«Dobbiamo mantenere accesa la fiamma della speranza dentro di noi e portare la sua luce nell’oscurità di un mondo diviso e ferito», un mondo interessato da numerosi conflitti e che vede milioni di persone soffrire e morire. È tutta dedicata alla speranza la lettera pastorale sul Giubileo del patriarca di Baghdad dei Caldei, cardinale Louis Raphael Sako, che riprende il tema dell’Anno Santo 2025, “Pellegrini di Speranza” e spiega ai media vaticani in che modo l’Iraq e la comunità cristiana si stanno preparando al Natale.
Con il Giubileo e il Natale alle porte, quale speranza per le comunità cristiane in Iraq?
Il Giubileo vuol dire cambiamento positivo dal passato. Un cambiamento personale, ecclesiale e sociale per una vita nuova con rapporti di fraternità, vicinanza, riconciliazione e solidarietà. E’ un’opportunità unica per raggiungere gli altri. Ma è anche un’opportunità per un’umanità più onesta, il che presuppone di abbandonare la fabbricazione di armi e di concentrarsi sull’eliminazione delle cause di conflitti distruttivi e tragedie di ingiustizia, avidità, corruzione e incuria, e creare equilibri, armonia stabile e sicurezza tra i popoli.
Come si sta preparando la Chiesa Caldea in occasione della nascita di Nostro Signore Gesù?
Stiamo organizzando numerosi incontri di preghiera, meditazioni sulle letture dell’Avvento e ritiri con sacerdoti, consacrati e fedeli laici. Il Patriarcato ha messo a disposizione dei preti caldei 80.000 dollari per aiutare i fratelli poveri e in difficoltà. La carità è la via di vivere il Natale. Inoltre, la notte della vigilia saranno celebrate in diverse chiese le messe alle quali prenderanno parte, come da tradizione, il primo ministro, responsabili del governo e anche autorità religiose musulmane. Baghdad e altre città sono già state decorate con alberi di Natale e luci anche da parte dei musulmani che apprezzano Gesù poiché il Corano ne parla con tanto rispetto.
La guerra nella Striscia di Gaza e in particolare la caduta del regime in Siria sta creando qualche ripercussione nel vostro Paese?
È stata una grande sorpresa. Non solo per i siriani ma per tutto il Medio Oriente. È stato un evento così rapido che porterà a un cambiamento. Speriamo bene per la Siria. I capi dell’opposizione armata che hanno preso il potere del Paese parlano di un regime civile, di una Siria nuova, rispettosa dei diritti dell’uomo e con un governo che vedrà la partecipazione di tutte le componenti politiche e sociali. Speriamo che siano sinceri. In Iraq la situazione è un pò tesa per quanto accaduto. C’è un po’ di paura tra la gente e ci si chiede quali conseguenze potrà avere in Iraq questo cambiamento. Speriamo che il nuovo governo siriano prenda le giuste decisioni per salvaguardare il Paese e i cittadini che hanno molto sofferto finora.
Lei di recente ha lanciato un appello all’unità agli eredi della Chiesa d’Oriente. Crede che questo Suo invito venga preso in seria considerazione da tutti a breve? Qualcuno ha dato seguito alle sue parole?
Ad oggi, non ho ricevuto riscontri da parte delle autorità ecclesiastiche. Ma un grande appoggio da parte dei fedeli.
Più di 10 anni fa vi è stata la cacciata dei cristiani dalla Piana di Ninive. Tra la comunità cristiana è ancora vivo quel ricordo o si sta piano piano dimenticando per iniziare un nuovo corso?
Ciò che i cristiani hanno vissuto è vivo nella loro memoria. Tante famiglie sono divise fra l’Iraq e la diaspora. E’ triste. Dopo la liberazione dallo Stato Islamico, il 60 per cento dei cristiani sono ritornati, gli altri sono rimasti in Kurdistan dove hanno trovato una nuova casa e un nuovo lavoro. Ma ce ne sono tanti, in questo 60 per cento, che hanno scelto di emigrare. Non ci sono le condizioni per la sicurezza e stabilità durevoli per vivere in libertà e nel rispetto dei diritti. Una forte spinta a partire è stata determinata dalla presenza di milizie armate che controllano tutto e anche dal tragico incendio del 26 settembre 2023, quando in una sala di ricevimenti a Qaraqosh, durante un matrimonio, sono morte 133 persone e centinaia rimasero ferite. Tuttavia, spero che l’Iraq possa trarre una lezione benefica da quanto accaduto nel suo passato.
Lei da sempre invoca l’armonia, la pace e il dialogo interreligioso. Può dirci se vi sono stati passi concreti in tal senso nel corso degli ultimi anni?
Il cammino e i legami interreligiosi sono molto vivi. Anche se non abbiamo la possibilità di incontrarci molto, perché l’ambiente non lo facilita, ma ci sentiamo spesso. Noi cristiani abbiamo rapporti amichevoli con sciiti, sunniti e con altri gruppi religiosi. Abbiamo lavorato per sconfiggere l’odio. Il problema non sono i capi religiosi ma i politici. Le religioni devono dare il loro contributo eliminando al loro interno divisioni e frammentazioni. Con l’unità si prepara l’avvenire del Paese.
Ritiene che la strada verso la pace e l’armonia sia ancora minacciata da gruppi fondamentalisti che potrebbero metterla a rischio?
Penso di sì. La religione diventa uno strumento politico e non un rapporto libero di amore con Dio. Perciò, chiedo sempre di separare la religione dallo Stato. Sono due realtà diverse. La religione è per gli individui e lo stato è per tutti. Lo Stato non deve avere una religione.
Cosa auspica per questo Natale per il suo Paese e per il mondo intero interessato da una guerra a pezzi come ha più volte detto Papa Francesco?
Il Natale è per tutta l’umanità. Gesù, figlio di Dio, nasce per incarnare valori spirituali e umani di pace, di speranza, di dignità, di diritti, valori che sono espressione divina. Dio ha creato l’uomo perché vivesse felice. Tutti gli uomini sono chiamati a vivere da figli di Dio e quindi da fratelli. Il Natale è una chiamata per tutti, cristiani e musulmani, per coloro che credono e che non credono. Noi come Chiesa non dobbiamo avere paura di parlare dell’annuncio di Gloria a Dio nell’alto di cielo e pace sulla terra, tutta la terra. Nella liturgia caldea cominciamo tutte le preghiere con la frase del Vangelo di Luca (2-14) “Pace sulla terra”, io aggiungo “la terra d’Iraq”.
di Francesco Ricupero
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