.
In questo articolo la psicoterapeuta Federica Buri, alla quale abbiamo chiesto un contributo sul tema, esplora come l’immaginario natalizio si sia trasformato in una macchina globale del consumo, perché il periodo delle feste può essere tanto gioioso quanto opprimente, e come riconoscere e affrontare il lato oscuro del Natale. Perché, in fondo, non dobbiamo essere “felici a tutti i costi”.
Di seguito il suo contributo.
A Natale, il rosso o il blu?
Il Natale porta con sè una precisa narrazione, al di la di quella cattolica, e ha nel tempo assunto caratteristiche proprie del mondo Occidentale che hanno trovato diffusione su scala internazionale.
Nell’immaginario collettivo il Natale è un momento da trascorrere con i propri cari, in una bella casa addobbata secondo la tradizione estone del XV secolo, aspettando che arrivi Babbo Natale con i doni per i bambini buoni.
E’ facilmente intuibile come una costruzione immaginaria di questa portata abbia goduto di un vasto consenso grazie alla rassicurante sensazione di amore, condivisione, calore, sicurezza e ricchezza che è stata in grado di evocare.
Una illusione gargantuesca che affonda le sue radici in tradizioni locali, ma che edifica la sua architettura sulle fondamenta del marketing.
Babbo Natale è più coesivo della figura di Gesù, e sebbene le sue origini siano riconducibili ad un personaggio storico della tradizione cattolica, San Nicola, è solo attraverso una mirata operazione pubblicitaria degli anni Trenta del Novecento che la Coca Cola Company creò l’iconica immagine di Babbo Natale come la conosciamo ancora oggi: un uomo anziano dall’aspetto amichevole e bonario che indossa il colore del marchio.
La grande crisi economica del 1929, con la conseguente Grande Depressione, aveva generato una impellente necessità di evasione, prontamente accolta da Walt Disney che nel giro di un ventennio realizza quel “mondo di gioia” che ancora oggi assurge a paradigma di felicità, facendo leva sulla nostalgia dei ricordi della infanzia e sfruttando la cultura della rappresentazione, propria delle principali forme spettacolari dell’Occidente.
Natale da vendere
Il Natale, come ogni prodotto creato ad hoc per essere venduto, non si limita a generare beni di consumo (cibo, abbigliamento, decorazioni, ecc), ma porta con sè uno stile di vita, un’estetica, dei valori e una visione del mondo ben precisi.
Ancora una volta le persone diventano consumatori di un mondo ideale convertito nella concretezza materiale, che crea complicità e intimità tra gli individui che condividono desideri, comportamenti, rituali.
Umberto Eco nel 1979 parlava di “mondo possibile”, intendendo con tale espressione un costrutto culturale ipotizzato dal destinatario che possiede una natura narrativa. Rimanda alle “Città invisibili”, libro di Calvino, che come base strutturale ha l’Utopia di Thomas More. Il “mondo possibile”, anche se può essere fantastico o utopico, non nasce come un’entità distaccata dalla realtà che lo ha fatto nascere, ma è parte stessa di quel reale. Narrazione fantastica che Gilbert Durand dirà essere un immaginario in grado di svolgere una funzione unitaria per il tessuto delle relazioni sociali.
Il Natale è dunque codificato su canoni immaginari ben precisi tra i quali spicca quello della felicità come elemento sociale aggregante.
In “Happycracy”, libro dei sociologi Eva Illouz ed Edgar Cabanas (2009), viene magistralmente descritto “un mondo invaso dall’apparente felicità”, tanto perseguita da diventare quasi un imperativo. Anche nella clinica psicoterapeutica la domanda che più spesso arriva alla consultazione nei nostri studi è legata al desiderio di essere felici. Senza che questa felicità sia ben identificata in qualcosa ma anelata come stato d’animo. In taluni casi semplicemente come assenza di sofferenza.
A tale proposito non ci ha aiutati l’invenzione della cosi detta “psicologia positiva” che, con i suoi coach e guru-influencer, ha alimentato l’industria della felicità a tutti i costi.
Il Christmas Blue, una semplificazione
Date le premesse dovrebbe essere immediato il nesso di causalità tra Natale e felicità, ma esiste un esito in controtendenza definito “Christmas Blue”.
Anche qui si potrebbe approfondire l’uso pop e pubblicitario di una termine che dovrebbe designare uno malessere psicologico.
Mi limiterò a dire che l’espressione “Sindrome Natalizia” o “Depressione Natalizia” non sta ad indicare l’entità diagnostica di una condizione morbosa, ma corrisponde piuttosto al tentativo di unificare in una accezione semantica una serie di vissuti emotivi che possono verificarsi a Natale come: la malinconia, sbalzi d’umore, ansia e irritabilità, apatia.
Il Natale è un momento caratterizzato da una forte ambivalenza: la gioia per la pausa dal lavoro e la possibilità di fare festa è bilanciata dalla corsa ai regali, ai preparativi, alle forzate occasioni di socializzazione. La convivialità con parenti e conoscenti non è vissuta allo stesso modo da tutti: ci sono persone che subiscono la compagnia degli altri.
Può anche accadere che questi momenti coincidano con il dover fare un resoconto della propria vita lavorativa e/o relazionale causando tensione e stress emotivo, o nel caso in cui ci fossero conflitti familiari che sovente riaffiorano (opportunamente) proprio a Natale.
Un sondaggio del 2023 dell’APA (American Psychology Association) tuttavia riporta che le Feste Natalizie sono prima di tutto un momento gioioso, dove i sentimenti prevalenti sono di felicità (78%), amore (75%) e buonumore (60%). Solo il 38% degli intervistati ritiene che lo stress aumenti in questo periodo.
Al di la delle comuni considerazioni che si possono fare, non è scientificamente dimostrato ne vi è Letteratura in merito che avvalori l’esistenza del Christmas Blue.
Non può neppure essere assimilato al “Disturbo Affettivo Stagionale” (Seasonal Affective Disorders) che consiste nella presenza di episodi depressivi in alcuni periodi specifici dell’anno, descritto nella V edizione del “Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali” (DSM-5) come “Disturbo Depressivo Maggiore ricorrente con andamento stagionale”. Il DSM-5 riferisce un aumento della prevalenza del “Disturbo affettivo stagionale”, all’aumentare della latitudine geografica: ben documentato e maggiormente presente nei Paesi Scandinavi, si ipotizza per la minore esposizione alla luce solare con conseguente calo dell’umore.
E’ stato anche riscontrato statisticamente un maggior rischio per le persone di età compresa tra i diciotto e i trent’ anni, con prevalenza nel genere femminile. Cosi come in soggetti fragili ed in comorbilità con altri disturbi.
I sintomi includono: astenia, disturbi del sonno, iperfagia o inappetenza, calo del desiderio sessuale, irritabilità e sbalzi d’umore.
Natale, occhio ai disturbi alimentari e alla solitudine
Nel periodo Natalizio si può registrare un peggioramento nei “Disturbi delle condotte alimentari”, specie negli adolescenti che hanno minore occasione di sottrarsi alla vigilanza degli adulti durante i pranzi in famiglia, o che non possono isolarsi in caso di condotte compensatorie dopo eccessive assunzioni di cibo. Possono quindi manifestare maggiore irritabilità e ansia.
Sicuramente si possono verificare vissuti emotivi di tristezza legati alla solitudine per coloro che non hanno più i propri cari o vertono in condizioni di disagio e isolamento come l’ospedalizzazione.
Il Natale, proprio in virtù dell’immaginario su cui si è costituito, può rappresentare una ricorrenza dolorosa, ma va considerato che resta un periodo dell’anno che si pone sul continuum della esistenza e verrà pertanto vissuto e percepito come ogni altro momento o evento della stessa.
Se forme di malessere psicologico o sofferenza emotiva si manifestano in maniera più marcata in questo periodo, probabilmente erano già presenti ed il Natale è stata una occasione di slatentizzazione per innumerevoli circostanze. Il percepito resta soggettivo. Se vi è una esacerbazione di una sofferenza nota pregressa, il Natale può fornire la possibilità di intercettare quali siano le ragioni o le circostanze in cui questo malessere si acuisce, per cominciare a comprenderne le cause, magari sotto la guida, esperta e professionale, di un* psicoterapeuta.
Buone Feste a tutti.
Dottoressa Federica Buri, psicologa psicoterapeuta psicoanalitica
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